Corriere della Sera - La Lettura

La pallina rossa diventa sonno bianco

Stefano Corbetta penetra nell’angoscia di due genitori e delle figlie colpiti da una tragedia

- Di CRISTINA TAGLIETTI

Èun giorno freddo di febbraio quando le gemelle Emma e Bianca, con altri compagni stretti dentro le loro tute da sci colorate, salgono sul pullman che le deve portare in gita, mentre Enrico e Valeria, i loro genitori, dalla strada, si alzano in punta di piedi per cercare di vederle nel lunotto posteriore.

Quando il pullman si ferma all’autogrill e i bambini scendono a Emma sfugge la pallina rossa che tiene tra le mani e che le ha dato la sorella. Non sente «la voce della maestra, quell’urlo che cercava di fermarla, e nemmeno quella di sua sorella che gridava il suo nome».

Parte da lì, dall’area di servizio dove succede l’incidente, Sonno bianco, secondo romanzo di Stefano Corbetta, dopo Le coccinelle non hanno paura (Morellini, 1997). Una storia che si pone nello stesso solco narrativo: la malattia come condizione imprevedib­ile che impone di cambiare la propria vita. Sono trascorsi 9 anni («ma avrebbero potuto essere un giorno, un’ora, un eterno presente») da quando l’incidente ha separato le due gemelle: Bianca, in coma, intrappola­ta nel letto dell’istituto in cui è ricoverata, Emma prigionier­a del suo senso di colpa, del sordo risentimen­to di una madre che non riesce a perdonarla e a perdonarsi, che rifiuta gli incontri con lo psicologo e si rifugia nelle sue traduzioni costringen­dosi a scrivere anche di notte. Soltanto il padre cerca a fatica di tenere insieme quello che resta della famiglia.

A ricordare a Emma quel giorno di febbraio ci sono le sue gambe, rimaste, dall’incidente, una più corta dell’altra. La passione per il teatro (e per Federico, l’insegnante di recitazion­e), l’incontro con Mattia, piccolo pianista virtuoso, figlio dei vicini di casa, Leon, il suo maestro di musica introdurra­nno, poco alla volta, una nuova sinfonia.

Corbetta racconta con efficacia la complessit­à delle relazioni familiari indagando i vuoti, il precario equilibrio tra parole e silenzio, le sbarre invisibili che tengono prigionier­i, l’incertezza e la paura che minacciano ogni piccola felicità che si delinea all’orizzonte. «Era come se tutto, dopo l’incidente, si fosse ridotto a pochi giorni messi in fila, vuoti e senza significat­o, in cui l’unico sentimento sopravviss­uto era un senso di colpa latente che inquinava ogni cosa».

Diviso in due parti — Il libro di Othie (che sarebbe Emma) e

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