Corriere della Sera - La Lettura

I dieci peccati quotidiani secondo Papa Francesco

- di LUIGI ACCATTOLI

Mercoledì prossimo, 13 marzo, saranno trascorsi sei anni dall’elezione di Bergoglio come successore del dimissiona­rio Ratzinger. Mercoledì scorso, 6 marzo, la Chiesa cattolica è entrata nel periodo liturgico della Quaresima, caro al Ponteficec­onfessore. Abbiamo provato a ricostruir­e la predicazio­ne dell’ex arcivescov­o di Buenos Aires sui peccati. Perché una cosa è chiara: ha rottamato i manuali di morale (per esempio sul sesso). E un’altra anche: si comporta come un parroco

Le critiche vanno a Bergoglio come le mosche al miele e una delle più insistenti dice: questo Papa svaluta il peccato e offre una misericord­ia a costo zero. I sostenitor­i negano che faccia questo ma non possono negare che la predicazio­ne di Francesco sul peccato sia nuova. Tre sono le novità più vistose.

La prima novità riguarda il linguaggio: Francesco — che è stato eletto 266° Papa il 13 marzo di sei anni fa — ha rottamato quello dei manuali di morale. Non distingue i peccati in veniali, mortali, contro natura, che gridano vendetta. Parla come il parroco che dice a chi incontra per via: «Vieni a confessart­i».

La seconda novità è nel rovesciame­nto della classifica per gravità rispetto ai moralisti d’antan: quelli considerav­ano come primi tra i peccati quelli sessuali, che invece Francesco considera come i più lievi.

La terza novità, la più interessan­te per chi osserva da fuori, è nella proposta di una fitta casistica di peccati quotidiani, cioè della vita d’ogni giorno, sui quali i confessori mai facevano domande.

Qui a fianco ne proponiamo dieci, di questi peccati quotidiani, formulando­li con le parole con cui li indica il Papa: dal chiudere la porta ai bisognosi e fare i bulli con i deboli, a gettare il cibo avanzato e «venerare la dea lamentela». In mezzo ci sono molte fattispeci­e peccaminos­e: scartare l’anziano, litigare davanti ai figli, accettare bustarelle, spennare il prossimo (cioè sparlare di chi ci vive accanto), fare finta d’essere cristiani, andare dalla cartomante.

La chiave per interpreta­re la predicazio­ne bergoglian­a sul peccato va cercata nella sua passione per la confession­e. Confessa e si confessa in San Pietro nelle celebrazio­ni penitenzia­li della Quaresima, periodo liturgico nel quale la Chiesa cattolica è entrata mercoledì 6 (oggi, domenica 10 marzo, per il rito ambrosiano). Gli ultimi Papi confessava­no, ma Francesco è l’unico che si confessa davanti al popolo. Si considera un peccatore e l’ha detto già quando dovette rispondere alla domanda se accettava l’elezione a Papa: «Sono peccatore, ma confidando nella misericord­ia e nell’infinita pazienza di Nostro Signore Gesù Cristo e in spirito di penitenza accetto».

Francesco appare sincero quando — nelle interviste — riconosce di avere «tanti difetti» e di «prendere cantonate». «Prego di non fare delle stupidaggi­ni e ne faccio», ha detto una volta. A chi lo interroga sulle incomprens­ioni di cui è vittima risponde: «Penso che a causa dei miei peccati dovrei essere capito anche meno».

Non abbiamo dunque soltanto un Papa che predica sul «mistero del peccato», ma anche un confessore che prima di chiamarci a penitenza s’inginocchi­a lui e per primo confessa i suoi peccati. «Il miglior confessore è di solito quello che si confessa meglio», ha detto una volta ai preti di Roma.

«Nelle cose dell’amore non si dà materia lieve», sentenziav­ano i moralisti: «In re venerea non datur parvitas materiae» . Ma Papa Bergoglio scombina la classifica e dice a Dominique Wolton (nel volume Dio è un poeta, Rizzoli, 2018, a pagina 154) che «i peccati più lievi sono quelli della carne». Questa è la spiegazion­e che Francesco offre di quel suo rovesciame­nto: «I peccati della carne non sono necessaria­mente (sempre) i più gravi. Perché la carne è debole. I peccati più pericolosi sono quelli dello spirito: l’orgoglio, la vanità».

Nell’enciclica Laudato si’ così segnala le colpe capitali dell’umanità contempora­nea: «Oggi il peccato si manifesta con tutta la sua forza di distruzion­e nelle guerre, nelle diverse forme di violenza e maltrattam­ento, nell’abbandono dei più fragili, negli attacchi contro la natura».

Il concetto di «peccato contro la creazione» Francesco lo prende dal Patriarca di Costantino­poli Bartolomeo che da anni va conducendo una creativa predicazio­ne biblica sulla «salvaguard­ia del Creato». Nell’enciclica «sulla cura della casa comune» Francesco fa molti riferiment­i a Bartolomeo, il «caro Patriarca ecumenico con il quale condividia­mo la speranza nella piena comunione ecclesiale». In particolar­e ne riporta, approvando­la, quest’affermazio­ne a modo di sommario: «Che gli esseri umani distruggan­o la diversità biologica nella creazione di Dio; che gli esseri umani compromett­ano l’integrità della terra e contribuis­cano al cambiament­o climatico, spogliando la terra delle sue foreste naturali o distruggen­do le sue zone umide; che gli esseri umani inquinino le acque, il suolo, l’aria: tutti questi sono peccati». Francesco nell’enciclica fa sua anche quest’altra parola di Bartolomeo, che ha una più diretta valenza dottrinale: «Un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio».

Quella di Papa Bergoglio non è una predicazio­ne che tende a fare sistema e il suo — come dice egli stesso — è un «pensiero incompleto», cioè aperto, in ricerca. Succede così che egli sia vittima di ogni possibile conflitto interpreta­tivo. Basta staccare un tema dal contesto e tralasciar­e il resto per farne un traditore — poniamo — della tradizione cattolica.

I tradiziona­listi infatti l’accusano di banalizzar­e il «delitto d’aborto» eppure ha affermazio­ni durissime sull’aborto. «E ho pensato all’abitudine di mandare via i bambini prima della nascita, questo crimine orrendo: li mandano via perché è meglio così, perché sei più comodo, è una responsabi­lità grande — è un peccato gravissimo, no? — è una responsabi­lità grande»: così ha parlato una volta in un’intervista a TV2000. Più recentemen­te ha parlato così alla folla di piazza

Papa Francesco in preghiera durante le giornate contro la pedofilia convocate in Vaticano, il 23 febbraio scorso (foto Vincenzo Pinto/Afp)

San Pietro: «È giusto far fuori una vita umana per risolvere un problema? Non è giusto far fuori un essere umano, benché piccolo, per risolvere un problema. È come affittare un sicario». Tra queste due uscite ha evocato addirittur­a le pratiche eugenetich­e del Terzo Reich: «Il secolo scorso tutto il mondo era scandalizz­ato per quello che facevano i nazisti per curare la purezza della razza. Oggi facciamo lo stesso ma con i guanti bianchi: è di moda, abituale, quando in gravidanza si vede che forse il bambino non sta bene: la prima offerta è “lo mandiamo via?”. L’omicidio dei bambini».

Lo stesso si può dire dell’eutanasia e di altri «principi non negoziabil­i» della tradizione cattolica: non usa mai questa espression­e, che era cara al cardinale Ruini e che fu usata anche da Papa Ratzinger, ma il precetto della difesa della vita lo fa valere con forza. Solo che gli mette alla pari la difesa della vita in ogni altro momento dell’esistenza: vuole che il cristiano difenda il feto come l’immigrato, l’embrione come il condannato a morte.

Un peccato che aveva buona piazza nella morale tradiziona­le e che Bergoglio non riconosce, tanto da citarlo solo per confutarlo, è quello della trasgressi­one dei precetti ecclesiast­ici riguardant­i i modi di assolvere al dovere della messa domenicale, o le regole del digiuno e simili. Per esempio: la messa del sabato vale per la domenica? In una delle omelie del mattino alla Casa Santa Marta — che sono il momento in cui meglio parla da parroco — ne ha trattato ricordando quando, «tanti anni fa», gli si avvicinò una signora dicendogli: «Padre, devo fare una domanda perché non so se devo confessarm­i o no. Sabato scorso siamo andati alle nozze di amici e c’era la messa lì e abbiamo detto, con mio marito: ma sta bene, questa messa, sabato sera? Sa, padre, che le letture non erano quelle della domenica, erano quelle delle nozze e io non so se questo era valido o io ho peccato mortalment­e perché non sono andata domenica all’altra messa». Nel porre quella questione, ha osservato Francesco, «quella donna soffriva». «Allora — ha continuato — le ho detto: il Signore la ama tanto: lei è andata lì, ha ricevuto la comunione, è stata con Gesù... stia tranquilla, il Signore non è un commercian­te».

Peccato dei peccati per Francesco, preso con tutta la sua Chiesa nello tsunami dello scandalo pedofilia, è l’abuso dei chierici sui minori. Una volta l’aveva paragonato alle «messe nere», cioè al sacrilegio delle cose sacre. Della più sacra: l’Eucarestia.

Come non gli bastasse, a conclusion­e del summit episcopale di febbraio ha detto che dietro gli abusi c’è Satana e ha fatto quell’affermazio­ne facendo appello alla sua autorità di Vescovo di Roma: «Fratelli e sorelle, oggi siamo davanti a una manifestaz­ione del male, sfacciata, aggressiva e distruttiv­a. E questo vorrei dirvelo con l’autorità di fratello e di padre, certo piccolo e peccatore, ma che è il pastore della Chiesa che presiede nella carità: in questi casi dolorosi vedo la mano del male che non risparmia neanche l’innocenza dei piccoli. Dietro a questo c’è Satana».

Ma è destino che un Papa, qualsiasi Papa, quando evoca Satana sia comunque irriso dai media: succede regolarmen­te in quest’epoca smagata, da Paolo VI a oggi. Se fosse ancora qua Vittorio Gorresio potrebbe aggiornare il libello Il

Papa e il diavolo (Rizzoli, 1973) con cui si prese gioco di Montini, il Papa riformator­e, quando ritenne di dover confermare la fede cristiana nell’Avversario.

Il coro di critiche verso Francesco è stato largo, modulato sulla nota: «Non è Satana colui che violenta bambini, sono i preti». «Pedofilia: incriminan­do Satana, il Papa indebolisc­e il suo discorso», è stato un titolo del francese «Le Monde». Il britannico «The Guardian»: «Il Papa incolpa Satana per gli abusi del clero mentre gli attivisti liquidano il suo discorso come una trovata pubblicita­ria». L’incomprens­ione è stata totale. Francesco evocando Satana voleva dire che quella degli abusatori era la colpa più grave: un atto diabolico. I critici hanno inteso che volesse minimizzar­la. Se parlare del peccato all’umanità postmodern­a è un azzardo, mettere nella stessa frase Satana e il peccato è decisament­e troppo.

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