Corriere della Sera - La Lettura
Tutto in un palazzo, da ieri all’eternità
2 Massimo Coppola esordisce svelando gli amori che nascono in un edificio del 1936
Sono il tempo, l’amore e la morte i tre concetti che per un lungo arco narrativo, dal 1936 al distopico 2036, si sviluppano inestricabili nell’avveniristico esordio di Massimo Coppola, Un piccolo buio (Bompiani). Un titolo chimerico, fil rouge intimo che sembra dare nome allo sgomento dei cuori e delle vite dei personaggi del romanzo, ciascuno in cerca dei loro grandi amori sperduti.
È nello stesso posto, un Palazzo, il Vittoria, dall’indelebile macchia di sangue rappreso lungo l’emblema, che iniziano le storie.
Milano, Seconda guerra mondiale. Michele, giovane e talentuoso regista, ha il compito di riprendere i momenti del battesimo del Duce all’edificio. Innamorato perdutamente di Vera, figlia di un dispotico padre fascista, desidera soltanto averla e sposarla. Dal loro sentimento scintillante e incompiuto, culminato dolorosamente con la fuga di Vera, si scateneranno le esistenze degli altri protagonisti.
«Sul mosaico, proprio accanto allo stemma “Palazzo Vittoria 1936”, stava una chiazza scura, rossa e secca che si allungava in un fiumiciattolo sempre più stretto terminante in una nuova forma raccolta». Così si va — capitolo dopo capitolo — dal 1936 fino a gruppi di anni successivi, dentro i quali si scatenano e si incastrano i rapporti sentimentali di coloro che hanno abitato e abiteranno il fatidico Palazzo.
Alcuni esempi. Nel 1943 accade l’incontro fortuito, fra i corridoi della struttura, tra il timido Carlo, che deve badare alla disturbata e visionaria sorella, e Leda, sicura di sé. Un amore, questo, di purezza, di attesa e di contenuti eterni. Anch’esso tuttavia, seppur fremente, resta insoddisfatto: troverà una sua completezza soltanto nel 1998.
Nel 1987, invece, in un obitorio — sito nelle ex cantine del Vittoria — presso cui viene deposto il corpo di Michele, nasce il febbrile amore istintivo di Luca, guardiano della morgue, verso la ribelle Chiara, la figlia che il famoso regista, appunto Michele, non aveva mai conosciuto. Un amore di cui si conoscerà la terribile sorte nel 2004.
Nonostante un riferimento cronologico anticipi il nome di ogni capitolo — per dire, 2036 Il Piano — e perciò determini la dimensione narrativa degli accadimenti, si è sempre certi, in Un piccolo buio, di ritrovare (come se i personaggi fossero in verità un solo e grande personaggio) la genesi, la realtà e il futuro degli amori.
Grazie a uno stile efficace, schizofrenico, imprevisto e spesso serratamente cinematografico. Una lingua giusta che accompagna la turbolenza incessante degli amori, fino a lasciare il lettore incredulo davanti all’ultimo capitolo in cui il tempo, tanto citato dai personaggi, cessa: «E poi aveva iniziato a pensare al tempo (e prima di prima di prima cosa c’era? E cosa ci sarà dopo? E alla fine di tutto il tempo, cosa c’è alla fine di tutto il tempo?) e alla morte, a dove sarebbe finita una volta morta, a cosa volesse dire non esistere».