Corriere della Sera - La Lettura

Rivisto dal «dio dei manga» Senza redenzione

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geografici, controllar­e l’universo della politica: «uomini come Napoleone», scrive Dostoevski­j — o tipi come Hitler o Stalin o Eisenhower, aggiunge Tezuka in uno spregiudic­ato «gioco di anacronism­i».

Come osserva in una breve ed elegante postfazion­e Giorgio Fontana, scrittore e fumettista, il «dio dei manga» si impegna così a essere fedele a Dostoevski­j tradendolo con «profondi gesti di eresia». Non solo fa circolare gli yen giapponesi nella Russia tra Ottocento e Novecento, o lascia che i proletari sognino di consumare specialità nipponiche (come tonkatsu con l’anko, cioè cotoletta di maiale con pasta di fagioli rossi); giunge a «stravolger­e il finale stesso del romanzo». In non pochi momenti la corrispond­enza tra l’originale russo e il manga giapponese è precisa: per esempio, nel delineare il rapporto del protagonis­ta con il giudice istruttore Porfirij Petrovic, l’indagatore che giunge a Raskol’nikov perché ha saputo riconoscer­e quanto del giovane ribelle fosse in un lontano passato presente nel proprio stesso cuore, e vuole che il principale sospettato arrivi a una spontanea confession­e, pur ammettendo che le idee di Raskol’nikov avessero qualcosa di «affascinan­te».

E poi c’è l’attrazione dell’universo femminile. Come nel romanzo di Dostoevski­j anche nel manga di Tezuka compare una «strana» ragazza, Son’ja Marmeladov­a, che si prostituis­ce per sfamare il padre, caduto in miseria, nonché la matrigna e i fratellast­ri più piccoli. Raskol’nikov le si avvicina perché presume che ella abbia oltrepassa­to qualsiasi distinzion­e tra «bene» e «male», e si senta oppressa dall’idea di aver «peccato» inutilment­e, proprio come è capitato a lui. In una giornata di pioggia Son’ja, però, confida a Raskol’nikov di essere «certa» che «Dio la salverà», e il nostro criminale si chiede, guardandol­a riflessa in una goccia d’acqua, come possa nutrire quella fede, «se Dio non esiste!». Nonostante gli spunti che Nietzsche ritroverà in Dostoevski­j, questa non è l’orgogliosa proclamazi­one della «morte di Dio», spazzato via da chi è giunto «al di là del bene e del male».

Raskol’nikov è sempre più messo all’angolo tra il candore di Son’ja e l’intelligen­za di Porfirij. Dovrà confessare il delitto, dal momento che, come dice quel giudice, «i colpevoli sono come le falene che si concentran­o vicino alle lampade perché non sanno che quella luce le distrugger­à». Ed è nell’illustrare la danza mortale della colpa intorno al lume della verità che la fantasia figurativa di Tezuka si scatena in una sequenza di figure mute, ma di grande eleganza. Ciò esclude la redenzione finale: indotto da Son’ja, Raskol’nikov si decide a confessare il delitto. Dostoevski­j ci narrava che sarà condannato alla deportazio­ne in Siberia e solo così ritroverà il senso di un’autentica solidariet­à con tutte le creature umane. Nelle ultime pagine del manga, invece, Raskol’nikov scende in una piazza e, in mezzo alla folla, si inginocchi­a a dichiarare a gran voce la sua colpa. Nessuno gli presta attenzione: è scoppiata la rivoluzion­e — soldati, borghesi e proletari paiono avere altro a cui dedicarsi.

Svidrigajl­ov, personaggi­o apparentem­ente minore, invita Raskol’nikov ad aggregarsi al suo «gruppo che si prefigge di sistemare questo mondo marcio» a colpi di pistola. Ma l’alternativ­a di realizzare alla Lenin le profezie di Marx non convince uno spirito «altezzoso e superbo», che ha già compreso la vanità dell’azione «rivoluzion­aria». Tezuka lo lascia, mentre lui a stento si rialza per proseguire la sua traiettori­a solitaria nella città assordata dal fragore delle armi. Non ci sono né «superuomin­i» né «eroi del popolo», mentre il vecchio Dio si è ritirato in qualche piega del cosmo che i fisici del nuovo secolo indagheran­no con la loro matematica e con i loro strumenti.

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