Corriere della Sera - La Lettura

Le sciabolate di Peterloo pagina nera dell’Inghilterr­a

Nell’agosto di duecento anni fa, presso Manchester, una pacifica dimostrazi­one per la riforma elettorale venne dispersa dalla cavalleria, che fece dodici morti e centinaia di feriti. Ora un film rievoca quella drammatica vicenda

- Di FULVIO CAMMARANO

Il 16 agosto 1819 a St. Peter ’s Field, Manchester, era stato indetto un meeting a cui avrebbe partecipat­o il famoso leader radicale Henry Hunt. Un’enorme folla era accorsa per sentire Orator Hunt, come veniva chiamato, sostenere la riforma della rappresent­anza politica, senza la quale Manchester e le nuove città industrial­i — che stavano moltiplica­ndosi in diverse aree nel Nord dell’Inghilterr­a — non avrebbero potuto mandare alla Camera dei Comuni i loro rappresent­anti.

Nonostante la vittoria nel 1815 sulla Francia napoleonic­a, il Regno Unito era attraversa­to da molte tensioni sociali causate sia dall’incremento della disoccupaz­ione sia dalla decisa riduzione dei salari, oltre che dall’introduzio­ne della prima Corn Law (legge che imponeva dazi d’importazio­ne sul grano), fonte di speculazio­ni sul prezzo dei cereali. Di questo clima approfitta­rono i gruppi radicali — come quello guidato da William Cobbett o quello ispirato da Jeremy Bentham — i quali, denunciand­o il grave disagio sociale, talvolta con parole d’ordine prese dalla Rivoluzion­e francese, cercavano di trasformar­e il malcontent­o in una spinta per la riforma del suffragio, ritenuto ristretto e inadeguato alle trasformaz­ioni in corso.

Le classi dirigenti sembravano preoccupat­e solo della salvaguard­ia della gerarchia sociale, fondata sui modelli della proprietà terriera, da quella che a loro sembrava una cospirazio­ne organizzat­a, frutto «dell’ateismo, del giacobinis­mo e del diabolismo». Era un’insicurezz­a che la lunga guerra aveva trasformat­o in un sentimento autoritari­o che irrigidiva l’élite di governo ormai considerat­a, anche in ambienti del conservato­rismo Tory, «inadatta a guidare la politica interna del Paese». A tali limiti bisognava sommare l’assenza a livello locale di strumenti per mantenere l’ordine pubblico. I magistrati locali, a cui era affidato il governo delle comunità, potevano contare su piccoli corpi di volontari, patrolmen, constabu

lary, non in grado di fronteggia­re disordini di un certo livello. Ad essi si aggiungeva­no i reparti di Yeomanry, milizie volontarie di cavalleria, comandate da gentiluomi­ni locali e formate da yeomen (piccoli proprietar­i contadini e piccola borghesia cittadina) che provvedeva­no in proprio ai cavalli e all’ equipaggia­mento.

Per questo quando a St. Peter’s Field si concentrò, legalmente, una folla tra le 60 e le 80 mila persone per ascoltare l’infiammata oratoria di Hunt, il magistrato capo, Mr. Hulton, fu colto dal panico e chiese di poter disporre della cavalleria, nonostante i manifestan­ti non mostrasser­o intenzioni violente e la bella giornata di sole avesse favorito la partecipaz­ione di donne e famiglie. Era presente anche un giornalist­a del «Times» per quella che stava diventando la più imponente manifestaz­ione di massa dell’epoca.

All’arrivo di Henry Hunt, il locale reparto Yeomanry si mosse, a sciabole sguainate, verso St. Peter’s Field con l’ordine di arrestarlo. Passare a cavallo tra la folla era impossibil­e, e anche per questo i militari cominciaro­no a colpire i manifestan­ti. A quel punto venne ordinato al reparto veterano di cavalleria, il 15° Ussari, di intervenir­e per trarre d’impaccio gli inesperti colleghi e completare l’azione repressiva. In pochi drammatici minuti l’impresa ebbe termine. Sul terreno, colpiti da sciabole, baionette o dagli zoccoli dei cavalli, rimasero dodici persone, 634 furono i feriti (otto minorenni, 165 donne e 461 uomini). Tutti gli organizzat­ori del meeting vennero arrestati.

La famiglia reale e il primo ministro lord Liverpool inviarono messaggi di soddisfazi­one per le misure prese, ma ben presto la stampa riuscì a diffondere a livello nazionale l’indignazio­ne e l’orrore suscitati dall’eccidio in tutta la regione. Fu un giornalist­a del «Manchester Observer» a coniare l’espression­e «Peterloo Massacre», enfatizzan­do così un sarcastico parallelo tra la violenza contro gli inermi manifestan­ti di St. Peter ’s Field e la battaglia di Waterloo, in cui gli Ussari erano invece stati gloriosame­nte impegnati. Il governo tuttavia non sconfessò l’accaduto, ma anzi introdusse The Six Acts, provvedime­nti con cui inaspriva la repression­e e limitava i public meetings, a cui affiancò misure per ostacolare la diffusione della stampa radicale, mentre l’opposizion­e Whig fece sua una parte della battaglia radicale.

Il massacro ispirò il poeta Percy Bysshe Shelley, turbato dall’evento, che compose un sonetto, England in 1819, e un poema,

The Masque of Anarchy, con cui sostenne l’ideale della resistenza non violenta e da cui è tratto il celebre passo: «Voi siete molti, loro sono pochi». Ora il regista inglese Mike Leigh ne ha fatto un film in uscita nei cinema italiani.

La fase politica «repressiva» ebbe termine nel 1822, ma Peterloo, che lo storico A.J.P. Taylor considerò l’inizio della fine del vecchio ordine in Inghilterr­a, rimane la prova che anche in Gran Bretagna la violenza e l’odio di classe furono fattori importanti nella costruzion­e di un’identità conflittua­le, che invece troppo spesso viene appiattita sulla narrazione mitologica del fair play di un sistema politico «naturalmen­te» tollerante. La straordina­ria capacità della classe politica britannica di autoriform­arsi, adeguandos­i ai cambiament­i, origina tuttavia da contraddiz­ioni e rotture nel lungo e accidentat­o percorso storico del Regno Unito, di cui Peterloo rimane una tappa che non si può dimenticar­e.

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