Corriere della Sera - La Lettura
Volevo essere Amos Oz la nostra fonte e maestro
Molti sono gli articoli dedicati all’importanza letteraria di Amos Oz, scomparso il 28 dicembre a Tel Aviv, il più grande degli scrittori di Israele in tempi recenti. Numerosi saggi hanno descritto lo stile del primo Oz, quello di Terra dello sciacallo, e Altrove, forse, quando era influenzato da Agnon, Brenner e Berdyczewski. Altri hanno analizzato la prosa vertiginosa che ha perfezionato con originalità e coraggio straordinari in Tocca l’acqua, tocca il vento e Michael mio. Infinite le discussioni su quale sia il suo romanzo più grande: Michael mio, il primo, il rivoluzionario? Oppure Una storia di amore e di tenebra, così personale? O forse Lo stesso mare, unico nel suo genere?
Su ognuno di questi argomenti si potrebbe continuare a disquisire all’infinito, ma oggi preferisco raccontare la mia storia personale con Amos Oz. Una storia piccola e per Oz irrilevante, ma capace di rivelare un briciolo di quanto quest’uomo ha rappresentato per la mia generazione. A ventiquattro anni, appena congedato dal servizio militare, mi sono domandato se avrei mai potuto scrivere. Non sapevo se avevo talento, se le mie conoscenze erano abbastanza ampie. Per dirla tutta, non avevo mai incontrato uno scrittore. Perciò sono andato a vedere Amos Oz a una presentazione. Perché proprio Amos Oz? Perché Amos Oz era lo Scrittore con la S maiuscola, perciò naturalmente ho pensato a lui. Fino a quel giorno avevo letto solo un suo romanzo per l’esame di maturità ( La scatola nera), e poi un altro trovato casualmente in casa ( Una pace perfetta). In più, avevo seguito alcuni suoi articoli di opinione, nei quali discuteva prevalentemente di questioni politiche, identificandosi senza ombra di dubbio nelle posizioni della sinistra.
Questo fatto è significativo, perché Amos Oz non si è mai considerato uno scrittore politico. Ha scritto articoli e saggi politici, ma ha sempre sottolineato che erano ben distinti dai suoi romanzi. Eppure, per la giovane generazione, Amos Oz rappresenta il modello di quello che uno scrittore fa, di ciò di cui si occupa. E in quanto tale, Amos Oz ci ha insegnato che uno scrittore deve far sentire la sua opinione politica. Uno scrittore non si limita a starsene nella sua stanza a inventare trame e personaggi. Lo scrittore ha una capacità di osservazione che esula dai suoi romanzi; osserva la società in cui vive, il luogo in cui crea. Ma c’è di più: lo scrittore dovrebbe parlare alla sua generazione. O addirittura, esserne il portavoce.
In quell’anno Amos Oz aveva pubblicato un romanzo bello e strano, intitolato Lo stesso mare, e io sono andato a sentirlo parlare del suo libro. Per prima cosa ho notato che, oltre alle sue notorie qualità, era straordinariamente bello. Affascinante come un attore del cinema, indossava un maglione vecchio stile da cui spuntava il colletto di una camicia celeste. Gli occhi erano azzurri, intelligenti, i capelli pettinati con la riga di lato.
E poi parlava bene. Per la verità, parlava troppo bene. Conversava in modo talmente fluido, che ho immediatamente capito che io scrittore non sarei mai potuto diventare. Quell’uomo parlava meglio di quan-