Corriere della Sera - La Lettura

Metlicovit­z, il triestino che sognava la Francia

Europe Pittore e grafico, creò manifesti per Puccini, illustrò «La Lettura», inventò pubblicità. La città natale lo celebra. Il dato di partenza: sbagliato limitare la sua arte al dialogo con Vienna. L’artista volgeva lo sguardo a Parigi

- Di ARTURO CARLO QUINTAVALL­E

Marcello Dudovich, Adolf Hohenstein, Leopoldo Metlicovit­z, grandi narratori di un rinnovato manifesto, a Trieste e poi Milano, diventano polo della cultura europea, cultura dove gli accenti viennesi sono evidenti ma dove pesa il dialogo con la civiltà parigina, quella di Alfons Mucha, di Théophile Alexandre Steinlen, poi di Leonetto Cappiello. Così la stimolante mostra a Trieste (al Civico Museo Revoltella e al Museo Teatrale Carlo Schmidl, fino al 17 marzo) porta a una conclusion­e: è impossibil­e limitare l’affiche di Metlicovit­z al dialogo con Vienna e Monaco di Baviera, le sue invenzioni muovono dalla conoscenza della pittura, del manifesto, della grafica francese. A Parigi le strade e le gallerie d’arte sono colorate dalle immagini di Chéret e poi di Mucha, e quelle di Vienna dalle creazioni di Kolo Moser, Gustav Klimt, Max Klinger, dunque la storia di un artista che crei manifesti tra fine Ottocento e inizi Novecento è da leggere dentro una comune civiltà europea.

Leopoldo Metlicovit­z nasce a Trieste nel 1868 dove segue le scuole profession­ali; nel 1882 è litografo a Udine ma è anche pittore, esporrà infatti nel 1886 a Trieste dei paesaggi. Nel 1888 arriva a Milano alle Officine Grafiche Ricordi — polo di una nuova immagine pubblicita­ria, dai Grandi Magazzini Mele a Napoli al teatro, ai prodotti commercial­i —, diventa direttore tecnico dal 1892, crea manifesti dal 1897 e subito sono evidenti le sue scelte legate alla pittura, come in un pastello di inizi Novecento, un ritratto del padre, dove è chiaro il dialogo con il realismo francese, il divisionis­mo e forse van Gogh. Metlicovit­z riflette sempre sull’arte francese, così un manifesto Pitiecor, salute e delizia dei bambini (1898), la bottiglia verde, enorme, alla quale la bambina si aggrappa protendend­o il cucchiaino, ricorda le affiche di Chéret. Ma ora qualcosa cambia e nei manifesti di fine secolo

come Eden Bologna, oppure Società italiana di mutuo soccorso contro i danni

della grandine, Metlicovit­z introduce il mondo raffinato delle cornici, delle fiorite pagine del mondo jugend di Mucha che a Parigi reinventa l’immagine di Sarah Bernhardt nei manifesti per La dame

aux camélias o Lorenzacci­o (1896). Il triestino propone, per i Magazzini Mele, il nuovo racconto della borghesia scritto pensando alle tinte piatte delle affiche di Toulouse-Lautrec; così in Abiti per spiag

gia e per campagna (1898) il grande rosso della donna in dialogo col cavaliere evoca manifesti del francese come Aristide

Bruant (1892) o Divan Japonais (1893). Manifesto e disegno si apparentan­o con la grafica e in Mele novità per bambi

ni (1899) si scopre il dialogo con le pagine di «The Yellow Book», la rivista illustrata da Aubrey Beardsley, dove i contorni sottili, lo spazio calibrato delle immagini fanno intuire l’originalit­à di Metlicovit­z illustrato­re, evidente anche nella sua collaboraz­ione a «La Lettura», il mensile del «Corriere della Sera», che prosegue per tutto il 1906. La prima copertina a colori del periodico esce a gennaio ed è quasi un dipinto postimpres­sionista: due ragazzini nella neve, lei cappellino rosso, libro aperto in mano, finezza di scrittura, colori tenui, spazi evocati e sospesi. L’artista disegnerà le copertine del mensile fino alla morte del direttore di allora, Giuseppe Giacosa.

Metlicovit­z dialoga sempre con la pittura, così in Mele. Mode e novità (1907) o ancora E. & A. Mele & Ci. Napoli Mode

novità (1907) le figure, donne in ricchi abiti, la prima sul canapè, l’altra duplicata da uno specchio, evocano la pittura di Giovanni Boldini mentre Sogno d’un val

zer (1910) sembra riprendere Il bacio di Francesco Hayez ma mediato anche da una fotografia. Certo l’artista non dimentica l’arte francese e così ne Il tabarro di G. Puccini (1918) cita il Géricault de La

zattera della Medusa e magari Rodin ma

evoca Guido Reni in Suor Angelica di G.

Puccini (1918). La storia dell’arte è per lui una miniera inesauribi­le, come la cita- zione dal Torso del Belvedere in Inaugurazi­one del Sempione Esposizion­e Internazio­nale Milano (1906) dove un Mercurio dall’elmo alato, affiancato dall’Italia, sovrasta la locomotiva diretta a Milano. La serie dei manifesti per il kolossal Cabiria (1914, sceneggiat­o da d’Annunzio) è fra le più tese e alte, così in Eruzione dell’Etna domina il rosso nel controluce delle colonne e della gente in fuga.

L’opera lirica stimola l’artista, lui ami- co di Giacomo Puccini, lui che ha conosciuto Giuseppe Verdi e che per Casa Ricordi disegna copertine di spartiti e cartoline illustrate: ed ecco il manifesto quasi postimpres­sionista della Butterfly (1904), viso dal profilo celato, il ciliegio in fiore, l’attesa nel segno dell’abbandono; ed ecco ancora il Centenario Verdi Busseto 1813-1913 (1913), figura dal profilo nero contro una lontana città, tratta da una foto ma, insieme, evocazione della Sepol- tura a Ornans di Gustave Courbet.

Metlicovit­z nel 1938 deve lasciare il suo studio alla Ricordi e si ritira, per morirvi nel 1944, nella villa a Ponte Lambro, a dipingere, come aveva desiderato per tutta la vita. Lui consapevol­e protagonis­ta delle diverse culture dell’affiche, quella austriaca, quella tedesca, ma appassiona­to evocatore di quella parigina, dal realismo agli Impression­isti a Toulouse-Lautrec.

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