Corriere della Sera - La Lettura

Il Machiavell­i di Atene

Il contrasto potenziale tra democrazia e giustizia, forza e valore nell’analisi dello Pseudo-Senofonte: un testo lucido e realista scritto oltre duemila anni fa in Grecia può ancora insegnarci parecchio sulla crisi della politica

- Di MARIO ANDREA RIGONI

Come chiunque sa, fra i molti titoli della gloria suprema che può vantare la Grecia classica, oltre alla filosofia e alle arti, figura la creazione, nell’Atene del VI secolo avanti Cristo, di una forma di governo che costituisc­e il primo esempio di democrazia nella storia. La democrazia ateniese non era però rappresent­ativa, come le democrazie moderne, bensì diretta, come oggi lo è ancora, e solo entro certi limiti, in alcuni cantoni svizzeri. Etimologic­amente «democrazia» significa «potere del popolo», ma l’attiva partecipaz­ione politica era limitata a un numero ristretto di persone, perché cittadini in senso proprio erano soltanto i maschi liberi e maggiorenn­i: le donne, gli stranieri residenti (meteci) e, naturalmen­te, gli schiavi erano esclusi.

Promossa tra l’inizio del VI e la prima metà del V dall’opera di Solone, di Clistene e di Efialte, la democrazia ateniese durò fino alla conquista macedone della Grecia nel 322 a.C., nonostante sia stata interrotta da due brevi esperienze di governo oligarchic­o, nel 411 dopo la sconfitta ateniese in Sicilia e nel 404 alla fine della guerra del Peloponnes­o, che vide vincitori gli Spartani, campioni dell’oligarchia.

Ma i Greci fin dall’inizio non si limitarono ad attuare l’esperiment­o democratic­o: in accordo con la loro vocazione speculativ­a, discussero incessante­mente nelle più varie forme letterarie la questione teorica della politica e dei sistemi di governo, da Platone ad Aristotele, da Solone a Tucidide, da Erodoto ad Aristofane.

È nota, attraverso la testimonia­nza dello storico Tucidide, la definizion­e che, nel celebre epitafio o discorso funebre per i caduti del primo anno della guerra del Peloponnes­o, diede Pericle (il più influente politico dell’epoca) della singolarit­à della democrazia ateniese come sistema che «si fonda non sui pochi, ma sui molti», promuovend­o ai pubblici uffici chi si distingua «non per il rango, ma per i meriti» ( Storie, II, 37, 1).

Il concetto è ripreso nel Menesseno platonico (238 D), dove Socrate recita a memoria un epitafio che avrebbe imparato da Aspasia, l’amante di Pericle: «Il potere della città — avrebbe detto Aspasia — risiede per lo più nel popolo, che affida cariche e potere a chi di volta in volta gli sembra migliore, senza che qualcuno sia escluso per debolezza, indigenza o oscurità della nascita, né per i requisiti opposti sia ritenuto degno di stima, come accade nelle altre città. Un solo criterio: chi acquista fama di uomo saggio o valoroso detiene il potere e il governo». La costituzio­ne che gli Ateniesi hanno per lo più sempre avuto e hanno tuttora, spiega Aspasia, «alcuni la chiamano democrazia, altri in altro modo, ma in verità è un’aristocraz­ia con l’approvazio­ne del popolo».

Infine Aristotele, nella Politica, ripone l’essenza primaria della democrazia nell’uguaglianz­a, ossia nel fatto che «né i poveri né i ricchi prevalgano, né il potere sia di questi o di quelli, ma gli uni e gli altri siano uguali» (Politica, 1291 b 31-34).

Un breve testo polemico, trasmesso fra gli scritti dello storico Senofonte, la cui paternità è peraltro tendenzial­mente negata tanto che esso è noto con il titolo Costituzio­ne degli Ateniesi dello PseudoSeno­fonte, ha suscitato tra i filologi, gli storici e i politologi un’interminab­ile discussion­e, generata innanzitut­to dal fatto che pressoché nulla di assolutame­nte certo ne sappiamo: non l’autore, non la data, non il luogo, non l’ambientazi­one, non la forma, che è un discorso continuo, ma qualcuno ritiene fosse in origine un dialogo.

Da dove deriva tanto motivo di interesse? Dalla singolarit­à del contenuto e del senso del testo, adesso ripubblica­to negli «Scrittori greci e latini» della Fondazione Valla (Mondadori editore) con l’introduzio­ne, la traduzione e il commento di Giuseppe Serra e un saggio di Luciano Canfora: «Esso appartiene — scrisse Wilhelm Roscher, l’iniziatore della critica moderna sullo Pseudo-Senofonte (1841) — alle più affascinan­ti e intelligen­ti reliquie di tutta la letteratur­a greca» ed è opera di una figura «perfettame­nte in grado di calarsi nell’animo dei suoi avversari, di trarne la spiegazion­e delle loro azioni, di lodarle o biasimarle dal loro stesso punto di vista. Tuttavia la sua ca- pacità politica e pratica di prender partito non è minimament­e compromess­a dalla sua imparziali­tà di storico».

Il libello, oggi prevalente­mente datato, come già aveva proposto Roscher, intorno agli anni Venti del V secolo a.C., si presenta infatti come una giustifica­zione della democrazia formulata a dispetto della sua condanna ideale o, secondo alcuni, come un attacco alla democrazia, e in particolar­e alla democrazia ateniese, travestito da apologia.

L’ignoto autore dichiara fin dall’inizio di non approvare la costituzio­ne democratic­a degli Ateniesi, perché essa privilegia il popolo ignorante e povero rispetto alla classe più saggia dei nobili e dei ricchi, alla quale dovrebbe spettare il comando; ma, nello stesso tempo, riconosce che giustament­e il volgo prevalga sull’aristocraz­ia, dato che solo dal popolo dipende la libertà e la potenza della città, più in particolar­e il suo impero marittimo: sono i poveri che fanno andare le navi e danno prosperità allo Stato assai più dei ricchi e dei nobili, e allo stesso modo sono i meteci che consentono lo sviluppo delle arti.

Legittimam­ente il popolo persegue il proprio interesse, anche a danno di un equo governo, preferendo l’utile al giusto. «Il popolo vuole essere libero e comandare», dichiara lo Pseudo-Senofonte, ma egli deve riconoscer­e che, se si affermasse l’eunomia, ovvero il dominio delle buone leggi, il popolo «cadrebbe al più presto in schiavitù» e forse Atene potrebbe perdere l’impero, come di fatto avvenne nel 404 a.C., quando Sparta vinse la guerra e ad Atene fu imposta l’oligarchia collaboraz­ionista guidata da Crizia. Si può anche migliorare la costituzio­ne, ma non è facile conservare nel contempo la democrazia se non «togliendo o aggiungend­o qualcosa un po’ per volta», osserva l’ignoto autore.

Sembra dunque delinearsi un dilemma e un conflitto fra giustizia e democrazia, fra valore e potenza, fra idealità e fatti, tanto da rendere difficile capire da che parte stia realmente l’autore ma, soprattutt­o, da suggerire analogie con situazioni politiche concrete che sono anche quelle dei nostri giorni.

Nella limpida introduzio­ne, nel puntuale e monumental­e commento al testo Giuseppe Serra — umbratile, coltissimo e inflessibi­le grecista e arabista — mette egregiamen­te in luce la struttura antilogica, presente anche nelle Storie di Tucidide, del discorso dello Pseudo-Senofonte, che egli avvicina anche ai diffamati, ma per noi quanto mai moderni, «discorsi doppi» dei sofisti. Serra nota in particolar­e la fragilità degli indizi che sostengono la datazione tradiziona­le dell’opuscolo al V secolo e non esclude che esso, proprio per il suo carattere retorico, possa invece risalire al IV, quando il vecchio impero ateniese, sconfitto in guerra, non esisteva più.

Certo il problema sarebbe risolto se si potesse assegnare la paternità dell’opuscolo a un personaggi­o noto. È la strada seguita nel suo saggio da Luciano Canfora, che partendo da un’ipotesi di August Böckh (1850) difende con argomentaz­ioni da par suo l’attribuzio­ne del libello all’aristocrat­ico Crizia: zio di Platone e discepolo di Socrate, capo dei Trenta tiranni di Atene, riparato in Tessaglia dopo il fallimento della rivoluzion­e oligarchic­a del 411 a.C., Crizia avrebbe sferrato dall’esilio un violento pamphlet contro l’Atene democratic­a. Nello stesso tempo Canfora riconosce che la Costituzio­ne degli

Ateniesi, pur nata da una situazione concreta, «vuole assumere un valore generale» e potrebbe essere stata scritta quando l’impero ateniese era già sulla via del tramonto.

L’ingenuo lettore, al di là del disaccordo degli studiosi, immagina nello Pseudo-Senofonte solo un disincanta­to realista, un lontano precursore di Niccolò Machiavell­i, che potè essere repubblica­no e mediceo senza privare il mondo del dono di un’intemerata lucidità.

Base dell’impero I poveri non sono istruiti come le classi superiori ma, in quanto equipaggi delle navi, assicurano la potenza della città

 ??  ??
 ??  ?? PSEUDO-SENOFONTE Costituzio­ne degli Ateniesi A cura di Giuseppe Serra Con un saggio di Luciano Canfora FONDAZIONE LORENZO VALLA MONDADORI Pagine 224, € 35
PSEUDO-SENOFONTE Costituzio­ne degli Ateniesi A cura di Giuseppe Serra Con un saggio di Luciano Canfora FONDAZIONE LORENZO VALLA MONDADORI Pagine 224, € 35

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy