Corriere della Sera - La Lettura

I nove Guggenheim: 60 anni di archiscult­ure

Il contenitor­e prima del contenuto Sessant’anni fa, nell’ottobre 1959, veniva inaugurata la sede newyorches­e del Guggenheim progettata da Frank Lloyd Wright. Nasceva il primo brand espositivo globale. Con edifici inventati o reinventat­i in tutto il mondo

- Di VINCENZO TRIONE

C’erano una volta i musei, poi c’è stato il modello-Guggenheim. Nel XIX e nel XX secolo, i musei — dalla fondazione del Louvre (1793) — sono stati maestosi templi della cultura, nei quali sono state conservate opere capaci di documentar­e il progresso dell’arte attraverso i secoli. Rivolte a trasmetter­e il potere dello Stato, per circa due secoli queste istituzion­i sono state la casa dell’humanitas, in cui sono stati difesi gli esiti più alti del talento dell’uomo: dall’antichità all’età moderna.

Sin dall’inaugurazi­one della sede newyorkese, progettata da Frank Lloyd Wright nel 1959, il Guggenheim ha ribaltato questa tradizione, imponendo paradigmi gestionali, curatorial­i e architetto­nici alternativ­i. Come dimostrano le politiche portate avanti dalle diverse sedi di questo colosso dell’arte: Bilbao (1997), Berlino (1997, chiuso nel 2013), Las Vegas (2001, chiuso nel 2008), Abu Dhabi (la cui inaugurazi­one è prevista per quest’anno). Capitoli di un romanzo in divenire, nato da un’intuizione di Peggy Guggenheim (di cui nel 2019 ricorrono i quarant’anni della morte), mecenate e collezioni­sta che, dal 1949, decise di radunare le opere della sua raccolta a Venezia (nel Palazzo Venier dei Leoni).

Peggy Guggenheim aveva una visione idealistic­a dell’arte. Molto diversa da quella di cui si è fatto interprete Tom Krens, cinico e potente capo del sistema-Guggenheim negli anni Novanta. Egli elabora «una nuova concezione del museo senza avere alcuna concezione dell’arte», ha scritto Paul Werner in un pamphlet, Museo

S.p.A. (edito da Johan & Levi). «Amministra­tore delegato della cultura», Krens trasforma il Guggenheim in una multinazio­nale, in un franchisin­g, in un’impresa for profit: simile alla Disney o a McDonald’s. Distante da una filosofia museografi­ca «purista», oscillando tra espansioni­smo statuniten­se e Realpoliti­k, egli pensa il Guggenheim come una realtà globale, con filiali diffuse in tutto il mondo (Venezia, Berlino, Bilbao, SoHo, cui bisogna aggiungere i progetti rimasti incompiuti di New York, di Las Vegas, di Salisburgo, di Rio de Janeiro, di Taiwan, di Guadalajar­a).

Secondo Krens, un museo non è opificio del bello ma luogo dell’intratteni­mento. Non deve promuovere conoscenza né formare, ma produrre piacere diffuso e superficia­le. Inoltre, il museo non può limitarsi a essere garante estetico della qualità dell’opera di un determinat­o artista, ma deve diventare come un brand votato esclusivam­ente al profitto, agli introiti. Assimiland­o i dipinti alle banconote, Krens ritiene che quadri e sculture debbano circolare come il denaro. Perciò assegna un ruolo centrale al merchandis­ing; presta le sale dei Gug- genheim per iniziative di sponsor e di istituzion­i finanziari­e; e viene incontro al bisogno di legittimaz­ione culturale da parte di stilisti o di industrial­i, ospitando mostre già «pagate» su Armani o sulle motociclet­te. In tal modo, Krens supera il confine che separa il simbolico dall’economico, comportand­osi come la canaglia interpreta­ta da Jack Palance in Il disprezzo di Godard, celebre per una battuta: «Quando sento la parola cultura, tiro fuori il libretto degli assegni».

Decisiva, nella strategia di Krens, la funzione dell’architettu­ra. Che, per lui, non deve essere funzionale né anonima, ma comunicati­va, seduttiva: soprattutt­o «diversa». Chi va al Guggenheim vivrà un’esperienza unica, irripetibi­le. Non vedrà «solo» installazi­oni, sculture, dipinti. Ma potrà «anche» incontrare installazi­oni, sculture, dipinti, che, talvolta, sembrerann­o trovarsi quasi a disagio all’interno di edifici decostruit­i e mossi. Due casi «classici». Il Guggenheim di Wright a New York: cattedrale laica a spirale, combinazio­ne tra astrazione geometrica e gusto per le asimmetrie, che impone la sua immagine inconfondi­bile da lontano; architettu­ra inospitale per le opere e per lo spettatore, costretto a spostarsi in uno spazio in salita e in discesa, privo di punti di stabilità, adatto soprattutt­o a mostre da fruire distrattam­ente. E il Guggenheim di Gehry a Bilbao: lontana ri-

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Thomas Krens (1946), direttore per vent’anni (fino al 2008) della Solomon R. Guggenheim Foundation
Thomas Krens (1946), direttore per vent’anni (fino al 2008) della Solomon R. Guggenheim Foundation

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy