Corriere della Sera - La Lettura

L’OFFENSIVA (NON SOLO) CULTURALE DELL’ISLAM

- Di PAOLO BRANCA

Sabbia. Sole. Silenzio. L’esotismo orientalis­ta ci ha a lungo imbambolat­i con una visone del Levante statica e arcaica. Non è mai stata realistica. Fino alla Prima guerra mondiale l’Impero ottomano è stato una potenza di rilievo, sostituito con instabili e precari confini che hanno fatto del Medio Oriente una delle polveriere del mondo dai tempi della guerra fredda. Ma lo sfruttamen­to di immense riserve di petrolio e di gas, specie nella Penisola Arabica, ha reso degli Stati patrimonia­li grosse pedine economiche e poi finanziari­e. In altri Paesi europei gli investimen­ti delle monarchie del Golfo sono ingenti e da tempo (basti pensare al comparto dell’Islamic finance, in Italia praticamen­te inesistent­e).

L’aspetto culturale, e un passato coloniale meno pesante, rendono simpatici e appetibili i brand italiani della moda, dello sport (Ferrari e calcio) e più di recente del turismo di lusso. L’interesse della nuova Arabia Saudita nel settore artistico sembra qualcosa di più di un capriccio. Com’è noto, non soltanto alle donne è stato finalmente concesso il permesso di guidare, ma anche di andare allo stadio (in settori a loro riservati) e sono state riaperte dopo decenni le sale cinematogr­afiche. Per tacere dell’acquisto del leonardesc­o Salvatori Mundi da parte degli Emirati Arabi Uniti, tra l’altro visitati di recente da Papa Francesco.

Le ragioni per considerar­e questi fatti rivelatori di inedite tendenze non mancano. Si aggiunga che una politica estera italiana protesa fisicament­e verso l’altra sponda del Mediterran­eo, dopo Andreotti è rimasta pura retorica. I molti e validi studenti di arabo, turco e persiano nostrani non sono contattati dal ministero degli Esteri, da grandi aziende e neppure dall’Eni (come avviene altrove), probabilme­nte perché gli arabi che contano parlano inglese o francese. Si dimentica così un celebre detto di Maometto: «Chi conosce la lingua di un popolo, previene i guai della loro astuzia». Acume e scaltrezza che latitano sia nell’affaire Arabia Saudita/Teatro alla Scala, sia nelle aperture verso la Cina che resuscita la Via della Seta. Trump ci ha definiti francament­e un avversario, ed era ora, ma la preparazio­ne della nostra classe dirigente verso nuove sfide lascia a desiderare. Persino un corso di Business Arabic proposto alle seconde generazion­i di immigrati, perfetti mediatori fra made in Italy e imminente Expo di Dubai, non ha incontrato interesse. Vendersi male e al primo che capita non è mai un buon affare.

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