Corriere della Sera - La Lettura
Una casa per creare. E viverci, quasi
Istituzioni Nasce a Milano un nuovo spazio per l’arte. Sorge a ridosso della Fondazione Prada e si chiama Ica, sul modello dell’Ica di Londra. Non si limiterà a ospitare mostre ed eventi: darà anche atelier a pittori e scultori. Parla il responsabile, Alb
L’insegna sulla facciata di via Orobia 26, a Milano, recita: Prodotti e forniture complete per pasticcerie, arredamenti, macchine per gelato. Ma giovedì 24 gennaio, oltre il cancello, accanto a un ingrosso di banconi frigo e gelatiere, prenderà vita l’Ica, il nuovo spazio-laboratorio per l’arte contemporanea: in un capannone industriale degli anni Trenta, dismesso da più di venti, 700 metri quadrati divisi su due piani, una facciata rosso scuro e grigio scrostata e nascosta in una sequenza di cortili ancora tutti da sistemare (con tanto di erbacce) per ora affollati soltanto di operai.
Ma la chiusura dei lavori è forse la cosa che meno sembra preoccupare Alberto Salvadori (1969, già alla guida del Museo Marino Marini di Firenze) al quale è stata affidata la direzione dell’Ica, in zona Porta Vittoria, a un passo dalla torre dorata della Fondazione Prada e dalla nuova sede di Fastweb. Anche perché l’idea di un work in progress (laboratori, atelier, biblioteche d’arte che nascono da piccole donazioni di privati) è quella che caratterizza questo progetto, spiega Salvadori: «È nato due anni fa dai pensieri di un gruppo di appassionati e che noi definiamo un progetto di ecologia per la cultura». In che senso? «Ecologia è una parola formata da oikos, casa o ambiente, e logos, discorso o studio. E noi guardiamo ai processi vitali, alle interazioni, ai cambiamenti, ai movimenti attraverso le comunità di vita. Ci affascinano le differenze, non l’omologazione, il pensiero complesso e articolato e non quello unico».
L’Ica (Istituto contemporaneo per le arti) di Milano sarà aperta 4 giorni a settimana 8 ore al giorno (ingresso gratuito) ed è stata progettata per essere ecosostenibile: quindi «costerà non molto». Come modello di riferimento avrà l’Ica di Londra nato nel 1946: un modo di partecipazione all’arte totalmente privato e non profit dove «non si predilige l’arte visiva bensì la presenza di tutte le espressioni della cultura contemporanea». Per que- sto, dice Salvadori, «ci piace parlare di factory, di un Kraftwerk contemporaneo, di un luogo simile alla Sesc Pompeia a San Paolo dove convivono la forza e la capacità espressiva dell’individuo, la sua attività intellettuale e quella fisico-motoria». Il tutto chiuso all’interno di un sistema architettonico progettato da Lina Bo Bardi per uno spazio che, come l’Ica Milano, era stato in precedenza una fabbrica.
La stessa storia dell’Ica londinese defi- nisce, secondo Salvadori, il percorso ideale che dovrà seguire questa nuova realtà milanese, tecnicamente una Fondazione no-profit guidata da Lorenzo Sassoli de Bianchi (presidente), Bruno Bolfo (vice presidente con Giancarlo Bonollo, Enea Righi, Alberto Salvadori come consiglieri, in pratica il gruppo di appassionati delle origini) a cui potranno aggiungersi altri soci e donatori («anche piccoli»). Nato come alternativa alla Royal Academy of Art, l’Ica di Londra si era con il tempo trasformato in uno spazio dove era (ed è ancora) possibile «discutere, praticare e promuovere l’arte al di là dei confini tradizionali». Diventando un punto di riferimento «per tutti gli appassionati d’arte così come per artisti, critici e ricercatori che dell’arte ne hanno fatto un mestiere». Un laboratorio perfetto dove hanno preso forma le prime sperimentazioni di Pop Art, Op Art e Brutalismo da cui sarebbero passati (tra gli altri) Richard Prince, Asger Jorn, Gerhard Richter, Francis Bacon, Dieter Roth, Marcel Broodthaers, Mike Kelley e Barbara Kruger.
Perché la scelta di Milano e di quell’area in particolare? «Oggi Milano è il luogo ideale dove costruire un progetto come questo, per la sua anima solidale, intraprendente e imprenditoriale; Milano è il contesto giusto per un progetto di relazione tra arricchimento intellettuale e solidarietà. Anche in questo sta il piacere d’essere parte di una grande città come questa che ha fatto della cultura un punto fondamentale nel disegno del suo presente e del suo futuro. L’area dove sorgerà Ica rappresenta tutto questo, a cominciare dalla pluralità e dall’internazionalità di Milano; è come se noi stessimo piantando qui un albero, un albero che speriamo cresca forte e rigoglioso, in una parte della città dove il terreno appare fertile».
Ora l’Ica è pronta a partire. Con la mostra collettiva (curata da Salvadori con Luigi Fassi) Apologia della storia. The Historian’s Craft, 13 artisti internazionali che si confronteranno con una figura centrale della storiografia e della cultura moderne come Marc Bloch, che ha aperto la strada a generazioni di studiosi, artisti e pensatori, insegnandoci a riflettere sulle molte e necessarie possibilità di vedere, indagare, raccontare e non giudicare la realtà attorno a noi. Poi, a seguire, una mostra monografica dedicata a Hans Josephsohn (1920-2012), un grande scultore europeo ancora poco noto in Italia, e una serie di piccole mostre di approfondimento sugli archivi e sulla storia delle gallerie italiane. In cantiere anche una serie di progetti di ospitalità per laboratori e servizi attraverso l’arte.
Se si chiede a Salvadori quali eventi vorrebbe replicare all’Ica, la risposta è che «più che replicare vorrei ri-editare tre mostre per me importanti. Una di non molti anni fa, mai abbastanza citata: Ar
chive Fever, ideata e curata da Okwui Enwezor all’Icp di New York nel 2008, attraverso la quale gli archivi divengono materia vivente e ci dimostrano come, per conoscere e costruire il presente, sia necessario essere almeno consapevoli del passato. Un’altra è Chambres d’Amis, grande progetto inclusivo creato nel 1986 da Jan Hoet a dimostrazione della forza e della capacità dell’arte di accogliere, di unire e far sentire vicine le persone, una comunità. Infine un desiderio utopico, quasi più da visitatore: realizzare con altre istituzioni della città la Documenta di Catherine David del 1997».
Resta poi da valorizzare il legame dell’Ica con le altre fondazioni milanesi: «Ci riteniamo complementari alle fondazioni esistenti. L’operato di fondazioni come questa e come Prada, Triennale, Hangar, Trussardi, Furla, Carriero e altre ancora ha reso e rende Milano un luogo davvero unico in Italia». E come giudica Salvadori la situazione dell’arte contemporanea oggi? «Buona, almeno per me, perché non la leggo e non la vivo dal punto di vista economicistico né tantomeno da quello strategico relazionale. L’arte è viva e la grande fortuna dei nostri tempi è che sia finalmente globale. Lo è sempre stata, ma non veniva interpretata così».