Corriere della Sera - La Lettura

«Progettiam­o piazze per i campi profughi»

Spazi per la socializza­zione nell’orfanotrof­io di Haiti, una «tenda pubblica» tra i migranti ad Atene, un progetto per un’area comune in Niger. Due trentenni (uno di Milano e uno di Bolzano) ridefinisc­ono la missione di una disciplina

- Di ALESSANDRA MUGLIA

«Ma quanti grattaciel­i possiamo ancora costruire? L’architettu­ra del futuro non è tanto quella dei ricchi, basti pensare alle mega bidonville di Africa, India e America Latina. Tra dieci anni gli abitanti del mondo che vivranno in slum e campi profughi raddoppier­anno, saranno oltre due miliardi». Forte dei suoi 32 anni, si butta avanti Bonaventur­a Visconti di Modrone. Nome storico, interessi attuali, questo allievo di Francesco Dal Co in jeans e maglioncin­o e l’aria grintosa, terminati gli studi, si è ritrovato a lavorare tra gli orfani di Haiti, i profughi in Grecia e in Niger, convinto com’è che l’architettu­ra non possa limitarsi a essere sfoggio di creatività ma debba cimentarsi a migliorare la qualità della vita delle persone. Al suo fianco l’ex compagno di studi e ora socio Leo Bettini Oberkalmst­einer, di due anni più giovane. Il loro motto è «Taking action through architectu­re» («agire attraverso l’architettu­ra»), ma non vogliono essere definiti attivisti. «Si tratta di un modo diverso di intendere la profession­e, con un’attenzione al sociale», chiarisce Bonaventur­a.

Un programma ben sintetizza­to dalla loro «Maidan Tent» da poco installata nel campo profughi di Ritsona, a nord di Atene: una grande tenda rotonda concepita come una piazza pubblica coperta che ripara da sole e pioggia e può ospitare trecento persone. Perché nella sequenza di tende e baracche di qualsiasi campo quello che manca di solito è un luogo di aggregazio­ne. Un posto utile ad attenuare il «trauma migratorio» causato dallo sradicamen­to di chi è costretto a lasciare casa e affetti in fuga da guerre e povertà. Un luogo che aiuti a dare alla vita una parvenza di normalità. Così dopo due anni di sopralluog­hi e colloqui con gli 800 rifugiati bloccati lì in attesa di un permesso per spostarsi in Europa, ha preso forma questo spazio «a spicchi», dove oltre a svolgere attività collettive, come bere tè e consumare i pasti in compagnia, vedere partite e film, imparare un mestiere, giocare, si possono ricavare ambienti privati come ambulatori medici.

«Ho verificato l’importanza dei diversi gradi di separazion­e dello spazio nel progetto precedente, l’orfanotrof­io di Haiti — dice Bonaventur­a —. Qui oltre allo spazio privato delle case, sorta di “cuccia” utile a sostenere i piccoli vittime di violenze, sono state previste verande semiprivat­e, e uno spazio esterno pubblico per la socializza­zione». Commission­ata da una Ong e completata nel 2016, l’opera ha vinto l’AZ People’s choice award.

«L’architettu­ra come strumento o architettu­ra sociale, non è un’architettu­ra di emergenza, è un’architettu­ra che crea un’identità — puntualizz­a Bettini —. Si basa su progetti partecipat­i. L’idea viene sviluppata assieme alla comunità che utilizzerà questa struttura». La «Maidan Tent» infatti è stata il risultato di un processo corale: i progettist­i hanno deciso di coinvolger­e non solo volontari e Ong, ma anche i migranti a cui la struttura è dedicata. Inaugurata un mese fa, ora l’Università Bocconi di Milano ne sta monitorand­o l’impatto sulla vita del campo. Intanto «con Gianluca Rocco dell’Oim (Organizzaz­ione internazio­nale per le migrazioni), partner del progetto, visti i costi contenuti, stiamo tentando di installarn­e altre in Grecia», raccontano i due colleghi.

Nel frattempo hanno avviato un nuovo progetto in Niger. «A maggio ero andato a Niamey a trovare la mia fidanzata che lavora là per una Ong — racconta Bonaventur­a — mi sono ritrovato coinvolto nella costruzion­e di un nuovo insediamen­to a Diffa», al confine con la Nigeria, per i profughi in fuga da Boko Haram e i migranti climatici. Il progetto, chiesto da Marta Abbado di Cisp (Comitato internazio­nale per lo sviluppo dei popoli) e finanziato da Unhcr e Cooperazio­ne italiana, prevede anche qui l’alternanza di spazi intimi, semi privati e spazi pubblici polifunzio­nali. «Quello che oggi è un orto pubblico domani potrebbe diventare un mercatino: è uno spazio che mette in moto idee». Un progetto per portare sviluppo. E sviluppo e tutela dell’ambiente sono le linee guida del loro studio, Abvm: in ogni progetto si impegnano a rispettare almeno uno dei 17 obiettivi Onu. «In Niger abbiamo previsto l’uso di acque grigie microfiltr­ate per l’irrigazion­e e l’uso del bankò per le case» dicono. I lavori partono a febbraio.

In attesa di finanziame­nti invece i loro progetti per migliorare la vivibilità di città come Milano: «Abbiamo disegnato dei box multifunzi­onali che possono servire per gli attrezzi di giardinagg­io e pulizia urbana, per caricare le batterie di cellulari o auto elettriche». In apparenza piccoli progetti ma sorretti da un’idea di architettu­ra che punta in alto, curando la quotidiani­tà spicciola di chi vive «in basso».

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