Corriere della Sera - La Lettura
Nozze gay, automi sexy: Fellini profeta
Il regista avrebbe compiuto 99 anni il 20 gennaio. E infatti la sua Rimini lo festeggia con una proiezione. Nei film tante intuizioni sulla società, spesso nate da sogni (premonitori?)
Gran mago, illusionista, grandissimo regista, un santo ufficiale del calendario del cinema. A 25 anni dalla morte — il suo cuore smise di battere il 31 ottobre poco dopo un mezzogiorno di sole, il giorno delle nozze d’oro con Giulietta Masina — possiamo dirlo: Federico Fellini è stato un profeta, come sapeva bene il poeta amico Andrea Zanzotto. Stasera, domenica 20 gennaio, al nuovo cinema Fulgor di Rimini per ricordare il «compleanno» (l’anno venturo sarà il centenario dalla nascita) proiettano Prova d’orchestra, uno dei film che più hanno impressionato perché anticipa una certa disarmonia, anarchia sociale, sindacale e musicale, il crollo dei valori, la confusione salvata dal piglio teutonico del direttore. Anche qui un sogno?
Viviamo oggi negli scenari che aveva ipotizzato Fellini nei suoi film, soprattutto La dolce vita, titolo che non smette di essere attuale a quasi 60 anni di distanza anche se il copyright è di Dante, quarto canto del Paradiso, versi 34-36: «Ma tutti fanno bello il primo giro,/ e differentemente han dolce vita / per sentir più e men l’etterno spiro». Certo più spirituale, ma i l co nce t to , pa s s a to poi per Ta l - leyrand, è quello di Fellini: la gioia di un dolce far niente. Il regista assicurava che il film non aveva niente di drammatico, era solo una commedia in cui i personaggi escono di scena come in una rivista (su queste affinità leggere Tre passi nel genio di Ottavio Cirio Zanetti, Marsilio, 2018).
Fellini raccontò con l’anticipo dei maghi come sarebbe diventata l’Italia e come La grande bellezza di Sorrentino l’ha chiarito, con Raffaella Carrà invece di Perez Prado. Ne La dolce vita (in Italia sesto di tutti i tempi per spettatori, 13.617.148) c’erano il trionfo della realtà virtuale tv con i bambini che dicono di aver visto la Madonna, la crisi egocentrica di un intellettuale che si sente spaventato dal mondo (lo sceneggiatore Tullio Pinelli pensava a Cesare Pavese, suicida il 27 agosto 1950, ma Primo Levi si uccise l’11 aprile ’87), il gusto della mondanità trash, l’invasione dei paparazzi, il divismo hollywoodiano in marcia (l’abito sacerdotale di Anita Ekberg era stato fatto dalle sorelle Fontana per Ava Gardner), i primi due travestiti che avvertono uscendo dalla villa: «Nel ’65 sarà tutto ’na depravazione completa, peggio che ’n’ Apocalisse sarà. Mamma mia che schifezza verrà fuori».
E infatti si sono moltiplicati i travestimenti al cinema e al teatro: qualche anno dopo arriva il cabaret anni Settanta de La Grande Eugène e da qui sono partite grandi conquiste civili. Soprattutto Fellini — che sarà onorato con una grande mostra che partirà da Milano il 6 dicembre — aveva «sentito» con grande anticipo la follia di suoni incessanti, rumori, voci e musica: in quasi tutti i film c’è un invito a fare un po’ di silenzio (è l’ultima battuta del suo ultimo film, La voce della luna). E la corsa scriteriata delle moto di notte che chiude Roma o il traffico impazzito sul raccordo anulare in una sequenza memorabile? Certi pezzi di Roma non sono lontani dal degrado di oggi.
Il marasma volgare in cui siamo sommersi parte dall’invasione di spot in tv ( Ginger e Fred) che naturalmente interrompono le emozioni dei film, come dis- se lo slogan dei cineasti contro gli spot, l’unica rivolta cui Fellini partecipò attivamente anche se poi, in attesa che si mettesse in moto altro, girò alcune pubblicità famose: quella del Campari sul treno col finestrino-schermo, quella della pasta e quelle della banca con Paolo Villaggio, basate su sogni-incubi premonitori.
I sogni sono stati il pane quotidiano di Fellini, in cura psicoanalitica dopo il caso de La dolce vita presso lo junghiano dottor Bernhard. Lo dimostra il bellissimo libro dei sogni con tutti i suoi schizzi, pennarello pronto sul comodino, sveglia alle 3. Spesso anche alcuni finali dei film erano il riflesso di un sogno premonitore: quello di Toby Dammit (il suo episodio del trittico Tre passi nel delirio, 1968) e del Casanova, che anticipa con la bambola meccanica un nuovo modo algido di rapportarsi all’amore. E sei mesi prima di morire raccontò agli amici un sogno premonitore in cui doveva consegnare una lettera a sé stesso. Ma invece del proprio nome trovava scritto su una lastra di marmo grigia: Disperso tra i dispersi. Fellini era preoccupato ma anche ammirato dalla perfezione di quel presagio che lo colpì a tappe nel 1993 prima con l’intervento chirurgico in Svizzera, poi l’ictus al suo Grand Hotel di Rimini il 3 agosto.
Naturalmente era l’intuito di un mago, non di un sociologo, la percezione di un uomo che ha sempre vissuto nel diaframma tra reale e possibile, i suoi racconti sulle visite al mago Rol erano incredibili.
A volte la precisione del monitor sul futuro era impressionante, vedi la guerra dei Balcani: in E la nave va, grandissimo titolo dimenticato, c’è il transatlantico dei cantanti pieno di rifugiati di ogni etnia che iniziano un ballo sfrenato finché un giovane serbo butta una bomba sulla corazzata austroungarica. «Spesso — ci dice Gianfranco Angelucci, regista e scrittore che fu suo collaboratore e amico — intuiva cose che magari non si materializzavano subito in episodi concreti, ma stiamo davvero vivendo le pulsioni della società che ha descritto. Come in Intervista, ha raccontato la crisi e la fine di Cinecittà e forse del cinema con gli indiani armati di antenne tv. Diceva perfino di aver parlato con suo padre da morto; l’esperienza più impressionante che poi raccontò agli amici fu quando provò l’Lsd con un medico accanto». Le visioni si moltiplicano, ma era un modo chimico di provocarle. «Prima di ammalarsi raccontava l’angoscia di vedere cambiare la comunicazione, il balbettio di lingua e linguaggio che subì in prima persona durante 15 giorni di agonia».
Sandra Milo, sua attrice, gli ha scritto una poesia: «Quando vidi Prova d’orchestra piangevo come un vitello, lui mi consolava dicendo: capisco, capisco… Perché lui — racconta a “la Lettura” — era consapevole di questa forza immaginifica, ne era cosciente ma soffriva perché avrebbe voluto varcare un’altra soglia, arrivare più in là, ma il cervello lo bloccava. Aveva una sensibilità che gli faceva prevedere alcune cose, il caos e il disordine, ma soffriva perché non era in grado di gestire questa dote fino in fondo».
Immaginazione Il finale di «Casanova» anticipa, con la bambola meccanica, un nuovo modo algido di rapportarsi all’amore
Sensibilità Il cineasta frequentava il mago Rol. Ricorda Sandra Milo: «Prevedeva le cose ma soffriva per non saper gestire questa dote»