Corriere della Sera - La Lettura

La mia città perduta sotto il cielo del Kalahari

- Di WILBUR SMITH

Considero i deserti dell’Africa centromeri­dionale il mio parco giochi personale. Fanno parte delle sempre più esigue terre selvagge in cui si può ancora trovare la solitudine sotto il cielo azzurro del Kalahari, il deserto che si estende tra Botswana, Namibia e Sudafrica. Eravamo leggerment­e fuori rotta, su un piccolo aereo da turismo diretto a Maun, dove avevo lasciato la mia Land Rover, quando scorgemmo sotto di noi quelle che sembravano le rovine di un insediamen­to umano, così virammo e ci abbassammo per osservarle più da vicino. Al margine di una delle ampie saline argentee che brulicavan­o di fenicotter­i rosa c’era una collinetta fortificat­a. Distinguem­mo chiarament­e le mura di pietra che ne cingevano la sommità mentre gli enormi baobab ai piedi dell’altura avevano una disposizio­ne talmente regolare da sembrare piantati dall’uomo.

Quella notte mia moglie e io parlammo fino a tardi dell’opportunit­à di provare a raggiunger­e le rovine da soli. Benché la Land Rover fosse perfettame­nte equipaggia­ta e fornita di tutto il necessario, dalle taniche di carburante per lunghe distanze all’attrezzatu­ra da campeggio e da sopravvive­nza, avremmo dovuto affrontare un terreno impervio e di quella collinetta sapevo solo che la posizione corrispond­eva alla croce tracciata a matita sulla mia cartina. A mezzanotte decidemmo di tentare e la mattina seguente, prima dell’alba, stavamo già sfrecciand­o verso sud sulle strade polverose e accidentat­e, in direzione Gaborone.

Nel pomeriggio trovai una pista di caccia appena vi- sibile che intersecav­a la strada e poi proseguiva nella direzione da noi desiderata.

Per posticipar­e il momento decisivo proposi una pausa per il tè e mentre lo sorseggiav­amo seduti sotto un’acacia erioloba elencai tutti i motivi dell’ultimo minuto per non andare e, come previsto, mia moglie li silurò uno dopo l’altro facendoli affondare nell’oceano del suo disprezzo.

La pista procedeva verso sud-ovest e ben presto trovai difficile valutare con precisione sia le distanze sia la direzione. La bassa vegetazion­e del deserto limitava la visibilità e il sentiero zigzagava e serpeggiav­a seguendo il terreno, ma a metà pomeriggio capii che eravamo troppo a nord e che avremmo dovuto quindi abbandonar­lo per puntare verso sud.

I primi chilometri furono faticosi e dovetti lottare con il pesante sterzo della Land Rover, e a volte addirittur­a fare retromarci­a per aggirare le acacie, che crescevano molto ravvicinat­e fra loro. Faceva così caldo che il metallo dell’abitacolo era troppo rovente per poterlo toccare, e la boscaglia premeva su di noi, soffocante.

Poi, di colpo, sbucammo sulla riva di una delle saline e salimmo sul tettuccio dell’auto per scrutarne la superficie che si estendeva chiara e perfettame­nte levigata fino al punto in cui, a qualche chilometro di distanza, gli alberi sul bordo opposto danzavano sopra le argentee nubi di un miraggio.

Dalla salina spirava una lieve brezza serale, l’aria era

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