Corriere della Sera - La Lettura
Che cosa rende cara una persona?
Madre e figlio, nonno e nipote, malata e medico. Vera Giaconi pubblica una raccolta di racconti in cui esplora l’intimità: quel senso di riparo e di sicurezza, ma anche di precipizio
«per diventare donna, avrebbe dovuto vivere almeno vent’anni», ovvero l’unico femminile possibile, quello che plasma e inventa lui.
Da qui il pericolo: cosa sarà, o tornerà a essere Dumas senza la nipote?
Lo stesso rispecchiamento — fasullo relazionarsi, narcisistico rimirarsi — che in Beati porta Rosa a trovare la sua missione nella cura della signora Laura (Rosa non si sentiva così da quando il figl i o e r a neonato), per poi s postare l’identificazione sul cagnolino al quale i padroni la equiparano: entrambi creature da compagnia. Lei e quell’animaletto così vulnerabile, quell’essere indifeso che Rosa, in un estremo gesto di protezione, porta via. Porta via il cane insieme a sé stessa.
Di nuovo individualità appena conquistata e già messa a rischio. I protagonisti di Persone care sono tutti minacciati da un incombente cambiamento — reale o immaginario. Come Adrián ( Stimatore), che osservando la madre addormentata — denti gialli, pelle crepata, respiro pesante, lontano il ricordo della mamma profumata — nota la protuberanza in mezzo alla gambe. Che sia incontinente? E allora si domanda per quanto tempo ancora sarà autonoma. Calcola, immagina, gli anziani di oggi possono arrivare a cento anni, disastro economico per i figli. Spettro che spinge Adrián all’azione.
Facendo sua la lezione di Raymond Carver, la tragedia preparata, evocata, e mai raccontata, l’autrice si ferma un passo prima dell’esplosione.
Questa magnifica raccolta di racconti è pubblicata da Martina Testa e Marco Cassini (ex minimum fax, ora Sur), ai quali si deve la scoperta dei nostri migliori scrittori di racconti (pensiamo a Valeria Parrella, Carola Susani, Paolo Cognetti, Rossella Milone).
Vera Giaconi ricorda proprio Rossella Milone, scrittrice straordinaria, non solo di racconti (vedi il recente Cattiva, Einaudi). In Giaconi come in Milone non ha importanza l’atto in sé — crimine, liberazione — ma il pensiero, lo straniamento che ha portato fin lì. Così come in Milone, anche in Giaconi si va componendo un mondo nel quale la domanda urgente diventa: cosa esiste davvero?
L’Ozzy della tv, o l’Ozzy della vita quotidiana da fidanzato? ( Survivor). La televisione più reale del reale. E quando non è la televisione, è l’immaginazione, la paura.
Comunque dimensioni alternative che dalla realtà prendono spunto.
Quasi che il mondo sia un’alterazione soggettiva dove solitudine e incomprensione bastano per abdicare al vero, e dove un solo dettaglio può ricalcare il verosimile.
In questo libro denso, misurato, bellissimo, nel suo ossessivo ricalco di ricalco, catena di rimandi, è evidente che la prossimità temuta sia la morte.
Vera Giaconi mette in scena nient’altro che tentativi di allontanamento. Con la speranza che a un certo punto — dall’alto, dal basso, da dentro — arrivi una voce, quella voce a dire: ora puoi morire, «ora puoi morire tranquillo, Dumas».