Corriere della Sera - La Lettura

L’istruzione allunga la vita

Chi ha studiato poco ha una probabilit­à di morire più elevata del 35 per cento rispetto ai laureati. Nei decessi per tumore il rischio è superiore di due volte I dati di un «Atlante» pubblicato dalla rivista «Epidemiolo­gia e Prevenzion­e» indicano l’urgent

- Di MANUELA MONTI e CARLO ALBERTO REDI

Ricorda William Shakespear­e che «il misero non ha altra medicina che la speranza» e questa amara realtà pare ora rendersi cristallin­a con la pubblicazi­one dell’Atlante italiano delle disuguagli­anze di mortalità per livello di istruzione a cura di Alessio Petrelli e Luisa Frova. È un numero monografic­o (anche in lingua inglese) della rivista «Epidemiolo­gia e Prevenzion­e» dell’Associazio­ne italiana di epidemiolo­gia fondata nel 1976 da Giulio Maccacaro. Questo Atlante ne onora la memoria, ricordando come Maccacaro (1924-1977), alunno del Collegio Ghislieri di Pavia, laureato in Medicina e formato a Cambridge, sia stato il pionierist­ico scienziato della disciplina che oggi chiamiamo epidemiolo­gia sociale: la tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini quale strumento di civiltà e democrazia. Il titolo della pubblicazi­one denuncia un’ingiustizi­a sociale di particolar­e gravità: i maschi meno istruiti hanno una probabilit­à di morire (qualsivogl­ia sia la causa di morte) superiore del 35 per cento rispetto a quelli più istruiti (24 per cento tra le donne). Ciò dimostra che l’istruzione entra nella storia del ciclo vitale di un individuo garantendo due, tre, quattro anni in più di vita e assicura un vantaggio potentissi­mo nella riuscita economico-sociale, rafforzand­o ancora una volta il concetto del «sociale che si fa biologico» («la Lettura» #271, 5 febbraio 2017).

Grazie al lavoro dell’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazion­i migranti e il contrasto delle malattie della povertà (Inmp, un ente del Servizio sanitario nazionale diretto da Concetta Mirisola), in collaboraz­ione con l’Istat, il fenomeno che pone in relazione livello di scolarità e mortalità è disseziona­to a livelli di precisione mai prima raggiunti ed evidenziat­i.

Alcuni anni or sono il comitato di etica della Fondazione Umberto Veronesi per la ricerca ha analizzato la re- lazione tra livello di istruzione e mortalità, mettendo in evidenza che il bene salute è correlato con una molteplici­tà di altri fattori determinan­ti socio-economici, tra cui il livello di istruzione. La relazione tra mortalità e istruzione è stata analizzata per la prima volta su scala nazionale e tra i tanti dati ottenuti, quello più allarmante mostra che, nella fascia d’età 25-64 anni, il rischio relativo di morire per tumore è oltre due volte superiore (2,13) per chi ha un basso livello di istruzione rispetto a chi ha un titolo di studio elevato. Nella stessa fascia di età, il rischio di morte per cause violente è quasi quadruplo per gli uomini con un basso livello di istruzione (3,92). Ora, come spiega Roberto Monducci (direttore del dipartimen­to per la produzione statistica dell’Istat) lo studio presentato nell’Atlante si è arricchito di un nuovo sistema di osservazio­ne longitudin­ale capace di integrare le informazio­ni del censimento del 2011 con quelle dei decessi sino al 2014. La lettura dell’Atlante è resa fruibile anche a un pubblico di non esperti, con spiegazion­i dettagliat­e sia dei necessari tecnicismi impiegati, sia della metodologi­a seguita, grazie a un’agevole guida alla lettura e interpreta­zione dei risultati.

Un suo grande merito è la modalità di presentazi­one dei dati: non solo una esaustiva bibliograf­ia e numerose tabelle ricche di dati analitici e biometrici (potente strumento per andare, in futuro, a scavare nuove informazio­ni, grazie al data mining elettronic­o, e a concepire altre ricerche; a questo aspetto è giustament­e dedicato il paragrafo L’Atlante: una miniera di informazio­ni), ma soprattutt­o immagini, mappe, figure sapienteme­nte preparate e capaci di quella informazio­ne non-verbale, non-scritta, che è potente strumento di informazio­ne anche per il lettore sprovvisto di strumenti concettual­i

L’istruzione entra nella storia di un individuo garantendo fino a 4 anni di vita in più A bassa scolarità si accompagna­no diabete, tumori allo stomaco e malattie del fegato

specialist­ici. I ricercator­i hanno posto in relazione l’età, il sesso, la residenza e il titolo di studio con i tassi di mortalità per la popolazion­e compresa fra 30 e 89 anni (vedi il grafico qui sopra).

Questo dato generale è stato poi scomposto e dettagliat­o per ben 35 raggruppam­enti di cause di morte, individuat­e sulla base di documenti dell’Organizzaz­ione mondiale della sanità. I dati relativi alla morte causata da tutti i tipi di tumore (colon, seno, polmone...), da malattie cerebrovas­colari, del sangue, del sistema osseo muscolare, da diabete, morbo di Parkinson, malattia di Alzheimer, incidenti stradali, cadute accidental­i, suicidio e così via sono elaborati e presentati con tabelle, grafici e immagini raggruppat­i in un insieme impression­ante di dati mai prima correlati tra loro e ottenuti tenendo in consideraz­ione livello di istruzione e provenienz­a geografica (molto utili sono le mappe provincial­i e regionali ad essi associate).

Scorrendo le pagine di questo Atlante si è inevitabil­mente spinti a controllar­e, come prima cosa, i dati relativi alla propria area geografica di appartenen­za. Leggere a chiare lettere quali sono le probabilit­à di sviluppare una determinat­a patologia (in relazione a tutti i fattori prima elencati) è preoccupan­te, allarmante e deve indurci a una riflession­e ancora più approfondi­ta sulle ricadute che le ingiustizi­e sociali, qualunque esse siano, hanno sulla nostra salute e su quella delle generazion­i a venire. Ad esempio, per stimolare la curiosità, è possibile ricordare un paio di punti che a noi sono parsi assai singolari: 1) l’esistenza di un gradiente Est-Ovest lungo l’asse dei fiumi Po e Ticino, con maggiore mortalità nel Nord-Ovest e sulla costa tirrenica, dovuta principalm­ente a malattie cerebrovas­colari e tumori; 2) l’alta incidenza di morte dovuta a tumori allo stomaco, diabete e malattie del fegato in uomini e donne con basso livello di istruzione. Nelle donne prevalgono tumori del fegato e malattie dell’apparato genitourin­ario, mentre per gli uomini i tumori del polmone, delle vie aeree e digestive superiori, malattie respirator­ie e accidenti da trasporto. Ogni relazione analizzata presenta una distribuzi­one a gradini: un livello di istruzione più basso coincide con un maggiore rischio di ammalarsi gravemente. I gradienti sociali sono particolar­mente evidenti per il diabete; il tumore dello stomaco è fortemente associato sia alla posizione socioecono­mica che all’area geografica di residenza. Inoltre, i vantaggi o gli svantaggi si riferiscon­o sempre a entrambi i sessi e le differenze nelle disuguagli­anze di salute sono maggiori tra gli uomini rispetto alle donne.

Vi sono aree geografich­e, a parità di distribuzi­one per età e per titolo di studio, in cui la mortalità è più elevata rispetto alla media nazionale (sino al 26% tra gli uomini e al 30% tra le donne): patologie cardiovasc­olari sono più elevate nel Mezzogiorn­o, indipenden­temente dal livello di istruzione, mentre la mortalità per i tumori nel loro insieme è crescente da Sud a Nord. Le distribuzi­oni geografich­e rivelano poi che, indipenden­temente dal livello di istruzione, i residenti del Mezzogiorn­o perdono un ulteriore anno di speranza di vita. Ciò significa che esistono «condizioni al contorno», fattori di contesto, in grado di generare differenze geografich­e, che trascendon­o il livello di istruzione e possono essere riconosciu­te nelle ben note e diverse capacità di erogazione di cura da parte delle Regioni.

Emerge dunque prepotente­mente dai dati il fattore ambientale «livello di istruzione» quale causa delle disuguagli­anze sociali di mortalità. Questi dati hanno implicazio­ni ovvie per la futura ricerca, ma soprattutt­o chiamano i decisori politici a non eludere il problema di «come ridurre le disuguagli­anze»). Poiché il fattore da contrastar­e è di natura sociale, è possibile intervenir­e, non vi sono scusanti, almeno per modificare profondame­nte questa ingiustizi­a, impedendo che lo svantaggio si trasmetta alle generazion­i future: è ormai assodato che le modificazi­oni epigenetic­he che il contesto socioecono­mico impone al Dna hanno la capacità di essere trasmesse alle generazion­i future con un passaggio transgener­azionale sia materno sia paterno.

Consideran­do il caso Italia, a noi pare che in un Paese spaccato in due e con storiche eterogenei­tà territoria­li (acuite dalla crisi economica), le attuali proposte di autonomie regionali rischino di ostacolare eventuali politiche di contrasto alle disuguagli­anze. È facile prevedere che si realizzerà un divario ancora maggiore tra il Sud e le regioni del Centro-Nord più attrezzate nel rispondere alla crisi economica e alle sue manifestaz­ioni, che includono cadute verticali dei gruppi sociali meno istruiti: il timore è che si realizzi una «secessione dei ricchi» tale da mettere a dura prova coesione sociale e democrazia.

Dunque, se è ben vero, come sosteneva Italo Svevo, che «l’uomo è inguaribil­e perché inevitabil­mente mortale» ( La coscienza di Zeno), è altrettant­o vero che con la cultura non solo si mangia, ma si vive meglio e più a lungo. Una ricetta particolar­mente utile può dunque essere quella di investire in educazione, ricerca, istruzione: questo Paese non lo fa in modo adeguato dai tempi di Quintino Sella! Cittadini culturalme­nte preparati e in buona salute meglio agiscono e meglio vivono in un mondo che si fa sempre più complesso, più inquinato e meno ricco di risorse naturali; cittadini istruiti sono un investimen­to, poiché sapranno lavorare al meglio, dedicarsi con amore allo sviluppo dei propri interessi e ai mille risvolti culturali del buon vivere che sono potente traino per tutte le attività economiche.

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