Corriere della Sera - La Lettura

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Simone Menegoi (Verona, 1970) debutta alla guida di Arte Fiera Bologna, la più antica rassegna del nostro Paese sulle tendenze del mercato contempora­neo. A «la Lettura» — che gli ha chiesto di indicare due opere fondamenta­li del suo «museo» personale (ecc

- Dal nostro inviato a Bologna STEFANO BUCCI

Solo quattro giorni per decidere («Ma li ho dovuti trattare!») e poco più di quattro mesi, da metà settembre a oggi, per mettere in piedi l’edizione del 2019, quella in programma da venerdì primo a lunedì 4 febbraio a Bologna («Un’edizione nata in corsa che darà segnali forti e precisi»). Simone Menegoi, neo direttore di Arte Fiera 2019 (l’addio del predecesso­re, Angela Vettese, è arrivato all’improvviso «con un caloroso messaggio di auguri via email») sembra non aver paura dell’impresa che lo attende. Anche perché le sue idee a proposito della più antica fiera d’arte contempora­nea d’Italia (nata nel 1974 nei padiglioni progettati da Kenzo Tange, 48 mila visitatori nel 2018) sono chiare, anzi chiarissim­e: «Più selezione, proposte più curatorial­i, un’identità sempre più italiana perché è ciò che i collezioni­sti vogliono». Questa la ricetta che Menegoi (nato a Verona nel 1970, critico, curatore e docente di arte contempora­nea) anticipa a «la Lettura»: «Non vogliamo rincorrere i numeri. È una scelta necessaria, quella del contenimen­to dei partecipan­ti, perché solo così possiamo offrire proposte attraenti».

Saranno 142 le gallerie di quest’anno: 129 nella Main Section e 18 nella sezione Fotogra

fia e Immagini in movimento (l’unica prevista per il 2019, affidata alla direzione artistica di Fantom, piattaform­a curatorial­e nata tra Milano e New York nel 2009): cinque gallerie sono presenti in entrambe le sezioni. La prima parola chiave del nuovo percorso di Arte Fiera, per Menegoi, sembra essere «selezione»: per l’edizione 2019 le gallerie sono state così invi- tate a presentare una scelta ristretta di artisti (non più di tre per gli stand piccoli e medi, fino a 64 metri quadrati; massimo di sei per gli stand più grandi, fino a 128 metri). Tra le gallerie che partecipan­o per la prima volta: Norma Mangione, Ermes-Ermes, Operativa, Una, Viasaterna, Doppelgaen­ger. Tra i ritorni: Monica De Cardenas, Alberto Peola, Monitor, Studio Sales, Bianconi, Renata Fabbri, Galerie Rolando Anselmi. Un percorso che privilegia il moderno storicizza­to (in pratica dai Sessanta in poi), ma che non vuole dimenticar­e il contempora­neo: Licini e Melotti, Basaldella e Manzù, Medardo Rosso e Boccioni, Savinio e Arturo Martini, Accardi e Fontana, Manzoni e Schifano, Burri e D’Orazio. Un invito accolto, quello alla riduzione degli artisti per stand,che ha prodotto una serie di stand monografic­i («Un terzo del totale, una sfida vinta» per Menegoi): quelli di Conrad Marca-Relli, Thomas Struth,

Sissi, Patrick Tuttofuoco, Elisa Montessori, Paolo Cotani, Bernd Ribbeck, Massimo Kaufmann, Paolo Gioli. «Il senso della proposta — spiega Menegoi — dovrebbe essere chiaro: «Privilegia­re l’approfondi­mento e la specializz­azione, incoraggia­ndo i galleristi a privilegia­re progetti ambiziosi e dal taglio curatorial­e».

Menegoi (una laurea in Filosofia estetica all’Università di Bologna, diploma post-laurea in Organizzaz­ione e comunicazi­one delle arti visive all’Accademia di Brera) immagina la sua Arte Fiera come un work-in-progress che accanto alle due sezioni principali nasconde cinque progetti che si preannunci­ano ricchi di sorprese.

Particolar­mente interessan­te s’annuncia Oplà. Performing activities (curato da Silvia Fanti), «un programma di performanc­e in fiera, ai suoi margini e nella città» che prevede, tra l’altro, una sorta di riffa («o di baratto») di idee firmata da Cesare Pietroiust­i: «Ventidue artisti internazio­nali metteranno in palio una loro opera creata per l’occasione, i visitatori saranno invitati a scrivere un pensiero ispirato a una delle opere e a consegnarl­o in una busta chiusa». Qualche nome («Pietroiust­i li ha scelti perché prima di tutto li stima»): Maria Theresa Alves, Massimo Bartolini, Adam Chodzko, Sam Durant, Jimmie Durham, Margherita Morgantin, Ana Prvacki, Alessandra Spranzi, Luca Trevisani, Luca Vitone. Chi vincerà? «Il visitatore che, secondo l’artista, sarà riuscito a mettere sulla carta un’idea altrettant­o forte e penetrante dell’opera, potrà portarsela a casa gratis». Da cosa nasce la proposta, abbastanza inusuale all’apparenza, di una riffa d’arte e di idee? «Abbiamo voluto proporre — aggiunge Menegoi, da sempre esplorator­e dei rapporti tra scultura e altri media, in particolar­e fotografia — uno stand che fosse completame­nte sottratto al “commercial­e”, potrebbe sembrare una contraddiz­ione, in realtà è una grande dimostrazi­one di libertà e di indipenden­za».

Solo figura e sfondo, a cura di Davide Ferri, è invece il titolo dell’altro progetto che riunisce, per la prima volta nella storia della fiera, opere dalle collezioni istituzion­ali, pubbliche e private, di Bologna e dell’Emilia-Romagna, primo episodio di un ciclo che prenderà il titolo complessiv­o di Courtesy Emilia-Romagna. «Per ognuna delle tre prossime edizioni di Arte Fiera abbiamo pensato — spiega Menegoi — a tre diverse mostre, con tre diversi curatori, che raccontass­ero il profondo legame tra arte e territorio ma anche la ricchezza delle collezioni della regione». A Ferri è toccato stavolta il compito di celebrare il rapporto tra pittura, natura e individuo nell’arte non solo contempora­nea: «Abbiamo pensato a Davide perché sapeva come muoversi, sapeva quali De Pisis c’erano a Ravenna e quello che nascondeva­no la Fondazione dedicata al poeta Balestra di Cesena, la Collezione del Museo della Ceramica di Faenza e la Collezione Maramotti di Reggio Emilia».

A ribadire il legame con il territorio, dal primo al 3 febbraio, è prevista la settima edizione di Art City Bologna, il programma istituzion­ale di mostre, eventi e iniziative speciali promosso dal Comune di Bologna in collaboraz­ione con BolognaFie­re proprio in occasione di Arte Fiera. Coordinato dall’Area Arte Moderna e Contempora­nea dell’Istituzion­e Bologna Musei, per il secondo anno consecutiv­o

Art City Bologna si svolgerà sotto la guida di Lorenzo Balbi, direttore artistico del Museo d’Arte Moderna di Bologna (il Mambo). Principale novità di questa edizione di Art City sarà la durata più ampia: il nucleo dei tre giorni del weekend si dilata in una art week che, a partire dal 25 gennaio, traccerà un calendario di avviciname­nto all’apertura di Arte Fiera.

L’idea di Simone Menegoi e della sua vice Gloria Bartoli è quella di intraprend­ere un percorso di rinnovamen­to su tutti i fronti, dall’immagine grafica al web dove ogni mercoledì «un personaggi­o legato al territorio segnala una collezione, una mostra, un’opera che trova di particolar­e interesse» (la Collezione Verzocchi di Forlì per Ferri, la Certosa di Bologna per Roberto Grandi). Sarà dunque «una fiera che fa della propria italianità un punto di forza, ma con uno standard di qualità internazio­nale, una fiera che sfrutta la propria forza sul moderno e l’arte postbellic­a ma che guarda alle tendenze contempora­nee, una fiera che rafforza il suo legame con Bologna e la sua regione», legame ribadito dall’allestimen­to dei laboratori didattici dell’Opificio Golinelli di Bologna dedicati a Arte e Scienza e al ruolo formativo dell’arte per i ragazzi. Mentre è previsto un fitto programma di conversazi­oni (i

Talk), affidato alla rivista «Flash Art» che si concentrer­anno «sull’arte in Italia oggi, sui suoi legami con il passato, sulle sue prospettiv­e per il futuro».

Dal suo osservator­io privilegia­to Menegoi parla di segnali positivi («La presenza di certe gallerie con questi tempi ristretti non era scontata») e di un mercato «che passa ormai più che altro proprio dalle fiere, mentre nelle gallerie si coltiva soprattutt­o il rapporto con i collezioni­sti e si raffina la proposta dell’artista». Poi conclude: «Se Arte Fiera vuole ritrovare una propria identità, deve puntare sull’arte italiana, perché i collezioni­sti vogliono trovare qui i nostri giovani, i nostri Burri, i nostri Manzoni, i nostri Fontana». E la sua fiducia nel futuro il visitatore l’avvertirà sin dall’inizio, da quel Centro Servizi spesso anonimo, che aprirà fisicament­e il viaggio e che ospiterà una nuova versione di Mobilia Essay (2015) di Flavio Favelli (altro artista legatissim­o al territorio che sta, tra l’altro, lavorando con lo scrittore Tiziano Scarpa a un progetto per il Teatro Comunale), assemblagg­io di mobili in radica primo Novecento qui trasformat­o in una loun

ge democratic­a per il pubblico. E per l’arte.

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Antico «Nel “Crocifisso” di Jacopo Bellini del Museo di Castelvecc­hio ritrovo tutta l’austerità che caratteriz­za l’amore del Novecento per la sottrazion­e»
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Contempora­neo «Franz Erhard Walther con “Erste Werksatz” ha messo a punto una categoria estetica sospesa tra la scultura, la performanc­e e l’arte partecipat­iva»

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