Corriere della Sera - La Lettura

«Ogni legislator­e è solo un usurpatore» I paradossi spiazzanti di Gómez Dávila

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Sono poco più di trenta pagine, ma esplosive, capaci di sconcertar­e, ottime per spingere a riflettere. Che siate fautori del diritto naturale o coltiviate il positivism­o, Nicolás Gómez Dávila vi spiazza. «Ogni legislator­e usurpa il suo mestiere», scrive il pensatore colombiano (morto nel 1994) nel saggio De iure, ora proposto in Italia da La nave di Teseo nella nuova collana Krisis, con una vastissima introduzio­ne del curatore Luigi Garofalo (pp. 272, € 16). Il diritto, per Gómez Dávila, non è la traduzione di valori supremi inscritti nel cosmo, ma neppure può ridursi a prodotto di assemblee elettive: è «accumulazi­one storica nel tempo di accordi convenuti tra soggetti che si riconoscon­o reciprocam­ente come tali», affonda le sue radici nella notte dei tempi. In base a questa idea l’autore demolisce il costituzio­nalismo classico fondato sulla divisione dei poteri e irride come «giuridicam­ente nulla» ogni istanza democratic­a. Si fa beffe di concetti come «giustizia sociale», «progresso», persino «bene comune». Vede nel diritto una «costruzion­e umana», ma ritiene che spezzarne la continuità porterebbe al caos. Come tutti i grandi reazionari, diffida dell’uomo e della sua voglia di cambiare.

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