Corriere della Sera - La Lettura
I libri sono treni. O bombe Questo è una ragnatela
«Case di vetro» di Louise Penny comincia con un tizio, abbastanza anonimo, che è il capo della polizia del Québec Però c’è qualcosa che non torna, e poi qualcos’altro e qualcos’altro ancora. E tu sei finito nella trappola del ragno
Ci sono libri che sono come treni: ti travolgono di colpo trascinandoti in una corsa inarrestabile, fino alla fine. Belli. Poi ci sono libri che sono come bombe, a orologeria: nascoste a ticchettare inquietanti finché, all’improvviso, esplodono. Belli. E sì, ci sono anche libri che sono come un vicino di letto che russa: disturbano il sonno e allo stesso tempo te lo fanno venire. Brutti. Questo libro è come una ragnatela.
Case di vetro di Louise Penny (Einaudi Stile libero) comincia con un tizio, il capo della polizia del Québec, un tipo abbastanza anonimo, brizzolato, espressamente definito mite, che sta rilasciando una deposizione su un caso di omicidio avvenuto tempo prima e del quale non sappiamo niente. Battute e controbattute — nome e cognome, pre
go — mormorii dei giurati e del pubblico, gli sguardi del giudice, tutta quella ritualità a cui siamo abituati dai processi di tipo anglosassone e anche qui, nel Québec canadese.
Però c’è qualcosa che non torna. Una nota che suona strana, non tanto, appena appena, una strana ostilità tra il procuratore che porta avanti l’accusa e il poliziotto, che normalmente dovrebbe essere il suo complice principale e che qui, anche se è un vero detective da giallo, bravo, brillante, intuitivo e deciso nonostante il suo aspetto mite, ha negli occhi, sempre così miti, appunto, qualcosa di angosciato.
Attenzione, solo una nota, lontana, ma intanto ne arrivano altre a costruire lentamente una ragnatela, solida e vischiosa, attorno al lettore, cose strane che ci sono e altre che invece mancano, tipo il morto o l’assassino, pure reo confesso, per ora appena accennati quasi non fossero importanti, come tanti altri elementi che emergono dalle domande del procuratore o dai ricordi del poliziotto, che si ricostruiscono in flashback che passano dall’estate all’inverno. L’estate del processo, insolitamente afosa e sudaticcia per noi — o magari soltanto per me che sono un po’ un provinciale — abituati a pensare a un Canada sempre freddo e ghiacciato come le ambientazioni dei gialli scandinavi. E l’inverno, o meglio l’autunno, meglio ancora novembre — mese di transizione, purgatorio, alito freddo e umido tra l’agonia e la morte, tra l’autunno e il cuore dell’inverno — del caso in que
stione.
Note che stonano, lontane, maglie di ragnatela sottili che ti fanno procedere incuriosito riga dopo riga, con un ritmo che pare — pare, attenzione — lento, ma non è vero. Perché appena Armand Gamache, capo della Sûreté del Québec, il poliziotto mite e bravissimo, dice ho capito che stava succedendo qualcosa di strano quando ho visto la figura con la tonaca nera nel parco del villaggio, ecco che ormai ci sei, dentro la ragnatela, stordito e affascinato, come succede ai lettori di un bel giallo che funziona.
Oh, tranquilli, non ho rivelato niente, sono un giallista anch’io e so che di un libro così si può dire qualcosa a patto che non si capisca abbastanza da incuriosire, e infatti con la trama qui mi fermo.
Qualcos’altro, però, ancora si può dire. Qualche altra maglia della ragnatela, che non è fatta soltanto di misteri e colpi di scena, ma anche di ambienti, stile letterario e personaggi. E anche qui occhio, perché tante cose paiono in un modo e invece sono altre.
Siamo in Canada, nella parte francofona, in un paesino che si chiama Three Pines, tre pini, così fuori mano, nel bel mezzo del nulla, che se arriva qualcuno di solito è perché si è perso. Però attenti, anche se Three Pines è un villaggio pittoresco, con il suo bistrot, il fornaio e la libreria caratteristica, non è la Cabot Cove della Signora in Giallo. Siamo in mezzo alle bellissime foreste canadesi, ma a un passo dal Vermont, la porta di ingresso agli Stati Uniti. E anche se quando parliamo di droga e criminalità organizzata il nostro immaginario vola subito ai deserti sul confine tra Usa e Messico, è invece da lì, dal border col Canada che passano i traffici, ed è proprio lì, in quel Canada di fresconi e pacifisti dipinto da molti film americani, che i cartelli messicani e la ’ndrangheta hanno messo radici, seminando corruzione, condizionamenti politici e morti ammazzati. Come succede in molti noir americani, in quelli scandinavi e in molti dei nostri — la città regione della cosiddetta scuola bolognese, per esempio — un paesino con il suo sceriffo non è soltanto un borghetto con il campanile ma un anello, una maglia, appunto, di una rete molto più vasta e complessa.
Siamo in Canada significa anche che la nostra storia assume sfumature che in altri contesti possano sembrare surreali e che qui, invece, sono affascinanti. Un’altra nota su cui accordare tutta la sinfonia, che risulta così magicamente diversa. Un uomo vestito di una lunga tunica nera, con un cappuccio e una maschera, fermo in mezzo al parco del paesino. Immobile, tutto il giorno e gran parte della notte e poi anche il giorno dopo, e va bene che prima era Halloween, ma dopo basta. Tutti lo guardano ma nessuno fa niente, a parte il nostro poliziotto che dopo qualche domanda senza risposta lo lascia lì. Poco oltre il confine lo sceriffo magari gli avrebbe sparato, o sarebbe stato massacrato dai membri di una gang, ma a Three Pines invece no. Dopo i primi timori diventa parte del paesaggio, per tutti. O meglio, quasi tutti. Al nostro poliziotto, invece, fa paura.
Ho pensato che fosse la morte, dice. (Tranquilli, non ho rivelato niente).
È il primo libro che ho letto di Louise Penny, che nonostante il successo internazionale che l’ha consacrata a forza di premi come una regina del genere, e già qualche pubblicazione in Italia, non avevo mai incontrato prima. E non conoscevo l’ispettore capo Armand Gamache con la sua squadra di poliziotti, tra cui Louiselle Lacoste, che dirige la Omicidi e che parla con i morti, promettendogli di prendere l’assassino.
Non so come si sentano le mosche invischiate al centro del bozzolo in attesa del ragno. Male, penso.
Io invece mi ci sento bene e aspetto così il prossimo libro di Louise Penny e Armand Gamache, e so che ce ne saranno tanti.
Perché questo libro è come una ragnatela.
Bello.
Il luogo Siamo in Canada, nel paesino di Three Pines, nel bel mezzo del nulla, che se arriva qualcuno vuol dire che s’è perso