Corriere della Sera - La Lettura
Traditore senza saperlo vita e fine dell’eroe del mondo di ieri
Seduto quotidianamente per trenta anni allo stesso tavolo del Caffè Gluck nella Vienna di inizio Novecento, Jakob Mendel non ha letto tutti i libri del mondo. Ma di ogni libro conosce perfettamente il nome e il titolo, l’anno di pubblicazione, il prezzo, l’editore. Una vita intera passata a esplorare pagine stampate, trattenute nella sua memoria prodigiosa. Qual è il segreto di questo modestissimo rivendugliolo galiziano che campa comprando libri vecchi per rivenderli tutti assorbendoli in sé? La concentrazione. Uno stato di sospensione ottenuta dondolando ritmicamente il corpo, salmodiando a voce trattenuta, inabissandosi nella contemplazione. Per lui l’esistenza diventa realtà soltanto dopo essere stata impressa in un libro. Al di là dei libri Mendel non sa nulla del mondo. Non sollevando mai il capo dalle pagine non si accorge della guerra che sta devastando l’Europa, tanto da continuare a spedire lettere in Francia e in Inghilterra richiedendo riviste letterarie. Sospettato di spionaggio, troppo sbadato per aver mai pensato di chiedere cittadinanza austriaca, lui, ebreo polacco, dunque ancora formalmente russo — nemico, dunque — viene internato in un campo di concentramento. Al ritorno a Vienna, il suo mondo — il mondo dell’impero e della cultura: il mondo di ieri, come lo chiamerà Stefan Zweig (1881-1942) nella sua autobiografia — non esiste più. Il mondo non è più il mondo, Mendel non è più Mendel: buttato fuori dal suo caffè, morirà a breve. In Mendel dei libri Zweig ci proietta nella religione politeista dei libri, incarnando di sé il suo protagonista, travolto come lui dal crollo dell’idea che cultura significhi salvezza.