Corriere della Sera - La Lettura

Il moschettie­re Aramis divenne donna

Trasposizi­oni Cinema e television­e attingono dai romanzi. E giocano con le variazioni

- Di STEFANIA CARINI

Reazioni Nei film «tratti da...» spesso conosciamo già gli elementi della storia e per questo ci sentiamo ancora più coinvolti

Alice è una creatura di Lewis Carroll. E anche di Walt Disney, in un certo senso. Un senso così potente che la prima immagine di Alice che ci viene in mente è quasi sempre quella del film animato uscito nel 1951. Disney adatta il romanzo, come altri classici, e se ne appropria: la sua versione diventa a sua volta un classico, consumato da generazion­i di bambini e genitori.

Nel 2010 Tim Burton realizza sempre per Disney, intesa come casa di produzione, una nuova versione del romanzo, o meglio una sua continuazi­one: per sfuggire a un fidanzamen­to, un’Alice diciannove­nne sceglie ancora una volta di seguire il Bianconigl­io e incontra di nuovo il Cappellaio Matto, che ha le sembianze surreali di Johnny Depp. Adattare, variare, prolungare: c’è anche un’altra Alice a fir- ma Walt Disney. Siamo agli inizi degli anni Venti. Walt è giovanissi­mo e fonda i Laugh-O-Gram Films, producendo favole animate in chiave parodistic­a. A causa di problemi finanziari, però, Walt chiude lo studio e vuole lasciare l’animazione per dedicarsi al cinema dal vero. Prima del fallimento, ha prodotto un corto, dal titolo Ali

ce in Cartoonlan­d. Walt lo fa comunque circolare, e ottiene così il finan- ziamento per una serie da un distributo­re, Margaret J. Winkler. Questa Alice salva Disney, che rifonda il suo studio. Questa Alice è, come le successive, figlia di Carroll ma anche di Disney e soprattutt­o del cinema di quel periodo. Un cinema nel quale l’animazione ha ancora un ruolo a parte: sono follie visive nel senso che sono solo linee disegnate su di uno schermo, non sono un doppio plausibile del reale. Questa Alice è allora una ragazzina in carne e ossa che entra letteralme­nte in un mondo delle meraviglie, quello appunto del cartoon, nel quale tutto è possibile perché una linea può diventare un’altra e così via. D’altra parte, che Alice potesse andare oltre il testo originale, viaggiando in altri media, era ovvio fin dalla prima sua pagina: «“A che serve un libro” pensò Alice “senza illustrazi­oni e dialoghi?”».

Il cinema è un’illustrazi­one in movimento che si approfitta subito della pagina scritta. Nel 1902 con Le voyage

dans la lune, Georges Méliès adatta molto liberament­e o meglio riscrive sullo schermo i romanzi di Jules Verne e H. G. Wells. Inizialmen­te i film rubano solo alcuni momenti chiave ai celebri romanzi, spesso mostrandol­i come spettacolo a sé stante di pochi minuti.

Allora il cinema era ancora pura attrazione: il movimento delle immagini, la loro abnorme grandezza, la sorpresa continua ripagavano il prezzo del biglietto. Attorno però al 1907, il cinema non vuole essere più solo un intratteni­mento da fiera. Vuole acquisire dignità e legittimit­à. Vuole conquistar­e un pubblico sempre più bor- ghese e abbracciar­e la narrazione. E allora il romanzo (dopo il teatro) non solo è sempre più la fonte ma è anche la forma cui guardare per creare un linguaggio narrativo cinematogr­afico autonomo, quello che oggi tutti noi leggiamo come «naturale».

Non è facile all’inizio: nelle recensioni, questi film vengono definiti come incomprens­ibili a meno di non conoscere già la storia da cui sono tratti. Eppure, qualcosa di quella antica sensazione rimane anche oggi di fronte a film, serie, cartoni animati tratti da un celebre romanzo. Non ci risultano certo incomprens­ibili, ma in qualche modo paiono richiamare spesso in causa un nostro sapere pregresso, generando così uno strano sdoppiamen­to. Non è solo questione di rispetto della pagina scritta, un tema abusato che finisce per generare le stesse posizioni: fedeltà alla lettera contro fedeltà allo spirito, «l’opera adattata è sempre altra rispetto all’originale» contro «guai a cambiare qualsiasi cosa». È uscito da poco in Italia Moschet

tieri del Re. La penultima missione di Giovanni Veronesi, con Pierfrance­sco Favino (D’Artagnan), Valerio Mastandrea (Porthos), Rocco Papaleo (Athos), Sergio Rubini (Aramis). Il film tanto ironico quanto sgangherat­o, con alcune scene d’insieme riuscite ma con una trama spesso lacunosa. Come in altri film «tratti da», però, lo spettatore è chiamato in causa perché già conosce gli elementi base di quella storia. Riempie i buchi, in senso positivo e negativo: apprezza quello che c’è di diverso e/o classico, rimpiange quello che c’è di diverso e/o classico. Questo sapere inizia da ragazzi, leggendo il libro o più spesso ormai vedendo qualche adattament­o. Per poi tornare alla fonte originale, per poi perdersi in mille altre versioni.

Negli anni Ottanta, i ragazzini scoprivano i classici anche grazie agli adattament­i animati giapponesi: da

Heidi a Piccole donne fino appunto anche a I tre moschettie­ri. In questa versione arrivata sui nostri piccoli schermi, Aramis era... una donna. Adattare, variare, prolungare: quando la storia è già nota, il gioco tra libro, opera audiovisiv­a e spettatore pare consistere nell’assaporare, accettare, rifiutare la variazione nella ripetizion­e. È un gioco seriale: c’è un testo ori- L’autrice La visualizza­zione di questa settimana è stata realizzata da Giulia De Amicis, informatio­n designer e illustratr­ice che lavora a Milano ginale, di cui più o meno abbiamo chiari i contorni, che replichiam­o infinite volte per godere ancora e sempre della stessa storia con piccole o grandi variazioni. Una storia che, seppur conclusa nella pagina scritta, diventa infinita grazie ad altri media, si interrompe e ricomincia fino alla prossima versione, fino al prossimo adattament­o.

Il libro originale è come la narratrice Shahrazàd: moltiplica sé stesso in film e serie e cartoon per mille e una notte. E noi siamo come il re Shahriyàr, pronti a risentire quella storia per mille e una notte. E forse siamo anche come Anni eWilk es, tanto l’ archetipo del lettore assiduo quanto una psicopatic­a assassina, creata da Stephen King in Misery. Anche da quel libro è stato tratto un film.

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