Corriere della Sera - La Lettura
Caduta e redenzione del ladro di libri
Al secolo Massimo De Caro, sui social Max Fox. Professione: fino al 2012 direttore della Biblioteca dei Girolamini a Napoli. In realtà: trafugatore di duemilaseicento volumi e falsario. Uno storico indaga
Lui è stato un ladro di libri, un malato di libri antichi, oltre che un geniale falsario, e per questo «amore superiore dei libri» si è giocato tutto. E ha perso. Alla fine della sua spericolata partita di poker però non ha ribaltato il tavolo, non se l’è presa con il destino cinico e baro, ma ha accettato la sconfitta e si è autodenunciato, e poteva non farlo, «anche per ulteriori reati che difficilmente — è scritto nella sentenza di condanna — sarebbero stati disvelati in assenza delle sue dichiarazioni». Una volta in galera sembra essersi redento, anche in conseguenza del fortissimo senso di colpa per la morte di crepacuore di suo padre, e ha cercato di riscattarsi, laureandosi in Scienze storiche e occupandosi dell’indegna vita carceraria dei detenuti, che subito gli hanno voluto bene.
Lui si chiama Massimo De Caro e per alcuni anni fino al 2012 è stato direttore della Biblioteca dei Girolamini di Napoli. Arrestato per aver trafugato 2.600 preziosissimi volumi, ha anche confessato di esser stato l’abile ladro di libri antichi in altre biblioteche eccellentissime, da Montecassino al Vaticano, e di aver ingannato il mondo intero con uno scanner, riproducendo da casa sua l’opera Sidereus Nuncius di Galileo Galilei, copia falsa che ha ingannato persino Horst Bredekamp, uno dei massimi esperti mondiali di Galileo.
Figlio di due sindacalisti comunisti, boy scout, iscritto alla Fgci, poi portaborse di un parlamentare del Pds, carabiniere di leva, nulla lasciava pensare che De Caro potesse diventare il giovane spregiudicato, lo scalatore sociale, il traffichino amico di tutti, forte degli agganci i più inimmaginabili, dai cardinali più vicini al Papa al bibliofilo e senatore Marcello Dell’Utri, dall’allora ministro degli Esteri e vicepremier Massimo D’Alema al magnate russo delle energie rinnovabili Viktor Vekselberg.
Noto sui social con il nickname Max Fox — Fox come il giovane rampante Bud Fox del film Wall Street — la sua vicenda ha affascinato Sergio Luzzatto, docente di Storia moderna all’Università di Torino, non solo per la sua bibliofilia patologica o per gli esiti giudiziari riguardanti i furti di libri, ma perché questo De Caro, per la sua smania di arrivare e la sua voglia di affermazione, assomiglia un po’ al Julien Sorel di Stendhal, un po’ a L’impostore di Javier Cercas e un po’ a L’avversario di Emmanuel Carrère, ma soprattutto, come afferma lo stesso Luzzatto in Max Fox o le relazioni pericolose (Einaudi), perché l’irresistibile ascesa di De Caro «mi dà da pensare, mi spinge a interrogarmi su quanto sta dietro alle dinamiche della storia, o ai casi della vita».
Il libro di Luzzatto è un gran bel libro. C’è l’affabulazione dello scrittore, c’è la scrupolosa attenzione dello storico per le fonti, c’è la curiosità e lo spirito critico del giornalista. Luzzatto non prende parte, non fa alcun ritratto apologetico, alla Arsenio Lupin, di De Caro; ma nemmeno si accanisce su un uomo in carcere, come quel giudice che a De Caro non consente di andare al funerale del padre come qualunque figlio deve poter fare, ma gli concede un’autorizzazione con il cronometro; o come quell’altro giudice che quando De Caro, in permesso, per una banale distrazione paga la spesa al supermercato 19 euro anziché 60, lo condanna senza indugio per la sua «condotta predatoria» e l’«elevata proclività a delinquere». Quasi che Max Fox, dopo essersi dato da fare come vicepresidente di una società del signor Vekselberg per aprirgli le porte della Puglia «grazie a normati-