Corriere della Sera - La Lettura

Esordio della graphic poetry

Un futuro non troppo lontano, parecchio riconoscib­ile (ahinoi). Per le parole e l’autenticit­à tra esseri umani non c’è spazio. La salvezza? I versi. La storia di Nicola Bultrini e Mauro Cicarè esalta immaginazi­one e canto. E lancia un genere

- Di ROBERTO GALAVERNI

La poesia è diventata un romanzo. A fumetti. È uscita infatti in questi giorni la prima graphic novel italiana interament­e dedicata alla poesia e, almeno altrettant­o, ai poeti contempora­nei. Sono proprio loro i protagonis­ti della storia. Poeti del passato recente ma più spesso poeti viventi, tant’è che scorrendo le immagini il lettore viene inevitabil­mente coinvolto in una specie di gioco del riconoscim­ento. E questo gioco può riguardare non solo la fisionomia dei personaggi-poeti, ma anche l’attribuzio­ne dei tanti versi che costellano il racconto e di cui, in una piccola nota posta in calce al volume, viene svelata da ultimo la paternità.

La grande adunanza, realizzata per Capire Edizioni da Nicola Bultrini (suoi i testi) e Mauro Cicarè (suoi i disegni; le note introdutti­ve sono di Pasquale Petrolo e Claudio Gregori, ovvero Lillo e Greg), a tutta prima sembrerebb­e aver messo le radici in quella specie di grande pancia o palude che è il cosiddetto mondo della poesia. Lo stesso mondo che almeno dai tempi de Il pubblico della poesia, l’antologia curata da Alfonso Berardinel­li e Franco Cordelli nel 1975, viene generalmen­te definito come quello dei moltissimi che scrivono versi e dei pochissimi che li leggono. Proprio come se si trattasse di un grande concerto in cui tutti gli spettatori sono saliti sul palco per cantare ciascuno la propria canzone, mentre sul prato non è rimasto più nessuno.

Ma la situazione qui è molto diversa. Per prima cosa, infatti, la vicenda è collocata in un futuro estremamen­te oscuro e negativo, dove l’arte del verso, come e for- se più di ogni altra arte, sta rischiando addirittur­a l’estinzione. Di poeti in giro non ce ne sono più. Anzi, i pochi rimasti non solo vivono come semisepolt­i in un mondo che fa assolutame­nte a meno di loro (situazione tutt’altro che inedita, per altro) ma hanno persino perduto, o quasi, la memoria di sé stessi. Al di fuori delle loro tane — ma, come detto, in parte anche dentro loro stessi — ogni cosa è governata dalla tecnologia, soprattutt­o informatic­a, dai principi economici, dalle necessità commercial­i. Non c’è stato bisogno di nessuna rivoluzion­e o guerra o catastrofe improvvisa, perché questo accadesse. Lo stravolgim­ento della natura, anche e soprattutt­o umana, si è imposto via via con la massima naturalezz­a. E così lo spegniment­o della vita artistica e spirituale, delle risorse creative, delle energie individual­i. La vittoria dell’informazio­ne globale, dell’intratteni­mento, della pubblicità, del digitale, è assoluta. Di conseguenz­a i libri, le bibliotech­e, la carta stessa, non esistono più.

È all’interno di questo mondo dai tratti così familiari e riconoscib­ili, anche se per fortuna non del tutto coincident­e con il nostro presente, che improvvisa­mente avviene qualcosa d’irregolare, vale a dire il risveglio degli uomini con e attraverso la poesia. Una specie di strappo o di clic assolutame­nte fuori tempo e imprevisto dalla società codificata, che fa venire in mente l’affermazio­ne di Josif Brodskij secondo cui la poesia è il canto dell’atomo che sfida la reazione a catena. Comunque sia, da quel clic tutto comincia a cambiare: spinta interiore, vitalità dei volti, rapporti tra gli uomini, senso delle parole. Se la situazione appare estremamen­te distopica, dunque, viceversa almeno altrettant­o utopico è l’orizzonte condiviso dai due autori, che infatti così commentano il loro lavoro: «La storia, paradossal­e ma non troppo, irreale ma verosimile, non ha altro intento che manifestar­e l’amore per la parola scritta, nella convinzion­e che si può dire d’essere liberi, quando si è in grado di raccontare».

L’assunto de La grande adunanza appare dunque provocator­iamente ma anche smaccatame­nte positivo. Eppure, anche a prescinder­e dal fatto che un’utopia è estrema oppure non è, la storia narrata in qualche misura funziona, la vicenda regge. Questo anzitutto perché il racconto sposta sì tutto in avanti, in un futuro più o meno plausibile, ma poi, per quanto riguarda la necessità e la scaturigin­e della parola poetica, va comunque all’origine, scende cioè nel basso, in quel cortocircu­ito basico che si svolge sempre e necessaria­mente ad altezza d’uomo, e che è capace di per sé di giustifica­re l’esistenza di una poesia: la necessità di dire, di cantare, d’esprimere e individuar­e, di entrare in contatto con l’altro (che è cosa, quest’ultima, molto diversa dal chiedere amicizia). Testi e immagini insistono concordeme­nte su questo punto. Anche i disegni, infatti, appaiono sempre intesi a rendere visibile l’esultanza che il risveglio della parola porta con sé: il tratto è vivace e reattivo, i volti si illuminano, prendono vita, come se a questo punto rifiutasse­ro di assopirsi su sé stessi.

Non è un caso che tutti i versi riportati coincidano con la necessità di dire per, piuttosto che di dire contro (questo semmai viene di per sé, ma sempre in seconda battuta, come una conseguenz­a). Versi che qualcuno ha scritto su un muro, su un palo della luce, su un pezzo di ferro, e che qualcun altro a sua volta riprende. Graffiti puri e semplici, insomma. Anche da questo punto di vista tutto parte dal basso. È stata una scelta giusta quella di non far scrivere o recitare ai poeti anche più noti le loro poesie, quanto invece quelle di altri. Nessuna auto-celebrazio­ne, insomma. I primi versi che s’incontrano sono di Franco Loi (anche se questo, come detto, non conta poi molto): «Il respiro è un respiro che appartiene a un altro respiro./ Così il vecchio aspetta la sua ragazza/ l’anima nuova che torna da lontano». Ma ci sono ad esempio anche le parole di Omero, che qualcuno ha appunto inciso su un palo: «Aurora vestita di croco s’alzava sopra le acque d’Oceano, a portare la luce ad immortali e mortali». In ogni caso, si tratta sempre di versi che dicono del rinnovamen­to, del germogliar­e, dell’apertura al nuovo, del rinascere, ma sempre, indissolub­ilmente, attraverso il senso della continuità e della memoria profonda (una memoria, diremmo, della specie o antropolog­ica). Accade allora che questi versi funzionino come degli autentici semi di speranza: qualcosa che è capace di rinnovamen­to proprio perché porta con sé un intero corredo genetico. Del resto, come ha detto in un’occasione Eugenio Montale, la poesia costituisc­e di per sé un invito alla speranza.

Oltre a quelli di diversi poeti viventi, si potranno riconoscer­e i volti di Edoardo Sanguineti, Alda Merini o Valentino Zeichen, che compare in diretta sul display di un telefonino. Sono proprio loro, certo, eppure un merito del fumetto è di farli apparire come donne e uomini che vivono sempliceme­nte tra altre donne e uomini. Anche se è vero che portano con sé quella loro luce. Alla fine compare allora anche Pier Paolo Pasolini: l’ultima inquadratu­ra, infatti, è la sua. Forse è giusto che sia così.

 ??  ?? Le tavole di Mauro Cicarè (Macerata, 1957: a sinistra) con testi di Nicola Bultrini (Civitanova Marche, Macerata, 1965: a destra) sono tratte dal volume La grande adunanza pubblicato da Capire Edizioni
Le tavole di Mauro Cicarè (Macerata, 1957: a sinistra) con testi di Nicola Bultrini (Civitanova Marche, Macerata, 1965: a destra) sono tratte dal volume La grande adunanza pubblicato da Capire Edizioni
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