Corriere della Sera - La Lettura
«Progettiamo piazze per i campi profughi»
Spazi per la socializzazione nell’orfanotrofio di Haiti, una «tenda pubblica» tra i migranti ad Atene, un progetto per un’area comune in Niger. Due trentenni (uno di Milano e uno di Bolzano) ridefiniscono la missione di una disciplina
«Ma quanti grattacieli possiamo ancora costruire? L’architettura del futuro non è tanto quella dei ricchi, basti pensare alle mega bidonville di Africa, India e America Latina. Tra dieci anni gli abitanti del mondo che vivranno in slum e campi profughi raddoppieranno, saranno oltre due miliardi». Forte dei suoi 32 anni, si butta avanti Bonaventura Visconti di Modrone. Nome storico, interessi attuali, questo allievo di Francesco Dal Co in jeans e maglioncino e l’aria grintosa, terminati gli studi, si è ritrovato a lavorare tra gli orfani di Haiti, i profughi in Grecia e in Niger, convinto com’è che l’architettura non possa limitarsi a essere sfoggio di creatività ma debba cimentarsi a migliorare la qualità della vita delle persone. Al suo fianco l’ex compagno di studi e ora socio Leo Bettini Oberkalmsteiner, di due anni più giovane. Il loro motto è «Taking action through architecture» («agire attraverso l’architettura»), ma non vogliono essere definiti attivisti. «Si tratta di un modo diverso di intendere la professione, con un’attenzione al sociale», chiarisce Bonaventura.
Un programma ben sintetizzato dalla loro «Maidan Tent» da poco installata nel campo profughi di Ritsona, a nord di Atene: una grande tenda rotonda concepita come una piazza pubblica coperta che ripara da sole e pioggia e può ospitare trecento persone. Perché nella sequenza di tende e baracche di qualsiasi campo quello che manca di solito è un luogo di aggregazione. Un posto utile ad attenuare il «trauma migratorio» causato dallo sradicamento di chi è costretto a lasciare casa e affetti in fuga da guerre e povertà. Un luogo che aiuti a dare alla vita una parvenza di normalità. Così dopo due anni di sopralluoghi e colloqui con gli 800 rifugiati bloccati lì in attesa di un permesso per spostarsi in Europa, ha preso forma questo spazio «a spicchi», dove oltre a svolgere attività collettive, come bere tè e consumare i pasti in compagnia, vedere partite e film, imparare un mestiere, giocare, si possono ricavare ambienti privati come ambulatori medici.
«Ho verificato l’importanza dei diversi gradi di separazione dello spazio nel progetto precedente, l’orfanotrofio di Haiti — dice Bonaventura —. Qui oltre allo spazio privato delle case, sorta di “cuccia” utile a sostenere i piccoli vittime di violenze, sono state previste verande semiprivate, e uno spazio esterno pubblico per la socializzazione». Commissionata da una Ong e completata nel 2016, l’opera ha vinto l’AZ People’s choice award.
«L’architettura come strumento o architettura sociale, non è un’architettura di emergenza, è un’architettura che crea un’identità — puntualizza Bettini —. Si basa su progetti partecipati. L’idea viene sviluppata assieme alla comunità che utilizzerà questa struttura». La «Maidan Tent» infatti è stata il risultato di un processo corale: i progettisti hanno deciso di coinvolgere non solo volontari e Ong, ma anche i migranti a cui la struttura è dedicata. Inaugurata un mese fa, ora l’Università Bocconi di Milano ne sta monitorando l’impatto sulla vita del campo. Intanto «con Gianluca Rocco dell’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni), partner del progetto, visti i costi contenuti, stiamo tentando di installarne altre in Grecia», raccontano i due colleghi.
Nel frattempo hanno avviato un nuovo progetto in Niger. «A maggio ero andato a Niamey a trovare la mia fidanzata che lavora là per una Ong — racconta Bonaventura — mi sono ritrovato coinvolto nella costruzione di un nuovo insediamento a Diffa», al confine con la Nigeria, per i profughi in fuga da Boko Haram e i migranti climatici. Il progetto, chiesto da Marta Abbado di Cisp (Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli) e finanziato da Unhcr e Cooperazione italiana, prevede anche qui l’alternanza di spazi intimi, semi privati e spazi pubblici polifunzionali. «Quello che oggi è un orto pubblico domani potrebbe diventare un mercatino: è uno spazio che mette in moto idee». Un progetto per portare sviluppo. E sviluppo e tutela dell’ambiente sono le linee guida del loro studio, Abvm: in ogni progetto si impegnano a rispettare almeno uno dei 17 obiettivi Onu. «In Niger abbiamo previsto l’uso di acque grigie microfiltrate per l’irrigazione e l’uso del bankò per le case» dicono. I lavori partono a febbraio.
In attesa di finanziamenti invece i loro progetti per migliorare la vivibilità di città come Milano: «Abbiamo disegnato dei box multifunzionali che possono servire per gli attrezzi di giardinaggio e pulizia urbana, per caricare le batterie di cellulari o auto elettriche». In apparenza piccoli progetti ma sorretti da un’idea di architettura che punta in alto, curando la quotidianità spicciola di chi vive «in basso».