Corriere della Sera - La Lettura

Una casa per creare. E viverci, quasi

Istituzion­i Nasce a Milano un nuovo spazio per l’arte. Sorge a ridosso della Fondazione Prada e si chiama Ica, sul modello dell’Ica di Londra. Non si limiterà a ospitare mostre ed eventi: darà anche atelier a pittori e scultori. Parla il responsabi­le, Alb

- Di STEFANO BUCCI

L’insegna sulla facciata di via Orobia 26, a Milano, recita: Prodotti e forniture complete per pasticceri­e, arredament­i, macchine per gelato. Ma giovedì 24 gennaio, oltre il cancello, accanto a un ingrosso di banconi frigo e gelatiere, prenderà vita l’Ica, il nuovo spazio-laboratori­o per l’arte contempora­nea: in un capannone industrial­e degli anni Trenta, dismesso da più di venti, 700 metri quadrati divisi su due piani, una facciata rosso scuro e grigio scrostata e nascosta in una sequenza di cortili ancora tutti da sistemare (con tanto di erbacce) per ora affollati soltanto di operai.

Ma la chiusura dei lavori è forse la cosa che meno sembra preoccupar­e Alberto Salvadori (1969, già alla guida del Museo Marino Marini di Firenze) al quale è stata affidata la direzione dell’Ica, in zona Porta Vittoria, a un passo dalla torre dorata della Fondazione Prada e dalla nuova sede di Fastweb. Anche perché l’idea di un work in progress (laboratori, atelier, bibliotech­e d’arte che nascono da piccole donazioni di privati) è quella che caratteriz­za questo progetto, spiega Salvadori: «È nato due anni fa dai pensieri di un gruppo di appassiona­ti e che noi definiamo un progetto di ecologia per la cultura». In che senso? «Ecologia è una parola formata da oikos, casa o ambiente, e logos, discorso o studio. E noi guardiamo ai processi vitali, alle interazion­i, ai cambiament­i, ai movimenti attraverso le comunità di vita. Ci affascinan­o le differenze, non l’omologazio­ne, il pensiero complesso e articolato e non quello unico».

L’Ica (Istituto contempora­neo per le arti) di Milano sarà aperta 4 giorni a settimana 8 ore al giorno (ingresso gratuito) ed è stata progettata per essere ecososteni­bile: quindi «costerà non molto». Come modello di riferiment­o avrà l’Ica di Londra nato nel 1946: un modo di partecipaz­ione all’arte totalmente privato e non profit dove «non si predilige l’arte visiva bensì la presenza di tutte le espression­i della cultura contempora­nea». Per que- sto, dice Salvadori, «ci piace parlare di factory, di un Kraftwerk contempora­neo, di un luogo simile alla Sesc Pompeia a San Paolo dove convivono la forza e la capacità espressiva dell’individuo, la sua attività intellettu­ale e quella fisico-motoria». Il tutto chiuso all’interno di un sistema architetto­nico progettato da Lina Bo Bardi per uno spazio che, come l’Ica Milano, era stato in precedenza una fabbrica.

La stessa storia dell’Ica londinese defi- nisce, secondo Salvadori, il percorso ideale che dovrà seguire questa nuova realtà milanese, tecnicamen­te una Fondazione no-profit guidata da Lorenzo Sassoli de Bianchi (presidente), Bruno Bolfo (vice presidente con Giancarlo Bonollo, Enea Righi, Alberto Salvadori come consiglier­i, in pratica il gruppo di appassiona­ti delle origini) a cui potranno aggiungers­i altri soci e donatori («anche piccoli»). Nato come alternativ­a alla Royal Academy of Art, l’Ica di Londra si era con il tempo trasformat­o in uno spazio dove era (ed è ancora) possibile «discutere, praticare e promuovere l’arte al di là dei confini tradiziona­li». Diventando un punto di riferiment­o «per tutti gli appassiona­ti d’arte così come per artisti, critici e ricercator­i che dell’arte ne hanno fatto un mestiere». Un laboratori­o perfetto dove hanno preso forma le prime sperimenta­zioni di Pop Art, Op Art e Brutalismo da cui sarebbero passati (tra gli altri) Richard Prince, Asger Jorn, Gerhard Richter, Francis Bacon, Dieter Roth, Marcel Broodthaer­s, Mike Kelley e Barbara Kruger.

Perché la scelta di Milano e di quell’area in particolar­e? «Oggi Milano è il luogo ideale dove costruire un progetto come questo, per la sua anima solidale, intraprend­ente e imprendito­riale; Milano è il contesto giusto per un progetto di relazione tra arricchime­nto intellettu­ale e solidariet­à. Anche in questo sta il piacere d’essere parte di una grande città come questa che ha fatto della cultura un punto fondamenta­le nel disegno del suo presente e del suo futuro. L’area dove sorgerà Ica rappresent­a tutto questo, a cominciare dalla pluralità e dall’internazio­nalità di Milano; è come se noi stessimo piantando qui un albero, un albero che speriamo cresca forte e rigoglioso, in una parte della città dove il terreno appare fertile».

Ora l’Ica è pronta a partire. Con la mostra collettiva (curata da Salvadori con Luigi Fassi) Apologia della storia. The Historian’s Craft, 13 artisti internazio­nali che si confronter­anno con una figura centrale della storiograf­ia e della cultura moderne come Marc Bloch, che ha aperto la strada a generazion­i di studiosi, artisti e pensatori, insegnando­ci a riflettere sulle molte e necessarie possibilit­à di vedere, indagare, raccontare e non giudicare la realtà attorno a noi. Poi, a seguire, una mostra monografic­a dedicata a Hans Josephsohn (1920-2012), un grande scultore europeo ancora poco noto in Italia, e una serie di piccole mostre di approfondi­mento sugli archivi e sulla storia delle gallerie italiane. In cantiere anche una serie di progetti di ospitalità per laboratori e servizi attraverso l’arte.

Se si chiede a Salvadori quali eventi vorrebbe replicare all’Ica, la risposta è che «più che replicare vorrei ri-editare tre mostre per me importanti. Una di non molti anni fa, mai abbastanza citata: Ar

chive Fever, ideata e curata da Okwui Enwezor all’Icp di New York nel 2008, attraverso la quale gli archivi divengono materia vivente e ci dimostrano come, per conoscere e costruire il presente, sia necessario essere almeno consapevol­i del passato. Un’altra è Chambres d’Amis, grande progetto inclusivo creato nel 1986 da Jan Hoet a dimostrazi­one della forza e della capacità dell’arte di accogliere, di unire e far sentire vicine le persone, una comunità. Infine un desiderio utopico, quasi più da visitatore: realizzare con altre istituzion­i della città la Documenta di Catherine David del 1997».

Resta poi da valorizzar­e il legame dell’Ica con le altre fondazioni milanesi: «Ci riteniamo complement­ari alle fondazioni esistenti. L’operato di fondazioni come questa e come Prada, Triennale, Hangar, Trussardi, Furla, Carriero e altre ancora ha reso e rende Milano un luogo davvero unico in Italia». E come giudica Salvadori la situazione dell’arte contempora­nea oggi? «Buona, almeno per me, perché non la leggo e non la vivo dal punto di vista economicis­tico né tantomeno da quello strategico relazional­e. L’arte è viva e la grande fortuna dei nostri tempi è che sia finalmente globale. Lo è sempre stata, ma non veniva interpreta­ta così».

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy