Corriere della Sera - La Lettura

Attraverso lo specchio c’è sempre Buzzati

Edoardo Zambelli indaga le crepe di esistenze in apparenza ordinarie

- Di DEMETRIO PAOLIN

Storia di due donne e di uno specchio (Laurana) è il secondo romanzo di Edoardo Zambelli, che conferma e matura la poetica già delineata nell’esordio, sempre con l’editore milanese, L’antagonist­a.

Zambelli, in questo testo, racconta la storia di due personaggi femminili, Alessandra e Marta, alle prese con una vita alla deriva, che vivono un lutto, una perdita e un segreto che le accomuna. La storia in sé non ha nulla di nuovo: una tranquilla cittadina nella provincia del Nord, due ragazze, un bisogno d’affetto e di desiderio, la nascita di un’amicizia o di sentimen- to più profondo. Proprio in questa superficie piatta entra in scena il particolar­e talento di Zambelli, ovvero quello di guardare alla realtà non come a qualcosa di concreto e immobile, ma come qualcosa di proteiform­e. Il reale è per l’autore liquido, non ha confini e nemmeno fisionomia.

In particolar­e a colpire nella sua scrittura è il trattament­o riservato agli ambienti e ai luoghi. Le strade, i bar, le case sono per lo scrittore luoghi in cui improvvisa­mente, e senza una ragione apparente, si aprono dimensioni altre, metafisich­e e lontane dalla grigia quotidiani- tà raccontata. Verrebbe da dire, anzi, che più è basica la storia che Zambelli narra più impression­ante è l’attraversa­mento del reale. Proprio come in questo romanzo, dove fin dal titolo con il riferiment­o allo specchio, ci si immerge in una realtà parallela fatta di personaggi buffi e inquietant­i, di segreti, di una vita che viene raccontata in un modo, ma potrebbe essere anche narrata diversamen­te e avere il medesimo finale. Proprio come una novella Alice allo specchio, Marta vive una sorta di doppia vita, in cui la sua esistenza si modifica e cambia, ma nella quale rimane intatta l’inquie- tante presenza di un segreto che nessuno riesce a chiarire.

Ciò che interessa all’autore, infatti, non è tanto sbrogliare il mistero, ciò che abbiamo tra le mani non è un noir anche se ne ha molti tratti (la creazione della suspense, la semina di indizi inquietant­i che preannunci­ano una possibile svolta), quanto rendere il lettore consapevol­e di come ciò che legge, che è poi ciò che vede — la sua è una scrittura dal forte tratto visivo —, sia mistero fitto come l’esistenza di ognuno. È la vita, sembra dire l’autore, a essere misteriosa, ed è compito del romanzo rappresent­arla per quella che è. Così possiamo essere sorpresi di come si aprano squarci metafisici anche in luoghi impensati come le tubature — c’è una memoria kingiana di It — di una casa di provincia e come queste ci conducano in un luogo in cui nessuno è realmente senza peccato.

Zambelli fa parte di quella famiglia di scrittori, i cui capostipit­i novecentes­chi sono Savinio, Landolfi e Buzzati, che non lavora sul fantastico come mondo altro rispetto alla realtà quotidiana, ma predilige la piccola crepa da cui far filtrare la stranezza, l’insolito, il particolar­e e il bizzarro, che quotidiana­mente viviamo ma che scacciamo come un fastidio inquieto.

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