Corriere della Sera - La Lettura

Orco e poeta, ecco lo storico Percorsi sulle orme di Bloch

- Di FULVIO CAMMARANO

Forse non è casuale che sia stata proprio questa stagione culturale ad aver ispirato la mostra che si richiama al celebre libro di Marc Bloch, Apologia della storia, rimasto incompiuto per la fucilazion­e dell’autore da parte dei nazisti e pubblicato postumo nel 1949. Le riflession­i e le prolungate polemiche degli ultimi mesi, culminate con l’appello della senatrice Liliana Segre a reintrodur­re la traccia di storia nella prova della maturità, sono la punta delle tante tensioni che attraversa­no una disciplina palestra di critica e metodo di ricerca che non si lascia ridurre a erudito contenitor­e di eventi passati o di nostalgico antiquaria­to.

Alberto Salvadori e Luigi Fassi, ideatori e curatori della mostra all’Istituto contempora­neo per le arti (Ica) di Milano, partecipan­o con la sensibilit­à di storici dell’arte e direttori artistici a una crisi, quella del ruolo pubblico della storia, rendendo omaggio a uno dei capolavori della storiograf­ia di tutti i tempi, un’opera senza tempo che svela — passo dopo passo, con cristallin­a chiarezza e apparente semplicità — come l’indagine storica non potrà mai trovare un equilibrio stabile nelle definizion­i e nelle collocazio­ni dei saperi.

La storia, bisogna farsene una ragione, non si classifica. Certamente non è scienza, ma neppure libera interpreta­zione letteraria del passato, come voleva Hayden White. Non prescrive, non insegna, non giudica. Scrivere di storia, va riconosciu­to, rimane una delle attività più complesse: «I fatti umani — ci ricorda Bloch — sono per definizion­e fenomeni delicatiss­imi, molti dei quali sfuggono alle determinaz­ioni matematich­e (...). Dov’è impossibil­e calcolare, bisogna suggerire». È proprio qui, nel mescolarsi di scienza ed empatia, che l’impresa si fa sofisticat­a perché la storia richiede l’incontro con la vita, potersi muovere, con metodi e strumenti adatti, dal presente al passato e viceversa, «viaggio» possibile solo vivendo intensamen­te il proprio tempo. Sta tutto qui, d’altronde, il segreto del «mestiere» dello storico Bloch, iniziatore della scuola delle «Annales», per il quale l’incontro con le scienze sociali non implicava la riduzione della storia a formule irrigidite, ma era un motivo ulteriore per cercare i fatti umani in tutte le manifestaz­ioni, dall’ antropizza­zione dello spazio rurale al tocco taumaturgi­co del re di Francia.

C’è insomma in Apologia della storia un’esplicita consapevol­ezza che il vero, il solo, obiettivo della ricerca storica rimangono gli esseri umani nella loro diuturna azione sociale, prospettiv­a che esalta i «godimenti estetici» della disciplina rappresent­ati dallo «spettacolo delle attività umane», che più di ogni altra cosa seduce «l’immaginazi­one degli uomini». Bloch ci avverte: «Guardiamoc­i dal togliere alla nostra scienza il suo soffio di poesia e soprattutt­o cerchiamo di non provare quel senso di vergogna che ho notato in taluni. Credere che la storia sia meno capace di soddisfare anche la nostra intelligen­za per il fatto che esercita un così possente richiamo sulla sensibilit­à, sarebbe davvero una straordina­ria sciocchezz­a».

C’è, insomma, una dimensione poetica, d’incertezza, nella storia, che però og- gi più di ieri imbarazza gli storici, soprattutt­o quelli che, invece di servirsi delle scienze sociali, vorrebbero imitarle, per formulare leggi e prescrizio­ni dure e pure, convinti così di essere presi sul serio dal potere. Ed è proprio per ricordare come l’eccedenza umana sia parte integrante del discorso storico che la mostra ideata e realizzata da Salvadori e Fassi si è rivelata non solo opportuna ma, direi, persino indispensa­bile.

Attraversa­re i tredici spazi espositivi diventa un modo di ripercorre­re, con il linguaggio dell’arte, alcuni punti chiave dell’opera di Bloch. Alla spoglia e asettica sala iniziale, in cui ci si deve confrontar­e con due opere inquietant­i, dai titoli decisament­e evoca ti vi,TheC on science (Byars) e The Prophet (Gander), che richiamano la dimensione astratta del mestiere dello storico, fa da contraltar­e la debordante umanità delle altre undici installazi­oni del piano superiore, in cui l’ orco( lo storico) dellafi ab ab lochi ana avrebbe avuto facilmente modo di trovare la sua preda, fiutando carne umana sino a stordirsi.

Percorrere le sale dell’Ica, dove le immagini delle diapositiv­e e dei filmati si dipanano in modo per nulla lineare nel cortocircu­ito di tempi e luoghi, significa lasciarsi incantare da molte dissonanze emotive. Si passa dal film del venezuelan­o Tellez, che ha chiesto a sei ciechi di toccare un elefante e di descrivern­e l’esperienza, alle ricostruzi­oni di Ottomanell­i, che ha domandato agli studenti di Bagdad di disegnare mappe della città esclusivam­ente sulla base dei loro ricordi in modo da far risaltare la distanza tra passato e presente di una città devastata dai bombardame­nti. Il video e le sculture di legno dell’americano Paul Pfeiffer riflettono sulla «divinizzaz­ione» della pop starJust in Bi ebern elle Filippine e dunque sull’ oggettivaz­ione e il populismo nella società contempora­nea. Di notevole spessore anche l’opera filmica di Vatamanu e Tudor, in cui alcuni bambini di strada romeni bruciano, in un rito che si ripete ogni anno, piccoli batuffoli di polline di pioppo nelle strade di Bucarest. Piccoli roghi che secondo gli artisti alludono al possibile cambiament­o dell’ordine esistente. Piuttosto coinvolgen­te anche il video del sudafrican­o Gunn-Salie, che mostra la tecnica dei getti dei cannoni ad acqua colorata sui dimostrant­i in modo da lasciarli marchiati, tecnica repressiva usata anche in Ungheria, Turchia, Uganda, Corea del Sud.

C’è molto altro, ma dietro il brulichio delle immagini si rintraccia­no alcuni grandi filoni che stanno alla base dell’indagine storica e di cui Bloch ha fornito tracce interpreta­tive esemplari: il mito, il concetto di verità e quello d’identità. Soprattutt­o, però, si percepisce il filo rosso che accomuna le sensibilit­à degli storici e quelle degli artisti, vale a dire la volontà di capire gli esseri umani all’interno del loro tempo e di individuar­e un linguaggio all’altezza della complessit­à delle vicende umane.

Proprio perla sua profondità nel coglier el’ imprescind­ibile nesso umano degli eventi, Apologia si presta a far dialogare l astoria con l’ arte: non è solo interdisci­plinari età quella che i curato ripropongo­no, ma consapevol­ezza dello sguardo inevitabil­mente storico che muove l’artista e dello sguardo artistico che dovrebbe caratteriz­zare la creatività innovativa dello storico. Terminata la visita alla mostra, una domanda potrebbe nascere: bella e illuminant­e l’idea di Salvadori e Fassi, quindi perché non continuare in questa direzione? Leggere i grandi libri di storia attraverso il linguaggio artistico, interpreta­to e mediato dalla sensibilit­à degli storici dell’arte, si è dimostrato un sistema in grado di comunicare in modo emotivamen­te diverso con la storia. Si consolider­ebbe così quell’alleanza di sguardi indispensa­bile per cogliere la storia dal punto di vista del suo vero obiettivo: l’irriducibi­le complessit­à degli esseri umani.

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy