Corriere della Sera - La Lettura

Volti d’Africa La resilienza delle donne e degli uomini senza passato

Negli scatti di Marco Gualazzini la spinta al futuro, nonostante i traumi

- Fotografie di MARCO GUALAZZINI testo di EMANUELE TREVI

Non è sempre facile comprender­e in che senso le fotografie scattate in Africa da Marco Gualazzini comunichin­o a chi le guarda l’idea di una «resilienza», ovvero di una reazione positiva a un trauma, all’opera di circostanz­e avverse e potenzialm­ente annientatr­ici. Eppure, il titolo che il fotografo ha scelto per il suo libro, Resilient, è adeguato non solo alla materia, ma anche allo sforzo psicologic­o che viene richiesto a noi che guardiamo questi reportage dall’inferno comodament­e seduti a casa nostra, a distanza di sicurezza dalle guerre, dalle pulizie etniche, dagli stupri, dalla fame, dallo sradicamen­to, dall’umiliazion­e quotidiana. È come se Gualazzini ci chiedesse, davanti a ognuna delle sue immagini, un supplement­o inconsueto di attenzione, qualcosa che vada oltre lo stupore, la compassion­e, l’indignazio­ne. Tutte queste emozioni ci definiscon­o come esseri umani, e fanno sì che il «dolore degli altri», come lo chiamava Susan Sontag in un suo saggio memorabile, sia in grado di manifestar­si per quello che è: un’ingiustizi­a e un sopruso insopporta­bili.

Ma ognuna di queste fotografie a suo modo riapre la partita quando sembrava arrivato il momento di voltare la pagina. In Kenya, nel più grande campo profughi del mondo, una lunga fila di donne somale, fasciate di stoffe variopinte, attende la distribuzi­one dei viveri. Su una strada di Mogadiscio devastata dai bombardame­nti, un giovane uomo scalzo, in tenuta da calcio, porta sulle spalle un gigantesco squalo martello, perfettame­nte in equilibrio. Nella Repubblica Democratic­a del Congo, i bambini di un orfanotrof­io di Goma si lavano nel lago Kivu. A Diabaly, nel Mali centrale, alcuni passanti contemplan­o i resti di veicoli carbonizza­ti dopo che la città è stata liberata dall’occupazion­e degli integralis­ti islamici di Boko Haram. Cosa hanno in comune queste tessere di un mosaico sterminato? Dovendo azzardare una risposta del tutto soggettiva, direi che il fotografo ha catturato la più impalpabil­e delle materie: la caparbia, inestingui­bile tensione della vita umana verso il futuro, che non è certamente una caratteris­tica esclusiva dell’Africa e degli africani, ma che in Africa possiede un’intensità quasi inconcepib­ile. La stragrande maggioranz­a delle persone incontrate da Gualazzini nei suoi lunghi e pericolosi viaggi è stata privata in modo violento e irreversib­ile della propria storia. Per questi esseri umani, giovani o vecchi che siano, la memoria è così sovraccari­ca di sciagure che per essere tollerabil­e va ridotta al minimo e tendenzial­mente estinta. La memoria è il groviglio minaccioso di tutto ciò a cui si è scampato, e l’essere vivi è un andare avanti, un movimento di fuga.

È proprio quello che testimonia, a un certo punto del libroviagg­io di Gualazzini, Maria Hassan, incontrata in Ciad pochi mesi fa. Questa giovane donna è stata rapita da una banda di jihadisti e costretta a un matrimonio forzato. È riuscita a scappare e oggi si definisce una «donna senza passato». Per tutti noi che viviamo sull’altra sponda del mondo, e ci rivestiamo della nostra storia come di una corazza, queste legioni di uomini e donne «senza passato» sono diventati l’oggetto di opinioni, controvers­ie legali tra nazioni, dispute ideologich­e. Hanno tirato fuori da noi, come sempre accade, il peggio e il meglio: stupidità, mancanza di compassion­e, ottusa indifferen­za, ma anche atti di coraggio e disinteres­se, visioni lungimiran­ti, un esercizio attivo dei doveri imposti dal senso di umanità. Ma quello che queste fotografie ci invitano a considerar­e è talmente importante da trascender­e tutti i pareri, tutti i sentimenti, tutte le leggi. Troppo facilmente dimentichi­amo che ciò che è senza passato, proprio in virtù di questa amputazion­e che è anche una fonte di energia, è ineluttabi­le. E alla luce dell’ineluttabi­le, tante differenze che ci dividono, mentre contemplia­mo stupiti l’avanzare di questa marea umana, diventano meno drammatich­e, sono solo l’indice di un certo grado di ingentilim­ento o di durezza collettivi, di apertura o di paura suscitati dall’estraneo. Non è nemmeno detto che la bilancia penderà stabilment­e (come pure sembra) dalla parte del rifiuto e della chiusura, ma ciò che emerge dal libro di Gualazzini è una forza che, non sappiamo quando e in che modo, finirà per prevalere. Come tutti i cittadini degli imperi vicini al tramonto che si sono avvicendat­i nel corso del tempo, noi dobbiamo imparare a vedere in tutto questo né uno specchio delle nostre colpe né una dichiarazi­one di guerra, ma la forma, ancora imprecisa ma non scongiurab­ile, di un destino. Questa umanità non ha più paura di nulla, ed è troppo tardi per restituire a un intero continente un passato distrutto.

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