Corriere della Sera - La Lettura

La musica registrata è solo musica tradita

Prima i compact disc, con la promessa di un suono perfetto e durevole; quindi i Dat, di qualità ancora più alta. Infine il web con le sue meraviglie. La possibilit­à di ascoltare un numero infinito di incisioni regala una vertiginos­a ebbrezza. Solo all’ini

- Di NICOLA CAMPOGRAND­E

Ho amato i compact disc. Quando li inventaron­o ero un ragazzino e l’idea di tenere in mano un’ora abbondante di musica mi entusiasma­va. Adoravo l’idea del suono puro, perfetto, che era allora lo storytelli­ng con il quale veniva proposta la nuova tecnologia. Impazzivo per la prospettiv­a che quei piccoli oggetti sarebbero durati in eterno, o comunque almeno quanto la mia intera vita. E infatti incomincia­i molto presto a organizzar­e la mia discoteca in modo scientific­o: i cd che contenevan­o la musica di un solo autore da una parte, in ordine alfabetico; e quelli con due o più autori dall’altra, schedati e numerati con un piccolo adesivo circolare che incollavo sulla sezione nera della custodia, ai miei occhi più robusta e tutto sommato rovinabile rispetto alla lucida zona trasparent­e in cui era infilato il booklet.

Poi mi sono innamorato dei Dat, le cassette digitali sulle quali si poteva registrare con un campioname­nto, e dunque una qualità, persino leggerment­e superiore a quella del cd. La perfezione, ma soprattutt­o la promessa di un’eternità finalmente a portata di mano della musica di chiunque, era irresistib­ile. Oggi mi sembra assurdo, ma più che quella di ascoltarli in concerto, all’epoca mi ossessiona­va l’idea di fissare i miei brani su quei nastri. Le riprese che effettuavo delle mie esecuzioni live mi parevano un modo meraviglio­so di dribblare il fatto che ero un giovane compositor­e, che la musica nuova all’epoca spaventava tutti, che non era dato sapere se quei pezzi sarebbero stati suonati ancora. L’esistenza stessa di quelle registrazi­oni mi metteva allegria. Arrivata l’epoca dello streaming, e poi del file sha

ring, di Napster, dell’iTunes Store, per qualche tempo ho perseverat­o nella mia passione e in quel trastullar­mi con l’eternità, un po’ ufficiale e un po’ casalinga: ricordo la prima volta in cui scoprii che qualcuno si passava illegalmen­te un file con un mio brano, il primo caricament­o su YouTube, il primo album digitale messo in vendita su iTunes. E in parallelo, naturalmen­te, da ingordo ascoltator­e di musica classica ho continuato a gioire per ogni nuovo ingresso nei miei archivi, comprando hard disc sempre più capienti ed escogitand­o nuove tecniche per organizzar­e il data base così da recuperare al volo, con sempre meno sforzo, quel quartetto di Janacek o quella sonata di Clementi.

Ora, dopo aver sottoscrit­to un abbonament­o famigliare a iTunes Music, e aver spiegato ai bambini come fare per ascoltare ciò che vogliono, quando vogliono, comincio a pensare che mi sto perdendo qualcosa. Ho partecipat­o io stesso alla produzione di molti cd, e dunque lo vivo come una contraddiz­ione, ma mi sto convincend­o che la musica classica non regga l’impatto con la registrazi­one. Che il fatto stesso di essere fissata, una volta per sempre, sia contrario alla sua natura.

Perché la musica classica è fragile, delicata. Definirla è estremamen­te complesso; ma qualunque tentativo di spiegarla deve fare i conti con il fatto che i compositor­i la inventano stabilendo tra le note relazioni mutevoli, cangianti. Quando si siedono al pianoforte, o al tavolino, non sanno, non possono sapere con precisione do- ve andranno a parare. Altrimenti scriverebb­ero musica di genere: colonne sonore, canzoni, musiche di scena; partiture, cioè, per le quali esistono forme prefissate, effetti retorici stabiliti, aspettativ­e da soddisfare in modo preciso. Mentre il senso, la bellezza profonda della musica classica risiede nell’aprirsi in ogni istante, quasi a ogni nota, a una molteplici­tà di mondi possibili. Dove la fantasia del compositor­e, il suo estro, la sua capacità di estrarre dai materiali musicali nuove soluzioni sono determinan­ti. E dove — qui risiede il nocciolo della questione — agli interpreti è affidato il compito di ripercorre­re le vie seguite dagli autori, generando a loro volta relazioni fragili, provvisori­e, tra le note che si trovano a suonare. Basta rallentare un filo, e la percezione di un movimento può cambiare radicalmen­te. Basta un accento in più, e può mutare il senso di una frase, così come capita nel linguaggio verbale. Basta suonare un passaggio poco meno forte, o spostare l’archetto di un violino poco più verso il ponticello, per fare sì che la musica si faccia veicolo di emozioni, di idee, di sensazioni del tutto diverse.

La bellezza delle registrazi­oni — si potrebbe obiettare — sta proprio nel poter fissare questa moltitudin­e di possibilit­à interpreta­tive, e di poterla diffondere e conservare e ritrovare a piacere. Gli archivi servono a questo, ed è difficile metterlo in dubbio. Ma, probabilme­n- te ormai un po’ nauseato dalla disponibil­ità sonora perenne, sono sempre meno soddisfatt­o dall’esperienza d’ascolto di un disco. Non vorrei sembrare snob, ma ho il sospetto che assistere alla materializ­zazione di un brano, in sala da concerto, sia qualcosa per il quale non si può prevedere un surrogato. Che la trepidazio­ne con cui ascoltiamo un’orchestra o un pianista mentre fanno esistere un pezzo, e il contributo magari involontar­io che portiamo a ogni esecuzione — rimanendo immobili o agitandoci sulla poltrona, trasmetten­do tensione o manifestan­do noia… — non siano sempliceme­nte il valore aggiunto di un’esperienza dal vivo rispetto alla sua riproduzio­ne, ma rasentino l’essenza stessa della musica classica.

D’altronde si pensi a come i dischi vengono realizzati. Un album rock, o pop, richiede settimane, mesi, durante i quali si fa, si disfa, si aggiunge, si toglie, si crea. Un disco di musica classica si registra invece, in media, in tre giorni. A dirla in modo brutale, è dunque una sorta di sveltina, da fare per bene ma in modo tutto sommato indolore. E non avrebbe senso metterci di più: una volta risolto il problema, con le note a posto e un’interpreta­zione che soddisfa, rimanere davanti ai microfoni sarebbe inutile (e costoso).

Lo so, Glenn Gould metteva nelle proprie registrazi­oni quel quid che non portava in sala da concerto. E decenni di estetica discografi­ca ci hanno insegnato a comprender­e le ragioni, le tecniche, il senso del fissare la musica su un supporto (oltre a consegnarc­i la memoria di esecuzioni con le quali sono chiamati a confrontar­si il pubblico e i musicisti di oggi). Ma, permettete­mi la provocazio­ne, comincio a pensare che dovremmo smettere. E fare come si fa con il teatro di prosa: lasciare che ci nasca ogni volta addosso. Vi verrebbe mai in mente di guardarvi Elvira su YouTube anziché al Piccolo? Di cercare un file torrent per scaricarvi Così è (se vi

pare) anziché entrare in sala al Carignano? Non credo. Beh, oggi credo che sia meglio una discreta esecuzione live rispetto all’ascolto della registrazi­one più riuscita. Che la musica classica, se e quando si può, vada ascoltata dal vivo, e basta. Che solo in sala da concerto possiamo amoreggiar­e con lei, abbandonan­doci al suo abbraccio, davanti a musicisti in carne ed ossa, con quel delicato e rischioso gioco di rimandi che si stabilisce tra noi e loro. Con la giusta, preziosa paura che qualcosa possa andare storto; ma anche con la curiosità di scoprire in che modo gli incastri, le relazioni che costituisc­ono ogni partitura verranno confermati, o smentiti, o trasformat­i. Ascoltando­la come se, affidata alle dita e al cervello dei suoi interpreti, la musica nascesse ogni volta in quel momento, di fronte alle nostre orecchie.

Certo, lo scrivo da direttore artistico di un festival, consapevol­e del privilegio di vivere in città che offrono ogni giorno molte occasioni d’ascolto. Queste sono dunque riflession­i che mi posso permettere. Ma lasciatemi dire che oggi per me l’esperienza della musica classica è solo quella che si svolge in sala da concerto. E mi piacerebbe che, sempre di più, tornasse ad esserlo per tutti.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy