Corriere della Sera - La Lettura
i
L’autore
Il leader socialista Pietro Nenni (nella foto in uniforme durante la Prima guerra mondiale) ripubblicò nel 1962 con il titolo Il diciannovismo (Edizioni Avanti!) un suo libro di riflessioni sulle vicende che avevano portato alla dittatura fascista, edito nel 1927 da Libreria del Quarto Stato, Storia di quattro anni. Si tratta di una testimonianza molto vivida sui fermenti che avevano agitato l’Italia all’indomani della Grande guerra, tra aspirazioni di rinnovamento, velleità rivoluzionarie, spinte nazionaliste dannunziane
Le agitazioni
Nenni (1891-1980) scriveva di quelle vicende per esperienza diretta. Giovane militante repubblicano in Romagna, aveva partecipato ai moti contro l’impresa coloniale in Libia (1911) e poi a quelli della Settimana rossa (1914), si era arruolato volontario e aveva combattuto nella Grande guerra, convinto che il conflitto avrebbe aperto la strada a un radicale mutamento politico. Proprio nel 1919, reduce dal fronte, si era avvicinato con altri interventisti repubblicani al Fascio di Bologna, che però aveva rapidamente abbandonato. Lui stesso dunque era stato contagiato dal clima confuso che aveva prima favorito l’estrema sinistra, poi aperto la strada all’ascesa di Benito Mussolini, del quale era stato del resto amico personale quando il futuro Duce era un dirigente socialista a Forlì. In seguito Nenni si orientò in senso sempre più nettamente antifascista: nel 1921 aderì al Psi, di cui sarebbe diventato leader storico di primaria importanza
La riscoperta nel 1977
Il termine «diciannovismo» torna in uso da parte di alcuni esponenti del Partito comunista, in primo luogo Giovanni Amendola e il segretario Enrico Berlinguer, per condannare il movimento di protesta giovanile del 1977, che si era rivolto anche contro la sinistra storica, in particolare con la cacciata di Luciano Lama, segretario generale della Cgil, dall’Università La Sapienza di Roma, dove era andato per tenere un comizio il 17 febbraio del 1977. Ai vertici del Pci parve di cogliere all’epoca l’impronta di un ribellismo violento simile a quello che nel 1919 si era espresso nelle prime manifestazioni dello squadrismo fascista