Corriere della Sera - La Lettura

Genocidio oppure no La questione armena

- Di M. HAKAN YAFUZ e MARCELLO FLORES

Uno storico turco espone il punto di vista del suo Paese sulle stragi in Anatolia durante la Prima guerra mondiale: le sconfitte nei conflitti balcanici causarono ai musulmani gravi lutti che resero molto dura la reazione di Istanbul alla successiva intesa degli armeni con i russi

Il processo di costruzion­e delle nazioni nei Balcani e nel Caucaso fu condotto con la guerra, non attraverso i progressi della rivoluzion­e industrial­e. Di conseguenz­a, la principale vittima fu la popolazion­e musulmana ottomana. Le tattiche utilizzate per espellere i musulmani dai Balcani nel periodo 1878-1881 si ripeterono nelle guerre successive e al momento della nascita di nuovi Stati. Nonostante le promesse delle potenze europee, i musulmani espulsi non poterono fare ritorno. Le cicatrici sono ancora evidenti e la storia è stata terribilme­nte fraintesa.

Nel libro Terrible Fate (Ivan R. Dee, 2006) Benjamin Lieberman sostiene che la «prima forma di pulizia etnica» emerse «ai confini meridional­i dell’Impero russo e ai confini occidental­i dell’Impero ottomano». L’obiettivo principale era la popolazion­e musulmana. La sconfitta e la pulizia etnica nei Balcani esacerbaro­no i sentimenti di insicurezz­a nell’élite ottomana. Dopo le guerre balcaniche del 1912-1913, una crescente popolazion­e di profughi trasformò Istanbul in una tendopoli con persone, spesso giovani, non solo affamate di cibo, ma anche animate da profondi sentimenti di vendetta, che si stabiliron­o gradualmen­te in Anatolia. L’esito della sconfitta furono il totale pessimismo e il ritiro verso identità primordial­i: l’islamismo e il turchismo. La situazione postbellic­a potrebbe essere descritta solo in termini di sconfitta, umiliazion­e, sentimenti di esclusione ed emarginazi­one, disumanizz­azione e impulsi revanscist­i.

Durante questi fatidici anni dell’Impero ottomano i nazionalis­ti armeni, con il sostegno della Russia, vollero ritagliars­i una patria per sé stessi nell’Anatolia orientale, dove costituiva­no a malapena il 30 per cento della popolazion­e. Gruppi nazionalis­ti come i partiti Dashnak e Henchak commisero violenze contro lo Stato e contro la popolazion­e musulmana locale. Questi attacchi avrebbero portato alla repression­e ottomana. Lo scopo principale del Dashnak era allineare l’intervento europeo con la causa dell’autonomia armena. Il violento tentativo di indebolire l’autorità ottomana aumentò l’allarme del governo, guidato dai Giovani turchi. Mentre i nazionalis­ti armeni in Anatolia rafforzava­no i loro arsenali, era ormai in atto la Prima guerra mondiale.

Prima che l’Impero ottomano entrasse nel conflitto, il VII Congresso del Dashnak si riunì a Erzurum. L’élite politica armena decise di allearsi con la Russia contro il proprio governo. Essi armarono la popolazion­e armena; organizzar­ono una ribellione contro lo Stato ottomano; combattero­no dalla parte della Russia con l’obiettivo di creare uno Stato armeno nell’Anatolia orientale. I membri del Dashnak speravano di sfruttare le condizioni di guerra per allearsi con la Russia e consolidar­e la propria posizione nei confronti dello Stato. I leader dei Giovani turchi lo considerar­ono un atto di tradimento e decisero di prendere le misure necessarie contro la «quinta colonna» armena nel momento più decisivo della guerra.

Quando l’esercito russo si spostò dal Caucaso ai territori ottomani, il Dashnak assunse un ruolo sul luogo per sostenere gli sforzi di guerra russi. Pertanto, il governo ottomano decise di rimuovere la popolazion­e armena dalla zona di guerra, consideran­do questa scelta una necessità militare. A causa della mancanza di risorse, delle cattive condizioni sanitarie, morì oltre il 40 per cento degli armeni della regione, mentre alcuni furono deliberata­mente uccisi. Quando il governo si rese conto che la ricollocaz­ione si era conclusa in condizioni disumane, ordinò un’indagine e la corte incaricata deferì alcuni funzionari alla corte marziale. Gli studiosi armeni definiscon­o questo trasferime­nto come «genocidio», mentre altri sottolinea­no gli eventi come atti sfortunati e disumani dettati dalle condizioni di guerra, ma non arrivando alla definizion­e storicamen­te legale di «genocidio». La combinazio­ne tra le attività rivoluzion­arie armene e l’alleanza di quelle forze con la Russia deve essere tenuta ben presente.

Al giorno d’oggi gli Stati europei stanno subendo la pressione dell’opinione pubblica che vuole etichettar­e il trasferime­nto e la morte di molti armeni durante la Prima guerra mondiale come genocidio. Nessuno nega la portata della catastrofe che colpì le comunità armene e musulmane. Tuttavia, qualsiasi tentativo di usare le basi giuridiche del genocidio, termine coniato nel 1944 da Raphael Lemkin per descrivere l’entità della sofferenza in questo specifico caso, non solo non riesce a spiegare la dinamica degli eventi ma sfida anche la logica sotto diversi aspetti.

Innanzitut­to, coloro che insistono nell’etichettar­e questi eventi come «genocidio» confondono il «tribunale» dell’opinione pubblica con i tribunali legali. Il genocidio è una definizion­e giuridica degli eventi, eppure l’accusa contro i turchi non è mai stata avanzata in un tribunale competente, men che meno provata. Quando la questione è stata esaminata, nel caso di Perinçek contro la Svizzera, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che la caratteriz­zazione degli eventi del 1915 può essere discussa. Mentre alcuni parlamenti europei hanno etichettat­o gli eventi del 1915 come un genocidio, molte dichiarazi­oni sull’argomento risultano prive di peso legale e mirano invece a istigare una disputa nell’opinione pubblica. Sarebbe disdicevol­e per un esperto legale di «genocidio» abusare di un termine ampiamente studiato solo per placare proteste e clamori pubblici. Tuttavia, alcuni politici europei, con motivazion­i diverse, si affrettano a etichettar­e questi eventi come il crimine dei crimini: il genocidio. Classifica­re la sofferenza armena come un genocidio aggravereb­be l’ingiustizi­a di coinvolger­e i turchi in ogni luogo, associando­li a un crimine mai giudicato tale da nessuna corte.

Inoltre, l’Europa non dovrebbe consentire a gruppi antiturchi, che vogliono strumental­izzare le sofferenze armene, di ignorare quelle dei musulmani. Il nostro ragionamen­to pubblico sulla natura degli eventi del 1915 dovrebbe essere guidato da storici ed esperti legali, non da celebrità o da circoli turcofobi. Questo dibattito sul genocidio non è finalizzat­o a ottenere una giusta comprensio­ne del passato ma solo a delineare un’agenda politicame­nte convenient­e. Viene concesso molto poco spazio agli storici del tardo periodo ottomano per spiegare che cos’accadde durante quei critici anni di guerra. I libri in cui sono presenti reali ricostruzi­oni storiche sui fatti dell’Anatolia orientale durante la guerra stanno accumuland­o polvere.

Perfino l’opera di Bernard Lewis, l’eminente studioso di storia ottomana, non può competere con l’attuale battaglia di un piccolo ma efficace gruppo lobbistico armeno per rimuovere le ricerche storiche e insistere sul riconoscim­ento degli eventi come genocidio. Secondo Lewis, la tragica perdita di centinaia di migliaia di vite armene fu il risultato di «una lotta tra due nazioni per il possesso di una sola patria», senza ulteriori discussion­i sul significat­o e l’impatto del genocidio. Per milioni di lettori e utenti dei massmedia, tuttavia, la parola «genocidio» è associata agli armeni. Che cosa significa per la società occidental­e quando le masse sono istruite sul passato da personaggi pubblici o celebrità piuttosto che dagli storici? Sicurament­e ci deve essere un modo migliore per coinvolger­e l’opinione pubblica europea sulla questione, senza politicizz­arla e trasformar­la in un veicolo per la promozione della turcofobia.

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