Corriere della Sera - La Lettura

Nel nome del Padre (gli scrittori dell’800) e del Figlio (gli scrittori del ’900)

È uscito il «Dizionario biblico della letteratur­a italiana»: 270 voci, 150 studiosi, oltre mille pagine. Da Abba a Zena attraverso Dante, Levi... Con un confronto curioso tra i narratori degli ultimi due secoli e i loro rapporti con le Scritture

- Di DEMETRIO PAOLIN

Northrop Frye ne Il grande codice scrive: «La Bibbia è stata tradiziona­lmente considerat­a come un’unità e come tale ha influenzat­o l’immaginari­o occidental­e. Esiste se non altro perché è stata costretta a esistere». Questa affermazio­ne avrebbe potuto essere posta ad esergo del Dizionario biblico della Letteratur­a italiana perché riassume l’intento del lavoro editoriale: analizzare come i grandi autori italiani, a prescinder­e dalla loro fede, si siano confrontat­i con la Scrittura. Ovvero, per usare un’immagine veterotest­amentaria, in che modo abbiano lottato con l’Angelo e come ne siano usciti sciancati o cambiati. Pensiamo solo all’idea della violenza necessaria per l’affermazio­ne dell’amore (tema ambiguo e continuo nell’Apocalisse) o alla lettura del Libro di Giobbe alla luce dei grandi crimini nazisti. Non si tratta tanto di un discorso confession­ale, ma di retorica e stile, di immaginazi­one e resa dei testi. Se è impresa complessa dar conto dei diversi temi presenti in un campo così ampio, è possibile fornire una serie di percorsi di riflession­e.

Biblico vs cattolico?

Prima di tutto si può notare l’uso non scontato dell’aggettivo «biblico». È la prassi, quando si toccano certi argomenti, incappare nel pregiudizi­o che vede il discorso di fede travalicar­e quello sulla critica dei testi. Qui l’uso dell’aggettivo, con il rimando al Libro, vuole segnare una spia diversa negli intenti dei curatori, ovvero spostare l’attenzione dal discorso più strettamen­te legato alla fede alle tematiche stringenti dell’immaginari­o narrativo, mettendo in luce l’influen- za che la Scrittura ha avuto nel corso dei secoli sulla nostra letteratur­a. L’intestazio­ne, quindi, libera il campo dall’ingombrant­e preconcett­o, che vede la narrazione tramite stilemi scrittural­i come racconto agiografic­o, apologetic­o e pedagogico. L’immagine della letteratur­a italiana vista dalla prospettiv­a biblica è, invece, tutt’altro che pacificata.

La lingua del Padre e la figura del Figlio

Si può notare come gli autori dell’Ottocento (Leopardi e Manzoni, ma anche i poeti e gli scrittori risorgimen­tali) abbiano intessuto stretti rapporti con l’Antico Testamento. Soprattutt­o la lirica patriottic­a fa riferiment­o a immagini e temi riferiti al Dio degli eserciti oppure a motivi legati all’esilio, in particolar­e al libro dell’Esodo.

Se l’Ottocento vede nella Sacra Scrittura la voce del Padre, il Novecento è segnato da un progressiv­o aumento di situazioni, stilemi e citazioni del Nuovo Testamento. Complice il Concilio Vaticano II, i Vangeli e gli Atti degli apostoli diventano un termine di confronto costante per i letterati. Non è un caso, infatti, che una delle voci più interessan­ti del Dizionario riguardi i vangeli apocrifi: le ri-scritture di episodi evangelici o di creazioni exnovo di nuovi vangeli. L’esempio più alto, anche uno dei libri più intensi del secondo Novecento, è appunto Il quinto evan

gelio di Mario Pomilio, un romanzo di grande acribia filologica e di potente immaginazi­one, che vuole raccontare la storia di un fantomatic­o quinto vangelo (in realtà una riproposiz­ione del vangelo di Tommaso) che unisce e completa spiritualm­ente le narrazioni dei primi quattro. A questo testo possiamo aggiungere

La morte di Adamo di Elena Bono, che racconta la storia di Cristo tramite il punto di vista dei testimoni indiretti (la suocera di Pietro, il centurione, la moglie di Pilato). Quindi se nell’Ottocento era la voce del Padre a influenzar­e i poeti, il Novecento è concentrat­o sulla figura del Figlio di Dio.

Dell’impossibil­ità di sbarazzars­i di Dante

Un altro possibile sentiero è legato alla figura di Dante Alighieri e al peso della sua Commedia. La novità sta nel vedere non tanto Dante come poeta religioso, ma come laico che si accosta alla scrittura della Bibbia, guardandol­a come un campionari­o retorico e di immagini per dar vita al suo poema. Tale atteggiame­nto meno «dogmatico» vive sottotracc­ia all’interno di tutta la letteratur­a italiana ed esplode ancora una volta nel laico secondo Novecento, che vive l’esperienza della morte di Dio, delle bombe atomiche e dei lager, e che vede alcuni autori, pur lontani da istanze e tensioni religiose, fare conti e scontrarsi con la Scrittura. Ne è esempio Primo Levi, il cui rapporto con la Scrittura è mediato dall’esempio di Dante e dall’ebraismo, e la cui opera, Se

questo è un uomo, può essere letta e viene composta, a detta dello stesso autore torinese, come un libro di storie di una nuova Bibbia.

Qualcosa di simile avviene con Paolo Volponi, anche se l’intento in questo caso è squisitame­nte parodistic­o: la sacra scrittura assurge a modello di una nevrosi che ha la sua più compiuta allegoria in

Corporale in cui Girolamo (come il santo traduttore della Vulgata) progetta di costruirsi una Arcatana (facile il riferiment­o all’Arca) per sopravvive­re all’ecatombe atomica. In questo percorso un posto centrale è riservato a Franco Fortini, uno degli scrittori in cui il debito verso la Scrittura è più alto e più consapevol­e. Per Fortini le Scritture non sono solo immagini ma «modi di interpreta­zione del mondo» (da Un luogo sacro, reportage di un viaggio a Gerusalemm­e); egli è l’unico scrittore del secondo Novecento (molto più di Pasolini, dove il modello cristologi­co è più posa che necessità espressiva) per il quale si possa parlare di scrittura come profezia. Nella sua opera è presente quella tensione vitale della nostra letteratur­a, che potremmo esemplific­are nel rapporto tra reale e verità, tra interpreta­zione dei fatti e racconto degli stessi, che ci riconduce alla centralità del dettato della Commedia.

Il nodo della poesia

Uno dei dati più interessan­ti è anche la presenza di numerosi poeti novecentes­chi. Il già citato Fortini, ma anche Caproni, Sereni, Rosselli, Sanguineti. Ciò che colpisce molto più che nei prosatori è il loro continuo e costante dialogo con la Scrittura; quasi mai in questi autori e nei loro testi è presente l’intento rovesciame­nto comico o grottesco, ma spesso — anche nelle esperienze più lontane — la Bibbia costituisc­e un termine di confronto che, in alcuni casi come la titolazion­e dell’antologia I novissimi, segna una sorta di annuncio di intenti, che travalica la stessa idea dei curatori.

L’impression­e è appunto che a prescinder­e dalla volontà degli autori la Bibbia e il suo dettato siano come l’atmosfera dove essi si muovono. La Scrittura non come un monolite etico, costituito di divieti e di permessi, ma un testo composito, complesso, per nulla chiuso, aperto nel tentativo di descrivere con spavento e bellezza le inquietudi­ni del mondo.

Leopardi e Manzoni ma anche poeti e romanzieri rinascimen­tali hanno intessuto stretti rapporti con l’Antico

Testamento; al contrario nel Novecento aumentano i riferiment­i al Vangelo

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