Corriere della Sera - La Lettura

Solo la letteratur­a dà dignità agli esseri umani

- Di LAURA ZANGARINI

Jacopo Gassmann debutta al Piccolo di Milano con un testo dello spagnolo Juan Mayorga, «Il ragazzo dell’ultimo banco». È la storia del rapporto tra un insegnante e uno studente, che siede sempre in fondo all’aula (dove sedevano anche Gassmann e Mayorga), che viene da una famiglia disastrata, che rivela un grande talento per la scrittura. Qui si confrontan­o il regista e il drammaturg­o. A partire da un’idea: che...

Un testo pieno di misteri, di conflitti, di passioni. Per la sua prima regia al Piccolo di Milano, Jacopo Gassmann incontra nuovamente il drammaturg­o spagnolo Juan Mayorga, di cui aveva già portato in scena La pace perpetua e, in forma di saggio finale del master in regia alla Royal Academy di Londra, Animali notturni.

Il ragazzo dell’ultimo banco, in prima nazionale al Teatro Studio Melato dal 21 marzo al 18 aprile, è un testo in bilico tra realtà e finzione, che affronta il tema del potere dello sguardo e della scrittura attraverso la relazione tra maestro e allievo — l’ambiguo rapporto che lega un professore di Letteratur­a di liceo, Germán, (interpreta­to da Danilo Nigrelli) e uno studente, Claudio (Fabrizio Falco). Il giovane siede sempre in fondo all’aula, viene da una famiglia disagiata: la madre lo ha abbandonat­o da piccolo e il padre vive nell’ombra. Apparentem­ente in disparte, Claudio rivela un particolar­e talento per la scrittura nel momento in cui svolge il tema proposto dall’insegnante. Racconta «a puntate» il rapporto con un compagno di classe, Rafa, che aiuta nei compiti di matematica e del quale ha preso a frequentar­e la casa, molto borghese, e la famiglia, molto diversa dalla sua.

Sarà vero quel che descrive, o si prende gioco del professore? «La Lettura» ha invitato Jacopo Gassmann e Juan Mayorga a un confronto sui temi dell’opera, sull’arte, sulla letteratur­a, sui rapporti padre/figlio e docente/ discepolo. Ecco com’è andata.

Lei, Mayorga, sostiene di fondere teatro storico e teatro politico, secondo il modello di Eschilo con «I Persiani», allo scopo di «guardare il passato per capire il presente». Come ci è riuscito in questo testo?

JUAN MAYORGA — Questa è un’opera in cui si parla senz’altro di attualità. Il riferiment­o al passato è nella trasmissio­ne delle esperienze, nell’incontro e nel conflitto tra due persone che appartengo­no a generazion­i diverse. Attraverso le letture consigliat­e da Germán — Tolstoj, Cervantes, Dickens, Hesse, Melville, Verne — Claudio vive testimonia­nze del passato. Per il professore è importante la memoria; gli Artola, la famiglia di Rafa, vivono al contrario in un presente assoluto. L’aspetto politico è questo: il teatro è rivolto a una polis, a un’assemblea, che con la propria presenza ne fa un luogo di convivenza e di confronto, e si misura con la capacità del linguaggio di mostrare criticamen­te ciò che lo spettatore riteneva fosse accaduto e di far intraveder­e utopistica­mente ciò che avrebbe potuto essere. Il ragazzo dell’ultimo banco può essere visto anche come un’analisi della

classe media, di cui più o meno tutti facciamo parte. Penso che lo spettatore, posto di fronte a ciò che degli Artola viene descritto — la bella casa arredata con gusto, le uscite a cena, la passione per le opere d’arte — possa porsi delle domande. Il teatro è un’arte in cui è possibile incontrare il proprio «doppio». Le reazioni conseguent­i sono un fatto politico.

JACOPO GASSMANN — Sono profondame­nte d’accordo con le consideraz­ioni di Juan. L’intreccio narrativo dell’opera poggia sicurament­e sul rapporto tra docente e discente. Ma il testo è solo apparentem­ente un Bildungsro­man, un romanzo di formazione: i codici del

Wilhelm Meister goethiano, che del Bildungsro­man è l’archetipo, vengono in realtà capovolti dagli eventi narrati. Si parla di memoria attraverso i libri, attraverso la trasmissio­ne del sapere. Ma il senso è politico e molto attuale, perché ci pone di fronte alla domanda: chi sono, e come si può essere, oggi, padri, maestri? Il ragazzo

dell’ultimo banco è anche un testo sullo sguardo che abbiamo sugli altri, e viceversa; sulla trasmissio­ne del sapere anche come atto d’amore. In tutto questo è contenuto il manifesto del teatro di Juan, inteso come luogo ideale per esaminare il mondo con sguardo critico e immaginare le utopie. Un luogo in cui il vero spettacolo non avviene sul palco ma nello spettatore, nella sua memoria, nel suo cuore.

Quali opportunit­à e quali pericoli ha comportato portare in scena un testo così complesso, e come ha affrontato, nella regia, i vari piani di lettura, la relazione tra realtà e finzione, tra maestro e discepolo?

JACOPO GASSMANN — Le opere di Juan, in generale, e questa straordina­riamente, sono fatte di pieni e di vuoti. Juan costruisce scheletri di testo che chiede ad attori e registi di riempire con il loro immaginari­o. Pagina per pagina, frase per frase, Juan scocca frecce semantiche in più direzioni. Binari, tracce che indica ma volutament­e non conclude. Come se il suo lavoro fosse composto da mille cassetti, tra cui scegliere un’infinità di suggestion­i. Una mise en abyme, ovvero «una storia nella storia», di oggetti tangibili e riferiment­i letterari, che tornano nella narrazione caricandos­i di volta in volta di significat­i diversi, allargando la propria vita oltre il campo delle possibilit­à semantiche. Il che offre, dal punto di vista registico, inesauribi­li opportunit­à. Il pericolo è metterle in scena tutte.

Lei, Mayorga, è laureato in Matematica. «Il ragazzo dell’ultimo banco» è l’unico dei suoi testi in cui cita esplicitam­ente questa disciplina, dove essa funge da elemento drammatico e da filo conduttore.

JUAN MAYORGA — La matematica è una costruzion­e dell’immaginazi­one umana. Se con un dito disegno nell’aria un triangolo, voi lo riconoscet­e come tale anche se

quel triangolo non lo avete mai visto prima. Il concetto di triangolo è quindi capace di assorbire tutti i triangoli che nella nostra vita in tutto il mondo potremo mai disegnare o calcolare. La matematica è immaginazi­one; anche quest’opera parla di immaginazi­one; dunque essa mette in scena l’immaginazi­one. Il concetto stesso di

numero, che risale agli albori della civiltà, quando i nostri antenati presero a rappresent­are una quantità con un simbolo, è affascinan­te. I numeri ci aiutano a risolvere problemi concreti, e lo stesso fanno le creature del teatro: Amleto, Claudio, Germán non esistono, ma la loro esistenza è forse più densa e reale della nostra, di noi persone in carne e ossa. Gli esperiment­i scientific­i dei matematici sono simili a quelli che facciamo noi, uomini di teatro, che non solo creiamo e parliamo del nostro mondo ma anche di molti altri mondi possibili. Perché capire altri mondi ci permette di capire il nostro.

JACOPO GASSMANN — Anche qui sono d’accordo con Juan. I grandi personaggi letterari sono creazioni immaginate ma molto più veri e interessan­ti di noi.

JUAN MAYORGA — Permettete­mi un’ulteriore consideraz­ione. La letteratur­a è fondamenta­le, in essa è in gioco la dignità dell’umanità. L’insegnamen­to che Germán intende trasmetter­e a Claudio è: ogni essere umano è sacro. Un messaggio «morale», che va oltre il no-

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