Corriere della Sera - La Lettura
Permunian corregge Permunian, non la vita
L’eccentrico autore torna a bordo della «nave blasfema» pubblicata qualche anno fa
Francesco Permunian ama accarezzare i suoi fantasmi e, come spiega lui stesso, ha l’abitudine di riprendere in mano certi vecchi racconti per «eliminare quelle pagine ingiallite dal tempo che non meritano nessuna indulgenza». Lo fa anche con questo Chi sta parlando nella mia testa?, ora edito dalla rinata casa editrice Theoria, rielaborazione aggiornata di Dalla stiva di una nave blasfema (titolo preso a prestito da Gombrowicz), pubblicato una decina di anni fa da Diabasis. I «demoni ciarlieri» generati da alcune ricorrenti ossessioni che proprio l’autore elenca nella premessa — i ricordi dell’infanzia, la vanità del mestiere di scrittore, i primi acciacchi della vecchiaia, le voci dei morti il cui brusio è così incessante da fargli chiedere appunto: ma chi sta parlando nella mia testa? — sono ricorrenze che necessitano ogni volta di avere una voce, imponendo allo scrittore di comporre un «folle antiromanzo, questa maldestra registrazione di sogni e deliri scambiati un dì per idee e progetti».
Non si troverà mai l’espressione «la letteratura mi ha salvato la vita» («mi è sempre sembrata una boutade d’imper- donabile volgarità», spiega) sulla bocca o nelle pagine di Permunian, scrittore capace di cucire con estrema grazia il pettegolezzo di provincia tra il Polesine, il Garda e Venezia, con i suoi mitteleuropei amati e continuamente riletti: Gombrowicz, Kafka, Cioran, Céline, Ionesco.
Permunian non fa sconti, pesta il mondo letterario contemporaneo così come quello della fede, il cattolicesimo ipocrita del Nordest con quei ministri di Dio che paiono indossare gli abiti talari «unicamente per segnalare ai fedeli tutta la loro miseria spirituale». Popola le sue pagine di una quantità di personaggi veri o inventati (l’amica Bertilla, il cugino Otello, don Gastone con la sua amante mulatta, la direttrice di un istituto per sordomuti Emerenziana Maria Marsupioni), compresi i vari sé stesso, messi in campo quasi in antitesi all’autofiction imperante: «Dalla normalità più ordinaria e rassicurante mi sembra che possa esalare ad un tratto uno spiffero infernale di aria gelida».
Crudele, divertente, raffinato anche nella trivialità, Permunian sembra divagare ma in realtà, restando «avvinghiato alla parole», non perde mai il