Corriere della Sera - La Lettura
Tre delitti nel Veneto Ma le fiabe dei nonni ridisegnano il futuro
Liti e rancori. Per Fulvio Ervas la speranza è negli anziani e nei loro piccoli eredi
«Una faccenda da matti», commenta l’ispettore Stucky quando l’aggrovigliata vicenda narrata in C’era il mare va chiarendosi. Perché nulla pare aver senso in due contemporanei omicidi commessi in due adiacenti province, il cui legame starebbe nell’organizzazione d’un convegno celebrativo dei cento anni di Porto Marghera. Un legame che Ervas ribadisce strutturando quest’ottava indagine dell’ispettore italopersiano alternando i capitoli delle due inchieste procedenti in parallelo, come già faceva in passato alternando capitoli in tondo e in corsivo.
C’è però qualcosa di meno in questo romanzo, rispetto ai precedenti della serie dell’ispettore di Treviso: certo sperimentalismo linguistico; e, un po’, l’aspetto lievemente comico, pur conservandone certa umoristica levità e sentita umanità, qui rappresentate dalle conflittuali sorelle Silvia e Veronica Dotti, tanto che la prima si rifugia nell’appartamento di Stucky, che non vede però l’ora che le due si riappacifichino; così come dalla più morbida presenza dello zio Cyrus, comunque con funzioni essenziali alla soluzione del caso; mentre certo tono di malinconia, oltre che da momenti di Stucky, è portato dal vecchio Bisàt.
Ma c’è anche assai di più. Un arricchimento di personaggi protagonisti, innanzitutto, con l’assunzione a coprotagonista, in quanto conduttrice d’una delle due inchieste, di Luana Bertelli, ispettrice di Marghera affacciatasi nel precedente romanzo della serie, Pericolo
giallo, chiedendo aiuto a Stucky per un omicidio-suicidio di un amico e collega di entrambi. Non meno protagonisti dei due investigatori sono i tre personaggi assassinati: a Treviso, avvelenato col tallio, Romeo Canton, giornalista di nera in pensione ma sempre attivo nelle denunce sull’inquinamento; a Mestre Leone Moro, ex operaio e leader sindacale al petrolchimico. E giusto a metà strada tra le due province, in una villa che ha la parte abitativa in provincia di Treviso e pertanto territorio di Stucky e il giardino in quella di Venezia, di competenza di Luana, spunta la terza vittima: il vecchio avvocato Casagrande cui le due altre vittime s’erano rivolte per l’organizzazione del convegno. Ma la vera novità ri- spetto ai precedenti «ironici romanzi d’ambiente con morto» è la messa a protagonista del luogo-tema che si cela dietro il C’era il mare del titolo: «Marghera. “Mar ghe gera”», frutto forse d’«una leggenda popolare, una costruzione romantica, l’idea che un tempo ci fosse il mare, sopra», scacciato da «tubi, ciminiere, silos, presse, pulegge e gru».
Ne viene così un rimpallarsi tra Marghera e Treviso, come pure tra banchieri e giornalisti, operai e immigrati, sindacalisti e vecchie nobiltà e preti mendaci, tra i quali si muovono le due squadre investigative (e anche quella di Luana non è da meno di quella ben nota di Stucky); dove si fa sempre più evidente che quella di «Marghera è una storia complessa, una metafora che dovrebbe insegnarci un sacco di cose». Una Marghera «esempio di come fare profitto troppo velocemente, senza visione, sia distruttivo». E dove il forte tema sociale sul fondo di un’inchiesta di polizia è punto d’arrivo della sempre più acuta attenzione alla cronaca nelle precedenti opere, poliziesche e no, mentre questo nostro presente rancoroso si specchia nei rancori soprattutto personali del romanzo, che a vario titolo nascono da situazioni familiari, e quindi facilmente manipolabili.
Il romanzo però sembra venire anche da un’altra sua opera: Nonnitudine. Con quel nonno amante della bicicletta incarnatosi nel malinconico vecchio Bisàt; ma pure con quel passato là rivisitato e ripensato in termini anche di futuro che s’incarna nel tema di fondo di C’era il
mare: la convivenza tra Porto Marghera e Venezia; il senso di responsabilità nei confronti dei luoghi che ci ospitano; il rapporto con l’intervento umano su quei luoghi. Insomma: C’era il mare quale risvolto investigativo di Nonnitudine. Non esclusa la favola del nonno per il nipotino qui impersonata da La favola
delle fabbriche tristi dell’avvocato Casagrande. Dove emblema del passaggio dal passato al futuro e anche del sogno è nel finale della favola: per nulla triste. © RIPRODUZIONE RISERVATA