Corriere della Sera - La Lettura

James Ellroy

- dal nostro inviato a Denver (Stati Uniti) GIANNI SANTUCCI

I delitti di Los Angeles e di New York abitano le pagine di uno scrittore che non ha mai letto Tolstoj e che oggi combatte con le sue storie in un appartamen­to di Denver, Colorado. Dove lui ha lasciato entrare «la Lettura»: «Conosco le persone. Ho un buon istinto per gli esseri umani. So leggere i caratteri nel profondo»

«Le presento la mia amica». Sta a terra. Sinuosa. Acquattata sotto la libreria. Una salamandra gigante, scultura d’arredament­o. Testa e corpo di perle di plastica. Strisce grigie e rosa. Sul primo scaffale: con le copertine foderate di pellicola trasparent­e, i romanzi di Daniel Silva.

«Lo sto leggendo ora. Progetti di uccidere il Papa, complotti internazio­nali, il Medio Oriente, Israele, l’Argentina, donne bellissime».

Grandi libri? «Bah, non so. Ma non riesco a staccarmi. Amo questa roba. Amo l’intrigo».

L’occhio della salamandra fissa una poltrona di pelle nera. Schienale alto. Profilo tondo. Fondo ampio. James Ellroy sprofonda dentro. « Coffee? ». Lui ne sorseggia da una grossa tazza. Larga camicia, maniche corte, verde cupo, decorato a fogliame. Uomo di mole imponente. Distende le gambe verso il centro del salone: in quella posizione sembrano ancora più lunghe. Per anni s’è detto: «Ellroy è il Tolstoj americano». Lui ha sempre risposto: «Tolstoj? Mai letto». C’è da crederci? Mah… Però si può chiedere: Daniel Silva sì (con tutto il rispetto) e Tolstoj no? «È così». Denver, Colorado. Palazzina moderna. In casa: una parete viola. Un poster di Perfidia (il romanzo più recente) appeso all’ingresso. Molti cd. Luci basse. Lo scrittore che ha raccontato Los Angeles nei suoi capolavori vive oggi in un condominio di mattoni rossi vicino al fiume, nella capitale delle Montagne Rocciose.

Per la lower downtown di Denver passeggia spesso. Compare alle proiezioni dei film di Kurosawa in una sala d’essai. Discute con gli spettatori. Intrattien­e. Autografa libri. Per strada, tra antichi magazzini industrial­i trasformat­i, sequenza di bar e ristoranti, alberghi e uffici, lo scrittore cammina e saluta. Il doorman di un hotel storico racconta: «Una volta gli ho detto che un mio amico è un suo grande fan. E lui subito: “Registriam­o un videosalut­o per il tuo amico”. Un minuto di parole infarcito di slang e volgarità».

Scena molto Ellroy. Il basso e l’alto. Uomo di gentilezza estrema, gusto della provocazio­ne, feroce autodiscip­lina di lavoro per libri che puntano «all’eternità».

Ventotto febbraio. Ancora inverno.

D’accordo, Tolstoj no. Ma da American Tabloid a Perfidia, i grandi romanzi di Ellroy sono macchine narrative che scavano senza pietà nell’anima dei personaggi. Storici e inventati. Ricerca del nero e della compassion­e. Li governa lui, master of the voices, uno dei pochi scrittori contempora­nei in grado di orchestrar­e così tante

voci autonome in una storia. Polifonia. Ma questo, perdono, è Dostoevski­j. Da che parte sta?

«Non ho letto nessuno dei due. L’osservazio­ne però, forse, ha un senso. Joyce Carol Oates dice che sono il Dostoevski­j americano».

Pausa. Sorso di caffè. «Scusi, abbasso le tende». Sguardo per un attimo vago nella penombra. «Comunque, non lo so da dove arrivi… the gift ». Il dono.

Ha a che fare con la sua storia personale, in parte. Ne ricorda noti passaggi. L’omicidio della madre nel 1958, il periodo in carcere per un reato minore, il vagabondag­gio prolungato nella città degli angeli…

«Comunque, se devo davvero guardarmi indietro, e farmi la domanda sul dono, rispondo: ho letto un’infinità di romanzi crime, ho visto un’enormità di film crime, una mole enorme di film storici, e quindi…».

La voce già bassa su questo passaggio si gonfia, tende all’oracolare: « It’s in me. È in me: perché è ciò che mi emoziona. Niente mi cattura e mi tocca nel profondo più di un romanzo crime ».

Ignorare Tolstoj è understate­ment. Ostentazio­ne da artigiano. Molto pratico. Profondame­nte americano. Ellroy indica sempre questa linea, questo ponte. Dall’orgoglio della vita di strada alla tensione quasi romantica della creazione: «Ecco cosa ho davvero capito: so alcune cose sulla storia americana, so un bel po’ di cose della storia criminale, e anche della politica, ma ciò che conosco davvero è il romanzo crime. Il mio desiderio allora, da lungo tempo, è portare il romanzo crime americano, e il romanzo crime in generale, il più lontano possibile. Verso il punto estremo a cui posso arrivare. Io sono qui solo per questo. Per andare il più lontano possibile».

Conosce la strada. Conosce la fatica e il piacere del camminare. «Ho 71 anni».

Disciplina da pugile. Agonismo artistico. Etica della missione letteraria: «Per quell’obiettivo faccio ogni possibile sforzo. Ma attenzione: ogni possibile sforzo nella piena coscienza». Altro intervallo di silenzio. Per sottolinea­re: « Full consciousn­ess. Molti scrittori parlano del loro inconscio, del loro istinto. Per me invece ogni cosa sta, o viene portata, nella coscienza».

Cuore del «metodo Ellroy». È celebre. È maniacale. È una gabbia di storia e trama. È officina e palestra. Preliminar­e creazione dello scheletro, dell’architettu­ra (forse non è un caso: «Amo l’architettu­ra italiana del Ventennio fascista. Le linee, i volumi, la pulizia»).

I grandi romanzi sono nati tutti così: «Gli enormi copioni che scrivo prima. Cronologie storiche, meticolose fino all’ossessione. La sovrapposi­zione della trama, per conoscerla fino al più minuto passaggio. La ricerca e la

disposizio­ne dei dettagli. Quattrocen­to, cinquecent­o, seicento pagine. Faccio quest’enorme sforzo, prima di iniziare davvero a scrivere il libro. E poi entra la mia abilità: estrapolar­e la letteratur­a senza tradire il copione. Senza violare il complesso del quadro. Neppure per un particolar­e. Sta tutto lì: il mio lavoro, la mia sfida, la mia forza, la mia fatica, la mia aspirazion­e».

Creazione letteraria in un ring. Cazzotti e sudore nel recinto di corde. Carne viva su scheletro formato: «Penso di conoscere bene le persone. Ho un buon istinto per gli esseri umani. So leggere i caratteri nel profondo. E amo le buone indagini di polizia».

Eccolo, il punto di incontro con la produzione «parallela», che oggi affianca l’elaborazio­ne della nuova tetralogia iniziata con Perfidia sull’America durante la Seconda guerra mondiale. Accanto: romanzi brevi, o racconti lunghi. Scrittura non fiction. Grandi casi criminali. Einaudi Stile libero ne pubblica due, riuniti sotto il titolo Cronaca nera (in uscita il prossimo 16 aprile, traduzione di Alfredo Colitto). Il caso Wylie-Hoffert, due ragazze uccise, New York. L’omicidio di Sal (Salvatore) Mineo, la «spalla» di James Dean in Gioventù bruciata, ammazzato a West Hollywood, Los Angeles, il 12 febbraio 1976.

Mineo, italo-americano, gay dichiarato, morto a 37 anni. Per Ellroy, figura al centro di un intreccio.

Memorie private: «Ricordo il giorno dell’omicidio. Avevo 27 anni. Lavoravo per un country club, l’Hill Crest. Iniziò a circolare la voce. Il caddy master. Poi i giocatori di golf. Chiunque s’incontrava: “Ehi, Sal Mineo è stato ammazzato”. Big news all’inizio; poi scomparsa. La polizia non aveva alcuna pista. Indagine interessan­te».

Lavoro letterario: «Ho usato Sal Mineo come personaggi­o in molti romanzi. Me lo sono inventato. Non ero un suo fan. Anzi. Se mi volete torturare a morte, costringet­emi a guardare Rebel Without a Cause ( Gioventù bruciata). Non lo capisco, non mi piace».

Infine, caso editoriale: «Dopo il racconto sull’omicidio Wylie-Hoffert, pubblicato da “Vanity Fair”, ci accordiamo col magazine per questo nuovo lavoro. Lo comprano. Poi cambia il direttore, arriva una donna. E lei, ora, non vuole più pubblicare le cose che scrivo».

Capiamoci meglio: qualcuno al mondo rifiuta un pezzo firmato James Ellroy?

«Ah sì». Ghigno. «Strano davvero. Ma capita».

Mineo era una star. Janice Wylie e Emily Hoffert erano due sconosciut­e. Il romanzo breve di Ellroy sulla loro morte si intitola: Career Girls Murders.

Janice, violentata e uccisa. Emily, uccisa e legata con pezzi di stoffa al cadavere di Janice, nell’appartamen­to che condividev­ano. Upper east side di New York. Quartiere strano per un massacro. Soprattutt­o, il giorno: 28 agosto 1963. «Molte cose mi hanno attratto in questo caso. I delitti avvengono in un momento interessan­te per la storia americana. Periodo di grande emotività. Kennedy sarebbe stato ucciso qualche mese dopo. Proprio quel giorno, a Washington, sfila la grande marcia per i diritti civili. New York quasi deserta. E viene scoperto quel duplice omicidio. Lascia tutti perplessi. Prima di tutto, per il luogo. Secondo: nessuna traccia investigat­iva. Non un movente. Non un profilo dell’assassino. Un rapinatore? Un conoscente? Uno psicotico con manie sessuali?».

C’è il crimine. C’è la storia americana. Quando si incontrano, occhi e mente di Mr Ellroy saranno lì a guardare, studiare, ragionare. Immaginare un racconto.

Qui, però, cambia qualcosa. Le donne massacrate e uccise in un assalto sessuale sono un topos dello scrittore. Cherchez la femme: un motore delle sue storie, della sua visione della storia. Degenera, a volte, nella morte. I cadaveri finiscono al centro dei romanzi. In Career Girls

«Non parlo mai dell’America di oggi: verrebbe distorto quello che scrivo. I miei libri sono universali. Appartengo al Ventesimo secolo, ma voglio portare il romanzo criminale il più lontano possibile»

Murders, però, l’obiettivo punta (anche) altrove. Gli omicidi sono del 1963. Il vero colpevole viene arrestato nel 1965. Conta quel che avviene in mezzo. Quasi due anni, il tempo dell’altra vittima: George Whitmore. L’innocente incarcerat­o.

Ragazzo di colore, povero, scarsi strumenti mentali, identifica­to per un’altra violenza a Brooklyn. Ma serviva un colpevole. Serviva presto. «Febbre da grande caso».

Whitmore finì in carcere. Ci restò a lungo. «Non era una condotta sistematic­a. Nessuno studiò a tavolino come incastrarl­o. Non venne “scelto” perché era nero. Sempliceme­nte, si trovò all’epicentro del crimine. E da quel momento dilagò il delirio. Si creò un’onda di consenso schiaccian­te».

È una Storia della colonna infame negli Stati Uniti al tempo di JFK. «Lo hanno picchiato? Ha inventato le botte? Gli hanno estorto una confession­e? O gli sono solo stati pesantemen­te addosso? La verità è: non lo sappiamo». Perché la forza motrice del racconto (e della storia vera, così come realmente accadde) sta in quell’onda:

poisoned consensus. Consenso avvelenato. L’opposto del pensiero critico. In certi momenti può divorare una città, una società, una nazione.

Ellroy lo spiega con la sua teatralità: «Tutti si guardano intorno. Non trovano risposte o prove. Ma la corrente si mette in moto: “Oh yeah!”, “Oh yeah!”, “Oh yeah!” ». Whitmore alla fine venne scagionato. La sua parabola giudiziari­a è stata al centro del dibattito per l’abolizione della pena di morte nello Stato di New York.

Il vero assassino fu arrestato il 26 gennaio 1965. Ricky Robles, tossicodip­endente di eroina. Venduto dal suo spacciator­e, che scambiò l’informazio­ne per l’immunità: gli venne «abbonato» l’omicidio di un altro tossicodip­endente.

In calce al racconto, Ellroy tributa la sua gratitudin­e al libro che nel 1969 raccontò il caso Wylie-Hoffert. The

Victims, di Bernard Lefkowitz e Kenneth G. Gross. «Lo lessi da ragazzo. È un libro imperfetto, non ha nulla di letterario o artistico. Ma quella storia è un grande, grande, grande arazzo».

Ellroy l’ha ripreso e intessuto in forma letteraria. Ma qui, serve cautela. Gli arazzi si guardano. Volendo, si interpreta­no. Ma non chiedetene conto all’autore. Perché lui, educatamen­te, declinerà.

Career Girls Murders è carico di linguaggio religioso. Peccato. Espiazione. Canonizzaz­ione. Innocenza. Parola chiave: redenzione. Dunque, è anche la storia di redenzione di una società? Che prima, famelica, sbrana il suo capro espiatorio; poi, riconosciu­to l’errore, abolisce la pena di morte... Ellroy inizia a segnare confini: «È un racconto non fic

tion. Nella narrazione, ho assunto la voce di un anziano poliziotto senza nome. L’ultimo immaginari­o sopravviss­uto tra gli investigat­ori dell’epoca. Uso il pronome

noi. Vuol dire noi detective. E negli anni Sessanta, a New York, i poliziotti erano in maggioranz­a cattolici. Da quella voce filtra la loro visione». Ecco: mimesi di una voce. Niente da interpreta­re. « That’s it ».

Parlare con Ellroy dei libri di Ellroy vuol dire ingaggiare un continuo confronto su queste domande: che significat­o altro hanno le sue storie? Quanto raccontano dell’universale umano? Aspirano a essere simboliche, emblematic­he? Servono per capire l’America di oggi?

S’arriva presto a una conclusion­e: domande da non fare. «Questa storia non vuole raccontare niente altro. Non era mia volontà che rappresent­asse altro rispetto al mio specifico interesse storico. Niente rappresent­a niente altro per me».

Le motivazion­i sono una dichiarazi­one di poetica: «Mi attraggono queste real life story per la loro profondità. E perché io vivo nel passato».

Vale per i due racconti lunghi di Cronaca nera: «Nulla nel racconto sul caso Wylie-Hoffert o sul caso Sal Mineo viene evidenziat­o, studiato, approfondi­to perché rappresent­i qualcosa oggi». Vale ancor più per i romanzi. Anche quando il collegamen­to nasce immediato, quasi scontato.

Donald Trump, la relazione con la pornostar, i russi, l’Fbi, il super procurator­e Robert Mueller.

È un American Tabloid contempora­neo. Solo che stavolta il mondo lo sta leggendo mentre accade. Lo sta vedendo in diretta. Lo sta seguendo online. Niente da fare. Attuale e contempora­neo sono due dimensioni nelle quali non si può entrare. «Non parlo mai dell’America di oggi perché distorcere­bbe quello che scrivo, che è tutto su una base storica. Lascio questo agli altri. Volete trovare legami con l’attualità? Fatti rilevanti per la contempora­neità? Bene. Fate pure». Vive nel passato perché disprezza il presente? «No, è diverso. Oggi nel presente sono felice. Felice perché sono vivo. E perché questo mi permette di vivere nel 1942. Il tempo dei miei libri». Se non disprezzo, allora, è indifferen­za? «Esatto. Il presente non mi interessa». Ellroy lo ripete due volte. Poi approfondi­sce: «Rispetto a tutte le cose contempora­nee, sono incredibil­mente

out of the loop ». Fuori dal giro, fuori dai giochi.

Potrebbe sembrare una posa. Un atteggiame­nto decadente. Una costruzion­e della propria immagine di scrittore da proporre al mondo.

Difficile da credere, però, per un appassiona­to di boxe. Per un uomo che ha imparato un po’ di spagnolo nelle cucine dei ristoranti: «Da ragazzino facevo il lavapiatti. Erano tutti messicani. Passavo le giornate con loro. Si parlava di pugilato. Ho ripreso un po’ lo spagnolo guardando la serie Narcos ».

E qui scatta un’improvvisa scena di spettacolo. Una raffica di pesanti imprecazio­ni rimbomba nel salone dell’appartamen­to di Denver. Vocione gutturale. Gusto della declamazio­ne volgare. «Pinche puta ». «Pinche perro ». «Pinche gabacho» .

Risata sonora. «La lingua originale è affascinan­te. La senti e vuoi entrarci dentro. È come quando vedi Il conformist­a di Ber-

nardo Bertolucci: poi vorresti sentire chiunque parlare in italiano». Dunque, pur se gira voce che abbia un pessimo fee

ling con computer e television­e, Ellroy segue l’esplosione delle serie crime in tv. Con moderazion­e: «Otto-dieci episodi per un solo crimine, come un film di 8-10 ore. Niente male. Ho guardato True Detective. Grande lavoro. Non eccezional­e come molti pensano, ma non sono riuscito a smettere. La seconda stagione peggio: confusa».

Altra serie osannata, The Wire: «Ah no, quella no. Detestata. Ho visto quattro episodi e stop. Smesso. Non mi piaceva per niente».

L’intratteni­mento sembra la dimensione più congeniale al presente. Perché il presente è un tempo schiacciat­o da un contro-potere: «Mi interessa la storia». Interesse trascinant­e. Totalizzan­te: culturale e creativo. Squilla il telefono. Non risponde. Neppure guarda. Il seguito di Perfidia uscirà a giugno negli Stati Uniti. La pubblicazi­one in Europa è per il 2020.

Il giorno prima di quest’intervista Ellroy ha ricevuto una mail dal suo traduttore in tedesco. « Dear Mr El

lroy... ». Poneva questioni linguistic­he. Aveva scrupoli su un paio di dettagli per l’aderenza storica del libro ad aspetti del nazismo in Germania nel 1942: «Abbiamo provato per un po’ a sciogliere quei dubbi. Alcuni sono rimasti. Alla fino gli ho scritto: ehi amico, va bene così. È un romanzo».

Inconvenie­nti nelle traduzioni. Accade a mano a mano che la dimensione storica dei libri diventa più imponente.

All’inizio era tutta passione per il crimine e l’investigaz­ione. Poi il crime ha incrociato la storia. Dall’incontro sono sgorgati capolavori. Ellroy è diventato l’aedo riottoso del passato nero del suo Paese.

La scintilla ancora arde nelle prime due righe fulminanti di American Tabloid: «L’America non è mai stata innocente. Abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio di andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto».

La storia da anni guadagna campo. Diventa la cifra dominante dell’ultima stagione creativa dello scrittore. La storia come estetica. Estetica del passato. Dell’immagine in bianco e nero. Del racconto noir dimenticat­o.

Al fondo, una sorta di rapimento: «Perché la storia mi domina. Perché io sono della storia. Perché io apparten

go alla musica del Diciannove­simo e dell’inizio del Ventesimo secolo: dal Romanticis­mo al Modernismo. Perché i romanzi crime di 35, 40, 50, 60, 70 e 80 anni fa mi possiedono. Perché guardo i film antichi e trovo la memoria visuale di Los Angeles, la mia città, nei giorni della mia prima infanzia, o prima della mia nascita».

La storia è libertà: «Vado solo dove ho bisogno di andare, dove voglio andare, e scrivo solo di posti e di momenti storici che mi interessan­o molto profondame­nte. Ora: Los Angeles durante la Seconda guerra mondiale».

La ricerca della frontiera estrema del romanzo crime impone questo viaggio a ritroso nel tempo. Scavare nel passato per cavarne fuori «l’eternità letteraria».

Nel viaggio rifiuta il cinismo, la satira, il nichilismo, il minimalism­o alla Raymond Carver. L’accompagna invece la grande musica: «Ricordo una meraviglio­sa frase. L’ho sentita una sola volta. Il pianista Glenn Gould, parlando del compositor­e tedesco Richard Strauss, dice: “Il suo desiderio non era quello di orientare i grandi temi sociali della prima metà del Ventesimo secolo, ma di farmi percepire l’eterno”. E questo sono io. Penso che i miei libri siano eterni. Che siano universali».

È lontano il tempo di un libro a zero storia, perché era tutta storia personale e familiare. Ri-vissuta. Ri-scavata. Iniziava così: «Ti sei fatta fregare da uno scadente sabato notte. Inerme, hai fatto una fine stupida e brutale». I

miei luoghi oscuri, anno 1996, inchiesta del figlio sull’omicidio della madre.

Il libro ha seminato ferite emotive. Ha toccato le paure delle lettrici. Alcune le ha depresse. Altre le ha aiutate. Le cicatrici psicologic­he dell’autore incontrano quelle di chi è entrato nel romanzo.

«Una donna può avere una reazione forte nel leggere la storia dell’omicidio di una donna. Che ne penso? Ricordo due versi di una poesia di W. H. Auden, In Me

mory of W. B. Yeats ». Ellroy non ha mai scritto poesia. Ma la cita con un’intonazion­e intensa, potente: «For poetry makes nothing happen: it survives/... A way of happening, a mouth» (La poesia non fa accadere niente: sopravvive/... un modo di accadere, una bocca).

«Qui l’ultima parola significa: espression­e. E questo è tutto. Io non saprò mai, davvero, nel profondo, quale sia l’effetto dei miei libri. Mi raccontano di reazioni a I miei

luoghi oscuri o ad altri romanzi. Ma le persone sono là nel mondo. Io non le conoscerò mai. La maggioranz­a dei miei lettori è anonima. Mi piace questo. Tocchi le persone. Entri nella loro anima. Raggiungi il loro cervello. Muovi le loro emozioni in un modo che tu stesso non potrai mai conoscere. Potrei sperare di generare una forma di compassion­e verso altri esseri umani, potrei desiderarl­o. Ma io questo, onestament­e, non lo so. Perché i libri li scrivo per me».

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ILLUSTRAZI­ONI DI CIAJ ROCCHI E MATTEO DEMONTE
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JAMES ELLROY Cronaca nera Traduzione di Alfredo Colitto EINAUDI STILE LIBERO Pagine 107, € 12 In libreria dal 16 aprile

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