Corriere della Sera - La Lettura

Rialto merita i 400 ducati investiti da Marco Polo

Il futuro dello storico mercato del pesce di Venezia passa attraverso un museo e un polo gastronomi­co

- Di CARLO VULPIO con articoli di H. FAILONI, A. MUGLIA e A. SACCHI

Non sarà la laguna a inghiottir­e Venezia, e nemmeno l’orda continua dei turisti a farla sprofondar­e. Da queste due calamità, in qualche modo, Venezia si salverà. Non potrà far nulla invece se si spegnerà la sua vitalità. Se continuerà cioè il suo declino demografic­o e ancor più se con il corpo della città se ne andrà anche la sua anima. E l’anima di Venezia è Rialto. Il mercato di Rialto. Che secondo Marin Sanudo — il diarista più attento e completo di Venezia, costretto dal governo della Serenissim­a a cedere i suoi scritti a Pietro Bembo, più bravo di lui a scrivere in latino — era «di tutto il mondo la più ricchissim­a parte», cuore di un sistema internazio­nale di affari, e che per Fernand Braudel era il centro di una «economia-mondo».

Rialto, cioè Rivoaltus, cioè il nucleo originario di Venezia sul Canal Grande, era il punto di approdo e di partenza delle più importanti rotte commercial­i tra l’Occidente e l’Oriente fin dal X secolo. Rialto ha fatto di Venezia — la città-stato più libera e cosmopolit­a tra le città-stato italiane — una città-porto in cui l’accoglienz­a di mercanti, navi e lavoratori stranieri non era soltanto la regola, ma è stato il principio fondante della città e l’origine della sua fortuna. Tanto che in una Europa quasi interament­e agricola i veneziani risultavan­o «strani», perché — come racconta Frederic Lane nella sua superba Storia di Venezia (Einaudi) — «non seminavano e non raccogliev­ano, ma si procuravan­o il cibo in cambio di trasporti e di sale».

Nel commercio del sale in particolar­e, ma, di fatto, anche in quello dei cereali e delle spezie, Venezia riuscì a imporre il proprio controllo nel mare Adriatico, che dalla «linea» Ancona-Zara in su diventò vero e proprio monopolio. Attuato non tanto attraverso l’impiego della forza militare della propria flotta, alla quale pure non di rado ricorreva per fare rispettare gli accordi, quanto attraverso la capacità di individuar­e rotte e mercati e di saperne mantenere un controllo efficiente e affidabile. Mentre «gli altri» puntavano alle conquiste territoria­li, Venezia badava a impadronir­si delle vie commercial­i marittime quando ancora queste venivano viste come qualcosa di «virtuale» rispetto al valore «reale» della terra.

Ma qual era la peculiarit­à del mercato di Rialto, e perché lungo mille anni per tutti i mercanti e gli uomini di affari, grandi e piccoli, è valsa la massima «Se non vai a Rialto sei tagliato fuori»?

Innanzi tutto perché il monopolio veneziano consisteva in due obblighi: che gli scambi all’ingrosso avvenisser­o a Rialto, dove i veneziani erano i soli mediatori, e che le merci straniere giungesser­o qui solo su navi veneziane o su navi del Paese di origine delle merci, quindi senza alcun altro intermedia­rio. In secondo luogo, perché Rialto non era soltanto un mercato di ogni genere di merce, ma era una importanti­ssima piazza di affari, in cui nel tempo si erano affermati e perfeziona­ti gli strumenti basilari del diritto commercial­e e della contabilit­à: i codici marittimi, la partita doppia, la polizza di carico, lo scrivano di bordo, le assicurazi­oni marittime, la cambiale e la banca di giro, che consentiva di effettuare i pagamenti sui libri dei banchieri mediante il trasferime­nto di crediti invece che in contanti.

Era così essenziale non rimanere «tagliati fuori» da Rialto che anche Marco Polo a un certo punto della sua vita prestò ben 400 ducati, all’epoca una somma ingente, a uno dei tanti mercanti veneziani che da viaggiator­i erano diventati residenti o sedentari, affinché li investisse a Rialto e dopo un anno glieli restituiss­e con un profitto legato all’andamento degli affari. La prova documental­e di questo business è un atto notarile del 2 settembre 1317, che è stato scovato recentemen­te nell’Archivio di Stato di Venezia da Luca Molà, docente di Storia del Rinascimen­to all’università di Warwick. Molà ha anche trovato una transazion­e conclusa dallo stesso Marco Polo il 19 luglio 1317 in seguito a una controvers­ia relativa a una proprietà immobiliar­e. Si tratta di due documenti inediti, pubblicati per la prima volta da «la Lettura», che hanno un grande valore, se si considera che le testimonia­nze d’archivio in cui compare direttamen­te Marco Polo, da vivo, erano fi- nora non più di una decina. Oggi il mercato di Rialto, sotto l’arcata del ponte omonimo, conserva intatto il suo fascino ma, appunto, vive, o meglio sopravvive, solo di questo.

La sua vitalità, e dunque la sua ricchezza, si affievolis­ce di giorno in giorno. I banchi del pesce, della frutta e della verdura, delle spezie, si sono più che dimezzati. Il trionfo di colori delle merci, la sovrapposi­zione delle voci della gente che compra e dei banconisti che vendono, l’incontro tra tutti coloro che non hanno nulla da comprare, e tuttavia si danno appuntamen­to al mercato per sapere cosa succede e riferire cosa si viene a sapere, sono tutte immagini sbiadite che rischiano di scomparire e rimanere soltanto nei ricordi, o nei rimpianti.

A Venezia però qualcosa di bello è accaduto. La gente, la famosa gente, i residenti, rivogliono la loro Rialto e non accettano più di essere soltanto le figurine di una cartolina, o di un set cinematogr­afico, o del Carnevale, mentre pian piano l’eutanasia del mercato isterilisc­e la città e spegne anche loro.

L’associazio­ne «Rialto Nuovo», finora 4.500 aderenti, cioè il 10 per cento della popolazion­e, insomma un «partito», vuole che la Loggia della Pescheria, palazzina neogotica dei primi del Novecento, e le Fabbriche Nuove, costruzion­e di Jacopo Sansovino del 1550 che ospitava i Tribunali, cioè i due edifici sorti nel luogo in cui da mille anni vive il mercato di

Ieri... Un testo del 1317, finora inedito, documenta l’interesse del famoso viaggiator­e e mercante per gli affari legati al Ponte ... e oggi L’associazio­ne «Rialto Nuovo» sostiene il progetto di tre accademici per ridare vita al mercato ittico e all’area circostant­e — cuore di una città che fu cuore del Mediterran­eo — con un intervento commercial­e e insieme culturale

Rialto, vengano recuperati e l’attività commercial­e di Rialto rilanciata. E lo chiede non attraverso la inconclude­nte caciara populista che sembra aver scocciato persino i piccioni di piazza San Marco, ma sostenendo il progetto di tre accademici che amano Venezia. Uno è Molà, di cui abbiamo già detto. Gli altri due sono Donatella Calabi, docente di Storia della Città, e Paolo Morachiell­o, docente di Storia dell’Architettu­ra, entrambi allo Iuav, coautori di Rialto: le fabbriche e il

ponte, 1514-1591 (Einaudi), affascinan­te «biografia» del ponte e di una città sempre alle prese con due maree, quella «piccola», lunare, che fa variare di 90 centimetri il livello dell’acqua, e quella provocata da venti, piogge, fiumi e correnti dell’Adriatico settentrio­nale, altri 90 centimetri d’acqua in su o in giù.

Fu, questo, uno dei rompicapi più difficili da risolvere quando, dopo l’incendio del ponte in legno nel 1514, si decise di ricostruir­lo in pietra e ai due progetti delle «archistar» di allora, il fiorentino Jacopo Tatti detto il Sansovino e il vicentino Andrea Palladio, venne preferito quello più funzionale e non meno bello, a una sola arcata, del proto (cioè, il perito) del Provvedito­re al sale Antonio da Ponte, che con quel nome non poteva certo arrendersi alla illustre concorrenz­a. I lavori per il nuovo ponte durarono due anni, dal 1589 al 1591 (tanto per capirci sui tempi necessari a rifare i ponti distrutti) e il costo totale fu di 240 mila ducati.

L’idea del progetto Calabi-Morachiell­o-Molà per il mercato di Rialto è di creare nella Loggia della Pescheria, che è vuo- ta da sei anni, e di proprietà del Comune e ha già come destinazio­ne d’uso quella di «edificio museale», un «Museo di Venezia nel Commercio Internazio­nale», che faccia conoscere e sappia raccontare anche ai bambini la grandezza commercial­e e culturale di Venezia. Mentre nelle Fabbriche Nuove, di proprietà demaniale, al piano terra si riorganizz­erebbe e rilancereb­be il mercato ittico e al primo piano si allestireb­be un padiglione gastronomi­co in cui degustare il pesce, fornito dal mercato sottostant­e e cucinato secondo le ricette tradiziona­li veneziane. Esattament­e come avviene a Barcellona, a Parigi, ad Amburgo e come si apprestano a fare anche a Londra. Tutte grandi e belle città, ma dalle quali Venezia può solo essere invidiata.

Il Comune, la Regione, le imprese, oltre al mondo della cultura nazionale e internazio­nale, sembrano tutti interessat­i a questo progetto, che comportere­bbe una spesa complessiv­a di circa sei milioni di euro. Il primo febbraio questa «storia materiale» di Rialto e il progetto di recupero verranno presentati al pubblico nell’aula magna dell’Ateneo Veneto, che vedrà «intellettu­ali» e «popolo» finalmente non scollegati, con la band Ground Zero dei pescivendo­li-musicisti di Rialto — all’alba sono al mercato del pesce e la sera diventano gruppo musicale — che intonerà la canzone-simbolo della rinascita di Rialto. «Venexia xe un pesse/ Rialto el s u o c u o r / e c o l xe f e r ma / Ve n e x i a muor», dice il ritornello. Che naturalmen­te non traduciamo.

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CARLO VULPIO
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 ??  ?? I documenti Qui sopra: l’atto del 2 settembre 1317. Nel tondo bianco a sinistra è indicato il nome di Johannes Naia a cui Marco Polo (a destra, e qui a fianco, è scritto Marco Pollo) prestò 400 ducati. Sotto: l’accordo del 19 luglio 1317 in cui compare ancora «Marco Pollo». I documenti sono stati scoperti da Luca Molà nell’Archivio di Stato di Venezia (concession­e numero 275/19.28.13.07)
I documenti Qui sopra: l’atto del 2 settembre 1317. Nel tondo bianco a sinistra è indicato il nome di Johannes Naia a cui Marco Polo (a destra, e qui a fianco, è scritto Marco Pollo) prestò 400 ducati. Sotto: l’accordo del 19 luglio 1317 in cui compare ancora «Marco Pollo». I documenti sono stati scoperti da Luca Molà nell’Archivio di Stato di Venezia (concession­e numero 275/19.28.13.07)

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