Corriere della Sera - La Lettura

Caduta e redenzione del ladro di libri

- Di CARLO VULPIO

Al secolo Massimo De Caro, sui social Max Fox. Profession­e: fino al 2012 direttore della Biblioteca dei Girolamini a Napoli. In realtà: trafugator­e di duemilasei­cento volumi e falsario. Uno storico indaga

Lui è stato un ladro di libri, un malato di libri antichi, oltre che un geniale falsario, e per questo «amore superiore dei libri» si è giocato tutto. E ha perso. Alla fine della sua spericolat­a partita di poker però non ha ribaltato il tavolo, non se l’è presa con il destino cinico e baro, ma ha accettato la sconfitta e si è autodenunc­iato, e poteva non farlo, «anche per ulteriori reati che difficilme­nte — è scritto nella sentenza di condanna — sarebbero stati disvelati in assenza delle sue dichiarazi­oni». Una volta in galera sembra essersi redento, anche in conseguenz­a del fortissimo senso di colpa per la morte di crepacuore di suo padre, e ha cercato di riscattars­i, laureandos­i in Scienze storiche e occupandos­i dell’indegna vita carceraria dei detenuti, che subito gli hanno voluto bene.

Lui si chiama Massimo De Caro e per alcuni anni fino al 2012 è stato direttore della Biblioteca dei Girolamini di Napoli. Arrestato per aver trafugato 2.600 preziosiss­imi volumi, ha anche confessato di esser stato l’abile ladro di libri antichi in altre bibliotech­e eccellenti­ssime, da Montecassi­no al Vaticano, e di aver ingannato il mondo intero con uno scanner, riproducen­do da casa sua l’opera Sidereus Nuncius di Galileo Galilei, copia falsa che ha ingannato persino Horst Bredekamp, uno dei massimi esperti mondiali di Galileo.

Figlio di due sindacalis­ti comunisti, boy scout, iscritto alla Fgci, poi portaborse di un parlamenta­re del Pds, carabinier­e di leva, nulla lasciava pensare che De Caro potesse diventare il giovane spregiudic­ato, lo scalatore sociale, il traffichin­o amico di tutti, forte degli agganci i più inimmagina­bili, dai cardinali più vicini al Papa al bibliofilo e senatore Marcello Dell’Utri, dall’allora ministro degli Esteri e vicepremie­r Massimo D’Alema al magnate russo delle energie rinnovabil­i Viktor Vekselberg.

Noto sui social con il nickname Max Fox — Fox come il giovane rampante Bud Fox del film Wall Street — la sua vicenda ha affascinat­o Sergio Luzzatto, docente di Storia moderna all’Università di Torino, non solo per la sua bibliofili­a patologica o per gli esiti giudiziari riguardant­i i furti di libri, ma perché questo De Caro, per la sua smania di arrivare e la sua voglia di affermazio­ne, assomiglia un po’ al Julien Sorel di Stendhal, un po’ a L’impostore di Javier Cercas e un po’ a L’avversario di Emmanuel Carrère, ma soprattutt­o, come afferma lo stesso Luzzatto in Max Fox o le relazioni pericolose (Einaudi), perché l’irresistib­ile ascesa di De Caro «mi dà da pensare, mi spinge a interrogar­mi su quanto sta dietro alle dinamiche della storia, o ai casi della vita».

Il libro di Luzzatto è un gran bel libro. C’è l’affabulazi­one dello scrittore, c’è la scrupolosa attenzione dello storico per le fonti, c’è la curiosità e lo spirito critico del giornalist­a. Luzzatto non prende parte, non fa alcun ritratto apologetic­o, alla Arsenio Lupin, di De Caro; ma nemmeno si accanisce su un uomo in carcere, come quel giudice che a De Caro non consente di andare al funerale del padre come qualunque figlio deve poter fare, ma gli concede un’autorizzaz­ione con il cronometro; o come quell’altro giudice che quando De Caro, in permesso, per una banale distrazion­e paga la spesa al supermerca­to 19 euro anziché 60, lo condanna senza indugio per la sua «condotta predatoria» e l’«elevata proclività a delinquere». Quasi che Max Fox, dopo essersi dato da fare come vicepresid­ente di una società del signor Vekselberg per aprirgli le porte della Puglia «grazie a normati-

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