Corriere della Sera - La Lettura
Esordio della graphic poetry
Un futuro non troppo lontano, parecchio riconoscibile (ahinoi). Per le parole e l’autenticità tra esseri umani non c’è spazio. La salvezza? I versi. La storia di Nicola Bultrini e Mauro Cicarè esalta immaginazione e canto. E lancia un genere
La poesia è diventata un romanzo. A fumetti. È uscita infatti in questi giorni la prima graphic novel italiana interamente dedicata alla poesia e, almeno altrettanto, ai poeti contemporanei. Sono proprio loro i protagonisti della storia. Poeti del passato recente ma più spesso poeti viventi, tant’è che scorrendo le immagini il lettore viene inevitabilmente coinvolto in una specie di gioco del riconoscimento. E questo gioco può riguardare non solo la fisionomia dei personaggi-poeti, ma anche l’attribuzione dei tanti versi che costellano il racconto e di cui, in una piccola nota posta in calce al volume, viene svelata da ultimo la paternità.
La grande adunanza, realizzata per Capire Edizioni da Nicola Bultrini (suoi i testi) e Mauro Cicarè (suoi i disegni; le note introduttive sono di Pasquale Petrolo e Claudio Gregori, ovvero Lillo e Greg), a tutta prima sembrerebbe aver messo le radici in quella specie di grande pancia o palude che è il cosiddetto mondo della poesia. Lo stesso mondo che almeno dai tempi de Il pubblico della poesia, l’antologia curata da Alfonso Berardinelli e Franco Cordelli nel 1975, viene generalmente definito come quello dei moltissimi che scrivono versi e dei pochissimi che li leggono. Proprio come se si trattasse di un grande concerto in cui tutti gli spettatori sono saliti sul palco per cantare ciascuno la propria canzone, mentre sul prato non è rimasto più nessuno.
Ma la situazione qui è molto diversa. Per prima cosa, infatti, la vicenda è collocata in un futuro estremamente oscuro e negativo, dove l’arte del verso, come e for- se più di ogni altra arte, sta rischiando addirittura l’estinzione. Di poeti in giro non ce ne sono più. Anzi, i pochi rimasti non solo vivono come semisepolti in un mondo che fa assolutamente a meno di loro (situazione tutt’altro che inedita, per altro) ma hanno persino perduto, o quasi, la memoria di sé stessi. Al di fuori delle loro tane — ma, come detto, in parte anche dentro loro stessi — ogni cosa è governata dalla tecnologia, soprattutto informatica, dai principi economici, dalle necessità commerciali. Non c’è stato bisogno di nessuna rivoluzione o guerra o catastrofe improvvisa, perché questo accadesse. Lo stravolgimento della natura, anche e soprattutto umana, si è imposto via via con la massima naturalezza. E così lo spegnimento della vita artistica e spirituale, delle risorse creative, delle energie individuali. La vittoria dell’informazione globale, dell’intrattenimento, della pubblicità, del digitale, è assoluta. Di conseguenza i libri, le biblioteche, la carta stessa, non esistono più.
È all’interno di questo mondo dai tratti così familiari e riconoscibili, anche se per fortuna non del tutto coincidente con il nostro presente, che improvvisamente avviene qualcosa d’irregolare, vale a dire il risveglio degli uomini con e attraverso la poesia. Una specie di strappo o di clic assolutamente fuori tempo e imprevisto dalla società codificata, che fa venire in mente l’affermazione di Josif Brodskij secondo cui la poesia è il canto dell’atomo che sfida la reazione a catena. Comunque sia, da quel clic tutto comincia a cambiare: spinta interiore, vitalità dei volti, rapporti tra gli uomini, senso delle parole. Se la situazione appare estremamente distopica, dunque, viceversa almeno altrettanto utopico è l’orizzonte condiviso dai due autori, che infatti così commentano il loro lavoro: «La storia, paradossale ma non troppo, irreale ma verosimile, non ha altro intento che manifestare l’amore per la parola scritta, nella convinzione che si può dire d’essere liberi, quando si è in grado di raccontare».
L’assunto de La grande adunanza appare dunque provocatoriamente ma anche smaccatamente positivo. Eppure, anche a prescindere dal fatto che un’utopia è estrema oppure non è, la storia narrata in qualche misura funziona, la vicenda regge. Questo anzitutto perché il racconto sposta sì tutto in avanti, in un futuro più o meno plausibile, ma poi, per quanto riguarda la necessità e la scaturigine della parola poetica, va comunque all’origine, scende cioè nel basso, in quel cortocircuito basico che si svolge sempre e necessariamente ad altezza d’uomo, e che è capace di per sé di giustificare l’esistenza di una poesia: la necessità di dire, di cantare, d’esprimere e individuare, di entrare in contatto con l’altro (che è cosa, quest’ultima, molto diversa dal chiedere amicizia). Testi e immagini insistono concordemente su questo punto. Anche i disegni, infatti, appaiono sempre intesi a rendere visibile l’esultanza che il risveglio della parola porta con sé: il tratto è vivace e reattivo, i volti si illuminano, prendono vita, come se a questo punto rifiutassero di assopirsi su sé stessi.
Non è un caso che tutti i versi riportati coincidano con la necessità di dire per, piuttosto che di dire contro (questo semmai viene di per sé, ma sempre in seconda battuta, come una conseguenza). Versi che qualcuno ha scritto su un muro, su un palo della luce, su un pezzo di ferro, e che qualcun altro a sua volta riprende. Graffiti puri e semplici, insomma. Anche da questo punto di vista tutto parte dal basso. È stata una scelta giusta quella di non far scrivere o recitare ai poeti anche più noti le loro poesie, quanto invece quelle di altri. Nessuna auto-celebrazione, insomma. I primi versi che s’incontrano sono di Franco Loi (anche se questo, come detto, non conta poi molto): «Il respiro è un respiro che appartiene a un altro respiro./ Così il vecchio aspetta la sua ragazza/ l’anima nuova che torna da lontano». Ma ci sono ad esempio anche le parole di Omero, che qualcuno ha appunto inciso su un palo: «Aurora vestita di croco s’alzava sopra le acque d’Oceano, a portare la luce ad immortali e mortali». In ogni caso, si tratta sempre di versi che dicono del rinnovamento, del germogliare, dell’apertura al nuovo, del rinascere, ma sempre, indissolubilmente, attraverso il senso della continuità e della memoria profonda (una memoria, diremmo, della specie o antropologica). Accade allora che questi versi funzionino come degli autentici semi di speranza: qualcosa che è capace di rinnovamento proprio perché porta con sé un intero corredo genetico. Del resto, come ha detto in un’occasione Eugenio Montale, la poesia costituisce di per sé un invito alla speranza.
Oltre a quelli di diversi poeti viventi, si potranno riconoscere i volti di Edoardo Sanguineti, Alda Merini o Valentino Zeichen, che compare in diretta sul display di un telefonino. Sono proprio loro, certo, eppure un merito del fumetto è di farli apparire come donne e uomini che vivono semplicemente tra altre donne e uomini. Anche se è vero che portano con sé quella loro luce. Alla fine compare allora anche Pier Paolo Pasolini: l’ultima inquadratura, infatti, è la sua. Forse è giusto che sia così.