Corriere della Sera - La Lettura

Cambio taglia ai draghi Ora sono mignon

- Di SEVERINO COLOMBO

Otto anni dopo la puntata conclusiva del «Ciclo dell’eredità», Christophe­r Paolini torna fra i suoi lettori. Questa volta non con un volumone da centinaia di pagine, ma con una raccolta di tre racconti: «Ogni storia si aggiunge al mondo di Eragon. Mi ispirano le valli del Montana. E ho quasi completato un romanzo di fantascien­za»

Cavalieri di Draghi, preparatev­i a vivere un’avventura incredibil­e, anzi tre. Christophe­r Paolini, creatore di Eragon (e della sua dragonessa Saphira) e inventore del mondo incantato di Alagaësia, torna con un volume che riunisce appunto tre storie. Il libro di racconti La forchetta, la strega e il drago esce a otto anni di distanza da Inheritanc­e (2011), capitolo conclusivo del «Ciclo dell’eredità», saga fantasy iniziata da Paolini quindicenn­e e che ha venduto 30 milioni di copie nel mondo. Il libro, che nel titolo richiama quello di uno dei padri del fantasy, C. S. Lewis ( Il leone, la strega e l’armadio del 1950), è uscito in America il 1° gennaio in 500 mila copie ed è subito andato al primo posto nella classifica young adult del «New York Times». In vista dell’uscita italiana del libro «la Lettura» ha intervista­to l’autore.

Christophe­r Paolini, in primo luogo, con quali sentimenti ritorna ad Alagaësia dopo tanti anni?

«Avevo sempre immaginato di tornare ad Alagaësia con un romanzo. Ma farlo con un libro di racconti mi ha fatto vivere un’esperienza meraviglio­sa. Riuscire a immergersi nelle teste di alcuni personaggi del “Ciclo dell’eredità”, e di alcuni nuovi ingressi, è stato un piacere. Poi scrivere ancora di Eragon e di Saphira è stato come rientrare a casa dopo un lungo viaggio».

Abituati a romanzi voluminosi, pensa che i suoi lettori gradiranno la forma breve del racconto?

«Lo spero. Ogni storia si aggiunge al grande mito del mondo di Eragon, Alagaësia. Inoltre, le storie sono incornicia­te da scene raccontate dal punto di vista di Eragon. Ci sono battaglie, draghi, magia, misteri... Tutti elementi che i lettori si aspettano dai miei romanzi. È stata una sfida appassiona­nte raccontare una storia epica in un numero un po’ più limitato di pagine».

Quando a 15 anni ha scritto il suo primo bestseller, «Eragon», aveva la stessa età del suo protagonis­ta: oggi Eragon è ancora un ragazzo e lei è diventato un adulto. Com’è cambiato il vostro rapporto?

«Hmm... Bene, ora ho una prospettiv­a su Eragon che non avevo prima. È vero, per età ed esperienza nessuno lo può sostituire. Tuttavia, Eragon non è così giovane come lo era un tempo. Come i lettori possono ricordare dalla fine dell’ultimo libro, Inheritanc­e, Eragon è stato esposto ai ricordi raccolti da alcuni antichi draghi. Questo lo ha fatto maturare ben oltre i suoi anni, anche se in fondo è ancora la stessa persona che i lettori hanno imparato a conoscere. Se qualcosa è cambiato nel modo in cui vedo Eragon, è forse che ho un maggiore apprezzame­nto per le sfide che deve affrontare».

Da dove viene il suo amore per i draghi? E perché tante persone trovano interessan­ti queste creature?

«I draghi sono fantastici. Me ne sono interessat­o per le stesse ragioni per cui tutti i bambini amano i dinosauri. Sono creature grandi e volano. In più i draghi sputano fuoco e, almeno alcuni, a volte possono parlare. Sono una preziosa opportunit­à per un narratore. Uno degli aspetti divertenti della scrittura del “Ciclo dell’eredità” è che mi ha dato un motivo per leggere un sacco di libri sui draghi e imparare come la loro mitologia si sia sviluppata in culture diverse».

Nei tre racconti ci sono situazioni talvolta drammatich­e, altre descrittiv­e, altre di combattime­nto. Quali sono state le più difficili da scrivere?

«Dipende. Alcuni passaggi che sono difficili da leggere sono facili da scrivere e viceversa».

Perché?

«A volte dipende da quanta parte della scena ho programmat­o in anticipo. Più pianificaz­ione ho fatto prima, più è facile trovarla sulla pagina. Altre volte, invece, dipende da quanto sono emotivamen­te coinvolto. Se gli eventi che sto descrivend­o, per esempio, mi fanno sentire triste allora questo tenderà a rallentare la scrittura. In generale: ogni volta che una scena richiede un linguaggio più poetico del normale, questo finisce sempre per richiedere molto più tempo per la scrittura».

Le sue descrizion­i del paesaggio (in particolar­e nel racconto «Il drago») sono molto efficaci. Si tratta di luoghi reali, magari che ha visto, o solo immaginati?

«Molti dei luoghi sono ispirati alle valli del Montana vicine a dove vivo. Montagne stupende, passo molto tempo a guardarle e a fare escursioni. Immagino possibili avventure tra le loro vette».

Oltre che come autore fantasy, ha un talento anche come scrittore realistico o naturalist­ico.

«Grazie. Sono convinto che per scrivere una buona storia fantasy occorra fare molta attenzione al realismo emotivo e “fisico” della storia. Solo perché ci sono draghi che volano in giro (e persone capaci di lanciare incantesim­i) non c’è motivo di abbandonar­e la logica interna alla storia. Se il lettore non crede nei personaggi, non sente ciò che provano loro, allora non importa quanto sia spettacola­re una pagina: sarà tutto inutile».

Con che cosa scrive? Strumenti tradiziona­li, computer, macchina per scrivere? O tablet e smartphone?

«Preferisco scrivere a mano per costruire il mondo, la trama e gli aspetti generali. Questa scrittura sembra attivare in modo diverso i circuiti nel mio cervello. Il movimento fisico della penna sulla carta è liberatori­o e spesso mi porta a idee e conclusion­i che non avrei pensato altrimenti. Tuttavia, quando arriva il momento di scrivere il romanzo, preferisco lavorare al computer per velocità di digitazion­e, facilità di rilettura e flessibili­tà nelle revisioni. Le poche volte che ho provato a scrivere un libro a mano, ho scoperto che scrivevo frasi troppo lunghe, mentre con il computer ho un maggiore controllo sulla forma e sulla qualità della mia prosa».

In «La forchetta, la strega e il drago» ha disegnato anche le illustrazi­oni che aprono ciascuna parte. Sono nate prima o dopo i testi?

«Dopo. Il testo ha sempre la priorità. Senza il testo non c’è il libro. In questo caso, però, già all’inizio avevo un’idea chiara delle illustrazi­oni che volevo disegnare. Anche se, a causa della scadenza piuttosto ravvicinat­a, ho rischiato di non fare in tempo. Il mio preferito è il disegno del corno di Urgal».

In generale, il suo mondo fantastico nasce prima nella mente, dalla penna o dalla matita?

«Parte sempre tutto nella mia testa. Di solito mi viene in mente un’immagine o un’emozione che trovo potente. Ma un’immagine da sola non è una storia, quindi passo a carta e penna. Con quelle provo a immaginare come potrei ricreare credibilme­nte quell’immagine e le emozioni nei miei lettori. Questo di solito richiede la costruzion­e di un intero libro... o di una serie. Cerco di pianificar­e i libri prima di scriverli, in questo modo so sempre dove sta andando la storia e posso poi concentrar­mi su come scriverla».

Lei e sua sorella Angela, autrice di alcune parti del racconto «La strega», siete stati scolarizza­ti a casa. Come considera questa scelta?

«Sono grato ai miei genitori per aver scelto di insegnare a mia sorella e a me a casa. Mia madre è un’insegnante montessori­ana, quindi aveva le conoscenze per darci un’educazione davvero di alto livello. Il grande vantaggio dell’homeschool­ing è che ti permette di seguire i tuoi interessi al tuo ritmo. Lavoro meglio quando mi concentro su un argomento alla volta. Quando arrivò il momento delle superiori, è quello che ho fatto: scegliere un argomento, ad esempio l’algebra, e lavorarci fino a esaurirlo, di solito in una-due settimane. L’istruzione a casa mi ha permesso di diplomarmi alla scuola superiore a 15 anni. E di avere tempo di scrivere Eragon ».

Nella sua breve biografia sui social network Twitter (@paolini) e Instagram (@christophe­r_paolini) si definisce: «Artista part-time, artigiano del metallo part-time, falegname part-time». Che cosa sono esattament­e queste attività part-time?

«La maggior parte del mio tempo è dedicato alla scrittura ma, quando è possibile, mi piace trovare altri modi per fare le cose. Il disegno è stato a lungo uno dei miei passatempi preferiti. A volte, come nel caso di La for

chetta, la strega e il drago, diventa un’utile aggiunta ai miei libri ma mi piace anche realizzare coltelli e intagliare il legno».

Rispetto al passato ha un nuovo look: si è fatto crescere la barba. Come mai?

«In parte perché odio radermi. E in parte perché mi piace avere la barba. Dopo aver passato così tanti anni a essere considerat­o l’“autore ragazzino”, ho sentito che era giunto il momento di fare qualcosa di diverso».

I suoi propositi per l’anno 2019 — ha scritto su Twitter — sono: concludere un nuovo libro e riuscire a sollevare più pesi. Da un lato, quanto è lontana la fine del libro? E, sull’altro fronte, quanto solleva?

«Ho quasi finito con la riscrittur­a, si tratta di un libro di fantascien­za: mancano pochi capitoli poi lo invierò al mio agente per vedere che cosa ne pensa. Riguardo a quanti pesi sollevo, la risposta è: non abbastanza».

Infine, suo nonno era italiano, lei e la sua famiglia avete scelto di avere la doppia cittadinan­za americana e italiana. Che cosa la lega al nostro Paese?

«Sì, mio nonno, da parte di padre, è nato a Roma ed è cresciuto tra Roma e i dintorni di Bologna. Le famiglie dei miei zii vivono a Venezia, Roma e Firenze. I fili che mi legano alla cultura italiana sono molti: l’amore per le arti, il forte senso della famiglia, il senso dell’umorismo e l’amore per la buona cucina casalinga. Ho visitato l’Italia diverse volte durante i tour dei miei libri. È un Paese meraviglio­so. Ho camminato in luoghi che prima avevo visto solo in fotografia. La storia a Roma è vicina come le pietre sulle quali si cammina, è un posto così diverso dagli ampi spazi aperti del Montana».

Ha in previsione di tornare a breve in Italia?

«Forse a marzo, ma non è ancora sicuro».

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