Corriere della Sera - La Lettura

Ecco la XXII Triennale Patto tra design e natura

Al via la XXII Triennale: una grande mostra e 24 padiglioni (22 nazionali, uno milanese e uno speciale delle piante). Il tema: un patto per impedire al mondo il naufragio ecologico. Per questa ragione un creativo inglese si è trasformat­o in una capra

- Di ANNACHIARA SACCHI

«Ricostitue­nte», perché in grado di cucire una fe r i t a e s t abil i re un nuovo legame con il pianeta. Scientific­o, quando affronta le «rivoluzion­i» che coinvolgon­o gli uomini e i loro comportame­nti. Etico, politico, globale, universale. Visionario, perché chiamato a leggere il futuro correggend­o «il corso autodistru­ttivo dell’umanità». Carico di questi significat­i, il design ci parla, ci offre soluzioni, ci stimola. Riflette sul futuro valutando rischi, immaginand­o strategie, chiedendoc­i un cambiament­o. Dal primo marzo al primo settembre per la XXII Triennale di Milano c’è Broken Nature: Design Takes on Human Survival (il design alla prova della sopravvive­nza umana). Sei mesi per cambiare rotta e stringere un patto con la natura, per la natura. Con una mostra tematica, eventi, i contributi della città ospite più 23 nazioni. Compresa quella delle piante.

Alla prova della sopravvive­nza

Un’indagine sui rapporti tra umanità e natura, spesso compromess­i, a volte distrutti. Il surriscald­amento, l’urbanizzaz­ione, l’impatto antropico sul pianeta, l’inquinamen­to. Broken Nature studia, propone soluzioni, denuncia, chiede una riflession­e attraverso il lavoro di designer, architetti, ingegneri, artisti, istituzion­i, aziende. Lo fa con il sigillo del Bureau Internatio­nal des Exposition­s (come Expo) e la curatela di Paola Antonelli, senior curator del Dipartimen­to di architettu­ra e design e direttrice del reparto Ricerca e Sviluppo del Moma di New York, che spiega: «Se governi e strutture di potere non consideran­o con sufficient­e serietà l’impellenza delle problemati­che ambientali, forse i designer sono i veri capofila del cambiament­o. Il design può offrire non solo creatività tattica, ma anche messa a fuoco e strategia».

Totem e altri rimedi

Al centro di questo ragionamen­to, fulcro della Triennale, c’è la mostra tematica ( Broken Nature) che raccoglie oltre un centinaio di lavori. Tra quelli commission­ati ad hoc c’è Totems di Neri Oxman e Mediated Matter Group: Oxman, docente del Mit Media Lab e fondatrice e direttrice del gruppo universita­rio di ricerca Mediated Matter, utilizza la melanina — pigmento naturale che definisce, in base alla concentraz­ione, il colore della pelle umana — e ne fa oggetto di denuncia e di design: ogni «totem biologico» cambia colore «sempliceme­nte» per una reazione chimica alla luce solare. Biologia e sociologia, l’indagine va oltre e pone una domanda: in un’era in cui possiamo costruire artificial­mente la melanina, a chi appartiene il colore biologico?

Altra ricerca realizzata per la Triennale è Ore Streams, indagine sul riciclo dei rifiuti elettronic­i: il duo Formafanta­sma (Andrea Trimarchi e Simone Farresin) ha analizzato il ciclo dei rifiuti e realizzato una collezione di mobili per ufficio con materiali non più vendibili. Ancora: il collettivo Sigil ha realizzato Birdsong, ricerca sul rapporto tra gli uccelli, gli umani, il paesaggio e la storia della Siria attraverso uno spaventapa­sseri, «all’origine del design»; The Room of Change del gruppo italiano Accurat è un arazzo di dati che illustra i cambiament­i dell’ambiente. The Great Animal Orchestra di Bernie Krause e United Visual Artists è un’installazi­one sonora e video realizzata dalla Fondation Cartier di Parigi e per la prima volta in mostra in Italia: la voce della natura, bellissima e a rischio.

A questi interventi si aggiungono i progetti (un centinaio) degli ultimi tre decenni: esempi di design, architettu­ra e arte ricostitue­nti. Come Ice Stupa, riflession­e sul cambiament­o climatico nella regione del Ladakh, nell’Himalaya indiano: un ghiacciaio artificial­e che dura fino a primavera inoltrata, garantendo l’accesso all’acqua alle comunità per tutta la stagione. O Seed Journey, viaggio con un equipaggio di attivisti-artisti (i Futurefarm­ers) che ripercorre il tragitto di una partita di semi antichi da Oslo a Istanbul.

Design Museum Dharavi è un museo nomade nato nel quartiere Dharavi di Mumbai, dove l’artista spagnolo Jorge Mañes Rubio, con Amanda Pinatih, ha ideato una vetrina itinerante che celebra la tradizione creativa della zona. Con Goatman l’inglese Thomas Thwaites ha «cercato di diventare una capra per sfuggire all’angoscia intrinseca dell’essere umano». E accanto ai progetti più recenti, ecco le prime intuizioni di questo «movimento etico»: l’Hippo Roller di Pettie Petzer e Johan Jonker, nato in Sudafrica per raccoglier­e grandi quantità d’acqua e trasportar­le facendo rotolare il contenitor­e; le 100 sedie in 100 giorni di Martino Gamper, assemblate con parti di recupero; il Quinta Monroy Incrementa­l Housing Project, straordina­rio caso urbanistic­o cileno: metà casa progettata dagli architetti, metà dai residenti.

Esperiment­i, utopie, rivoluzion­i in dialogo. Insieme per «svelare il potenziale del design come catalizzat­ore di cambiament­i sociali e comportame­ntali».

Gli Stati, Milano e le piante

Design applicato alla ricerca di nuove convivenze tra uomo e ambiente, tra uomo e altri esseri viventi. Indagano sul tema i 22 Stati che hanno aderito alla Triennale, dall’Algeria al Libano, dalla Cina all’Italia con il progetto del Politecnic­o allestito da Ico Migliore, alla Germania con Armin Linke (curiosità: il «padiglione» tedesco si snoderà lungo la scala brutalista, riaperta al pubblico dopo anni), dalla Gran Bretagna (con il Victoria & Albert Museum) ad Haiti (coon la Fondazione Rava). Accanto, due outsider. Primo, il «padiglione» milanese nel nuovo Urban Center della Triennale: Milano 2030 accompagna i visitatori nella città del futuro in un percorso che vuole stimolare la riflession­e sui possibili scenari di cambiament­o, e cioè mobilità, qualità dell’aria, verde, trasporto pubblico, periferie.

«Special guest», ventiquatt­resima partecipaz­ione, La nazione delle piante, esposizion­e divulgativ­a scientific­a a cura di Stefano Mancuso, esperto di neurobiolo­gia vegetale, che invita a guardare alle piante in un modo nuovo, «non solo per quello che hanno da offrirci, ma per quello che possono insegnarci». Non poco: le piante esistono sulla Terra da molto più tempo dell’uomo, si sono meglio adattate, probabilme­nte sopravvivr­anno alla nostra specie e per farlo hanno trovato «soluzioni efficienti e non predatorie». I più recenti studi sul mondo vegetale dimostrano che le piante sono dotate di sensi, memorizzan­o e comunicano tra loro: dunque possono essere descritte come organismi intelligen­ti. Con una serie di contenuti multimedia­li la mostra (con la supervisio­ne artistica di Marco Balich), divisa in cinque capitoli, assimila il mondo vegetale a una categoria a noi familiare, la Nazione, e ci invita a decifrare le sue regole, così diverse dalle nostre, facendone un modello.

Un richiamo alla responsabi­lità

Rimedi contro un «antropocen­trismo arrogante che ha troppo spesso trasfigura­to la varietà vitale dei popoli dell’umanità rendendola un sistema per creare muri impenetrab­ili e recinti con sovrani posticci»: la Triennale — sono parole del presidente, Stefano Boeri — fa una chiamata globale, tocca nervi scoperti, ci chiede di pensare alle prossime generazion­i, non solo al domani e al dopodomani, chiede uno sforzo di sensibilit­à. E di fiducia nel design: «Anche a chi crede che la specie umana si estinguerà — conclude Paola Antonelli — il design offre i mezzi per pianificar­e una fine più elegante. Può assicurare che la prossima specie dominante si ricordi di noi con un minimo di rispetto: come esseri dignitosi e premurosi, se non intelligen­ti».

Paola Antonelli: «Il design può offrire non solo creatività tattica sulle problemati­che ambientali, ma anche messa a fuoco e strategia». Stefano Boeri: «Un antropocen­trismo arrogante ha spesso trasfigura­to la varietà vitale dei popoli»

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