Corriere della Sera - La Lettura
The André canta De André, l’amico fragile è una poesia trap
L’11 gennaio di vent’anni fa moriva Faber, che è stato poeta (prima di tutto) e cantautore. Oggi un ragazzo misterioso «tra i 20 e i 30 anni» — con un cappuccio calcato in testa e un paio d’occhiali scuri sugli occhi, un amore «per Montale, Hemingway e il
Un azzardo e una promessa. Temerarietà e voglia di sperimentare, di mettersi in gioco, di divertirsi. «Pensa come sarebbe se De André cantasse la trap». È partito così il progetto di The André, artista che canta cover e adatta la voce di Faber al genere più in voga del momento, la trap, amata dai giovanissimi, una costola del rap che in Italia ha i suoi sacerdoti in Ghali, Sfera Ebbasta, Dark Polo Gang, Salmo, Izi.
Un progetto che oggi, per uno che postava su YouTube video fatti con un telefonino, significa un disco in uscita venerdì 18 gennaio ( Themagogia - Tradurre, tradire, trappare, Freak & Chic/Artist First), un tour appena concluso (venerdì 4 e sabato 5 gennaio gli ultimi due live, a Brescia e a Pistoia) e un altro le cui date sono in via di definizione. Il nome, innanzitutto. Un raffinato calembour, The André. E poi la voce: un timbro identico a quello di Faber. Infine l’aspetto. Felpa con il cappuccio ben calcato in testa, un paio di occhiali polarizzati a coprire il viso e, in concerto, un controluce che lascia intuire più che mostrare.
Una scelta precisa fatta, spiega The André a «la Lettura», non per alimentare il mistero che lo circonda — non si sa dov’è nato, né la sua vera età, se non che, come lui stesso ha rivelato, ha «tra i 20 e i 30 anni» — ma per «il piacere di conservare la privacy, a cui tengo molto». Anche se, riconosce, «parte del gioco sia proprio il non vedere. Serve a mantenere la sospensione dell’incredulità, ad aumentare la suggestione. Ma non mi nascondo, cerco solo di fare in modo che non mi si veda troppo».
Tutto è cominciato per gioco. Racconta: «Con un amico ci inviavamo vocali WhatsApp in cui imitavamo cantanti come Guccini, Fabri Fibra, De Gregori, Tiziano Ferro. L’intuizione mi è venuta quando sono incorso nel “fenomeno trap”. Mi sono chiesto: come sarebbe se De André, con quella sua voce da brividi, cantasse quel genere di testi?». Risultato: duecentomila visualizzazioni per il primo video pubblicato su YouTube, The André canta Tran Tran (cover di Sfera Ebbasta), oltre un milione per Habibi di Ghali (tanto per capire di che cosa parliamo, ecco le prime cinque strofe della canzone: «Mi piace fumare con lei della flora/ In altre città d’Europa/ Tenerla da dietro e sbanfare l’aroma/ Mentre cucina qualcosa/ Di appetitoso»). «L’arrangiamento alla Faber di Habibi è coinciso con il periodo in cui la Rai ha mandato in onda la fiction Fabrizio De André – Principe libero, c’era molta attenzione su di lui, era un tema “caldo”, soprattutto sui social».
YouTube ha funzionato da trampolino di lancio .« In meno di una settimana sono passato da 10 a 100 mila visualizzazioni. Poco dopo hanno cominciato ad arrivare leprim erichieste di spettacoli dal vivo. Ero scettico, pensavo che potesse funziona resolo sul web. Invece …». Invece prima ha preso corpo il «Vendetta Vera Tour», partito in maggio («Sono passato da “potremmo fare un tour” a 12 date in giro per l’Italia») e da poco concluso; poi l’album in uscita a giorni, Themagogia. Tutti stregati dalla voce di Faber. Ma come è riuscito a imitarla così bene? «Ascolto De André da quando ero bambino, suonando e cantando sopra le sue registrazioni. In questo modo si tende a imitare, a cogliere tutte le sfumature del timbro di voce. La mia tessitura vocale è abbastanza vicina alla sua. Il resto è solo allenamento. Cerco però sempre di “coverizzare” testi il più possibile lontani dalla sua poetica, a funzionare penso sia proprio lo straniamento, l’effetto distonico tra la raffinatezza dei suoi testi e la totale assenza di essa nella trap».
The André ha ricevuto il plauso dei fan di Faber. Ma c’è anche chi l’ha accusato di «infangare» la sua memoria. Lui replica: «L’unica cosa che mi preoccupava davvero era come l’avrebbe presa la famiglia di Faber, ero convinto che il gioco sarebbe finito con l’intervento della Fondazione». Invece? «Con Dori Ghezzi ci siamo incontrati, ha voluto che le raccontassi come è nato il progetto e le è piaciuto perché in qualche modo aiuta i giovanissimi a ricordare il nome di Fabrizio. Dori è stata gentilissima, mi ha incoraggiato ed è addirittura venuta a uno dei miei concerti. Mi ha anche invitato a cantare alcune mie canzoni in occasione della presentazione, a Milano, di Anche le parole sono nomadi (Chiarelettere). Un’occasione non priva di rischi, visto il parterre. Ma non mi hanno tirato niente — precisa ridendo The André —, per cui credo che il mio progetto di far toccare due mondi lontanissimi alla fine sia stato capito».
«Penso che questo ragazzo abbia avuto un’idea intelligente — conferma Dori Ghezzi a “la Lettura” —. È riuscito ad accostare i testi della trap a Fabrizio. Un modo, superato lo choc iniziale, per far arrivare le sue parole con limpidezza. Un aspetto che non appartiene molto al Faber pubblico, è l’ironia. In realtà in
privato era solidamente ironico, per cui sono sicura che avrebbe capito e apprezzato l’operazione di questo artista». Conferma di essere stata a un concerto di The André: «Ci sono andata per capire le reazioni del pubblico. In genere i fan di Fabrizio sono piuttosto “integralisti”. Questo giovane è riuscito invece a farsi apprezzare con la sua capacità di unire i linguaggi, di avvicinare le generazioni. Incontrandolo, ho scoperto una persona di cultura. Sa quello che fa: la sua operazione è sincera, cristallina; si pone nei confronti di Fabrizio con cautela e rispetto».
L’11 gennaio saranno vent’anni dalla scomparsa di Faber. «Ma lui è sempre presente — sottolinea Dori —, come testimoniano le numerose iniziative a lui dedicate , soprattutto in occasione di questa ricorrenza. Tra gli eventi resta un punto di riferimento “la cantata anarchica” che si terrà come sempre in Piazza del Duomo a Milano, un concerto autorganizzato dove persone comuni e musicisti, ognuno con il proprio strumento, si ritrovano, cantando e suonando le sue poesie. Quest’anno la cantata si diffonderà anche a Roma, Bologna, Torino e Parigi. A Genova, la sua città, Palazzo Ducale ospita una giornata a lui interamente dedica- ta: oltre a me e a suo figlio Cristiano ci saranno gli amici di sempre: Gino Paolo, Neri Marcorè, Antonio Ricci, Morgan, Fabio Fazio, tra gli altri. Anche il pubblico avrà uno spazio per raccontare il proprio Fabrizio, per condividere un ricordo personale». Lei ne ha uno in particolare? «In questi anni ho raccontato tanto di noi, piccoli camei della nostra vita insieme, e mi ritrovo talmente spesso a farlo, che non vorrei un giorno ritrovarmi a falsare delle verità. Ricordo l’Agnata, in Sardegna, comprammo questo vecchio casale di pastori in granito che risaliva all’Ottocento. Come degli incoscienti ci trasferimmo lì. Non c’era l’elettricità, facevamo luce con le candele. Non c’erano nemmeno le porte, e parlo di quelle esterne... L’amore fa fare cose veramente incredibili. Ma eravamo fatti così, credevamo in quel mondo, in quella vita. Certo, poi ci fu il sequestro e tutto il resto. Ma nella vita si può sbagliare, ed è per questo che perdonammo i nostri carcerieri».
Il Fabrizio di The André è invece quello riflesso dall’ascolto compulsivo dei suoi album. «Ma non ho un disco preferito — precisa —, in assoluto direi forse Volume 8, di cui ho per sempre incisa nel cuore Amico fragile. Ma in realtà cambio ogni mese (e questo mese è la volta di Anime salve), e ogni mese è una nuova riscoperta. Come per Rimini, su cui di recente mi sono molto concentrato per scrivere alcuni arrangiamenti».
Tra i maestri dichiarati di Faber c’era Brassens. The André che rapporto ha, invece, con la poesia? «Ho cominciato a leggerla attivamente, non a subirla, dopo i vent’anni. Non sono un esperto, ma apprezzo in modo particolare Montale, Leopardi e Rilke. E, anche se tradotti non sono la stessa cosa, i versi di Allen Ginsberg, Paul Verlaine e Baudelaire, quest’ultimo mutuato dai miei studi universitari in letteratura. Ma non posso dire di più». Quando non è alla chitarra o non riscrive canzoni, come passa il suo tempo? «Amo le escursioni in montagna. E andare al cinema: mi piacciono i film di Woody Allen, Wes Anderson e Stanley Kubrick. Avessi più tempo leggerei di più». Autore preferito? «Hemingway. Tra le letture invece l’Inferno e il sempre bistrattato
Purgatorio, di Dante, il mio amore da adolescente; mentre avrei preso volentieri a sassate Manzoni. Poi Calvino, Se una notte d’inverno
un viaggiatore, e, tra i viventi, Michele Mari, in particolare La stiva e l’abisso ».
Racconta di avere iniziato a suonare la chitarra da autodidatta intorno agli undici anni, «Poi ho continuato da solo, senza prendere lezioni. Ho dato diversi esami al Conservatorio, ma non mi sono diplomato. Ero già impegnato con l’università, mi era impossibile fare entrambi. Ho fatto parte di una cover band di musica d’autore, suonavamo successi di Dalla, De André, qualche pezzo di Guccini. In seguito sono entrato in un gruppo di musica elettronica». In curriculum ha anche una collaborazione con Dolcenera, con cui ha registrato Cu
pido di Sfera Ebbasta: «Ero davvero in soggezione, lei una cantante vera, io un fenomeno del web. Invece è stata molto umile». Oltre a Faber, le sue esplorazioni musicali spaziano attraverso tutto il panorama del cantautorato italiano: «Per il resto ho gusti eclettici: mi piace il rock Anni 70, il blues, il jazz. Bruce Springsteen, i Pearl Jam. L’ultimo grande concerto a cui ho assistito è stato proprio quello del Boss, di cui sono un grande fan (album preferito:
Darkness on the Edge of Town), più di recente mi ha incantato il trombettista Wallace Roney, al Blue Note di Milano». Ha mai pensato ai talent? «Sono abbastanza critico nei confronti di questo genere di spettacolo, prima di tutto perché dovrei mostrarmi e non mi piace mettermi in mostra. E poi perché, da quanto ho potuto vedere in questi anni, i talent li fanno meglio i giudici dei concorrenti».