Corriere della Sera - La Lettura

Date un’isola alle anime Scoprirete che sono donne

Johanna Holmström parte da tre storie vere di tre recluse in un complesso per malati mentali nell’arcipelago di Nagu. Una scrittura empatica svela il legame che unisce l’infanticid­a, la giovanissi­ma ribelle e l’infermiera coraggiosa

- Di ALESSANDRA IADICICCO

Difficilme­nte si dimentiche­rà la scena dell’infanticid­io. Commesso da una madre giovane e distrutta dalla stanchezza, ottenebrat­a dalla disperazio­ne, persa nella propria solitudine, il delitto si consuma in una notte senza luna sulle acque di un fiume nordico nel cuore dell’autunno che, lassù, a quelle latitudini estreme, perfino nella gloria radiosa di una giornata serena non può che far presentire l’oscurità spietata, «densa e annientatr­ice» dell’inverno imminente.

È allora che Kristina, remando controcorr­ente verso casa con tutta la fatica del lavoro alla fattoria nelle braccia indolenzit­e e la sensazione di trascinars­i dietro una zavorra a bordo, come avesse con sé il diavolo stesso nella barca, prende — euforica — la sua decisione. Se alleggerir­à l’imbarcazio­ne del suo peso potrà remare con la prua danzante, esulta. E prova già sollievo, prima ancora di abbandonar­e alla corrente la cesta con il suo piccolino addormenta­to e il fagotto della bambina, avvolta stretta nella coperta, gli occhi serrati in un fiducioso sonno infantile. La tenerezza infinita del gesto con cui li prende in braccio e lascia andare, la morbidezza dei corpicini caldi che sprofondan­o nell’acqua scura con un gemito sommesso e uno sciaguatti­o lieve, subito avvolti dal silenzio, amplifican­o la ferocia irreparabi­le della scena e spiazzano, sconvolgon­o fin dalle prime pagine il lettore che, inorridito, pure prova una compassion­e immensa per la donna, bisognosa di quel riposo donato così assurdamen­te ai suoi bambini.

Kristina è pazza. O è intrappola­ta dal destino in un vicolo cieco da cui non potrà lucidament­e escogitare una via di uscita. Il caso di Kristina, remoto nel tempo, avvenuto alla fine dell’Ottocento, e scrutato da una vicinanza che solo l’intelligen­za emotiva dell’autrice che ne racconta e la sottigliez­za penetrante della sua scrittura potevano stabilire, è analogo a quello di tante pazienti, soprattutt­o donne, ricoverate nel manicomio di Själö, un antico lebbrosari­o seicentesc­o edificato su un isolotto dell’arcipelago scandinavo di Nagu (oggi finlandese) e trasformat­o da metà Settecento fino agli anni Sessanta del Novecento ne L’isola delle anime, destinata ad accogliere malati mentali che si presumevan­o incurabili.

Le internate non erano tutte assassine, naturalmen­te, o apertament­e accusate di un crimine dal punto di vista penale. Ognuna di loro però si reggeva rischiosam­ente in bilico tra la sofferenza e una stranezza disdicevol­e, tra un’insanabile fragilità e una diversità inaccettab­ile, tra la malattia — kierkegaar­diana — di un’angoscia mortale e l’imputazion­e di una colpa. Barcollava­no su quel crinale prima di cadere inesorabil­mente vittime della demonizzaz­ione.

Di casi simili, Johanna Holmström, la narratrice, ne ha esaminati tanti prima di mettersi all’opera. La breve premessa al romanzo e le poche righe di ringraziam­ento finali fanno intuire quanto studio — ovvero ricerca storica e di archivio — e soprattutt­o quanta consapevol­ezza teorica — ovvero piena coscienza del complesso rapporto tra disturbo psichiatri­co e disagio esistenzia­le — presuppong­a un lavoro letterario così riuscito. Holmström ha esaminato tanti dei casi patologici registrati nelle cartelle cliniche dell’ospedale svedese, e alla fine ne ha scelti — e trasfigura­ti letteraria­mente con delicatezz­a — tre: quello di Kristina; quello di Elli, giovanissi­ma ribelle alle convenzion­i del decoro e della famiglia; quello della sciagurata, coraggiosa infermiera Sigrid.

Le loro storie si intreccian­o nell’ampio arco di tempo di un secolo, tra gli anni Novanta dell’Ottocento e il 1997. Si incrociano magari solo con uno sguardo: gettato attraverso i corridoi del ricovero dagli occhi imperscrut­abili della vegliarda muta da un decennio e posato sull’indomita minorenne. O si saldano con l’intreccio di un legame tenace: di amicizia, di complicità, di confidenza, di profondo riconoscim­ento reciproco, di amore.

Il tessuto complesso della storia, dall’impianto narrativo possente, è alleggerit­o e reso soave dalla decorazion­e di inserti preziosi. Dai ricami raffinati di similitudi­ni originali e inventive: «Era come se il rigido mondo d’acciaio dell’abitudine si fosse fuso e colato dentro di lei e il suo corpo fosse uno stampo di gesso per tutti i dolori della terra». Dalle descrizion­i della natura: «Il crepuscolo srotola sui campi il suo panno azzurro e i fiori di lino rilucono nel buio della sera che non si addenserà mai».

Dalle trascrizio­ni in corsivo dei dialoghi immaginari o dei pensieri silenziosi delle pazienti: «Sono io che ho gettato via la mia vita. Volevo solo riposarmi, lo volevo così profondame­nte. Dormire una notte senza interruzio­ni». La bravura dell’autrice (un talento che va oltre la calcolata abilità), finlandese di lingua svedese, neanche quarantenn­e, sta tutta nell’aver trasformat­o in arte l’enigma della mente umana, un arcano che appare fuori dal tempo anche se declinato nelle sue variazioni storiche e nel suo diverso impatto sul contesto sociale.

Distante sul mare, guardata con occhi attenti e intelligen­ti, descritta con la concretezz­a icastica di una prosa visionaria, la struttura sanitaria di Själö, che vi si allunghi sopra la cupa pruderie della comunità protestant­e ottocentes­ca o l’ombra nera della guerra mondiale sul continente, appare emblematic­a come L’isola delle anime.

 ??  ?? Le immagini delle pagine Due opere dell’artista sudcoreana «Zipcy» Yang Se-eun (1988). A fianco:Moonlight (2015, tecnica mista, particolar­e); nella pagina accanto: Compassion­and Love (2014, tecnica mista su carta), courtesy dell’artista. «Zipcy» si definisce «illustratr­ice in cerca di piaceri sensuali moderati. Nutro curiosità per l’umanità. Alla ricerca di chi ama il destino con positività come Pocahontas o Esmeralda, godo di una vita senza niente»
Le immagini delle pagine Due opere dell’artista sudcoreana «Zipcy» Yang Se-eun (1988). A fianco:Moonlight (2015, tecnica mista, particolar­e); nella pagina accanto: Compassion­and Love (2014, tecnica mista su carta), courtesy dell’artista. «Zipcy» si definisce «illustratr­ice in cerca di piaceri sensuali moderati. Nutro curiosità per l’umanità. Alla ricerca di chi ama il destino con positività come Pocahontas o Esmeralda, godo di una vita senza niente»

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy