Corriere della Sera - La Lettura
Tra me e me ci sono io, e scrivo
Umberto Fiori torna con un nuovo testo dopo 10 anni: si intitola «Il Conoscente» ed è un po’ un’autobiografia un po’ un dialogo serrato con un altro sé stesso. Il tutto in 300 pagine
Erano dieci anni che Umberto Fiori non usciva con un nuovo libro di poesie. Lo ha fatto ora con un sorprendente racconto in versi, che dovrà per forza rappresentare uno spartiacque importante nella sua vicenda di poeta. Con le sue quasi 300 pagine di testi, Il
Conoscente (Marcos y Marcos) rappresenta infatti il primo grande scossone all’interno di un sistema poetico fino a questa altezza piuttosto costante: la scelta di un linguaggio e di situazioni comuni e condivisibili, uno stile chiaro, semplice, assolutamente non cifrato, la ricerca del luogo appunto comune — espressivo, tematico, concettuale, topografico (la metropoli, i parchi, gli incroci, i semafori, i giardini, la strade, le case, i cantieri) — inteso come il vero punto d’incontro possibile tra io e noi, tra individuo e società, a patto però di riscattarlo, come ritrovando la sua corrente sotterranea più viva, dalla superficialità, dalla banalità, dagli stereotipi non solo ideologicamente ma antropologicamente più scadenti, o scaduti, che lo ricoprono. Una poesia, insomma, a forte vocazione sociale, comunitaria, e per questo anche eticamen- te, perfino didascalicamente orientata.
Tutti questi aspetti tornano anche nel nuovo poema, se è lecito chiamarlo così, al cui interno tuttavia costituiscono non solo o tanto il modo della scrittura, ma il suo stesso argomento. In sostanza, la vicenda rappresentata ne Il Conoscente mette a tema la consistenza e la legittimità della poesia di Fiori, e insieme la plausibilità della sua stessa identità di poeta e di uomo. La sua molto discreta voce lirica diventa qui la voce di un personaggio in carne e ossa, che dibatte, s’indigna, impreca, alterca, si difende. Sì, Umberto Fiori, come viene ripetuto più e più volte (non dal protagonista stesso, però), perfino con una sorta di ecolalia, di vaneg- giamento del nome, che diventa allora tutt’uno col sospetto sulla tenuta effettiva della sua presunta identità individuale. Di conseguenza, l’indagine del racconto, ch’è anche e soprattutto un esame di coscienza, scorre su due piani che continuamente s’intrecciano e sovrappongono, uno storico-esistenziale e uno artistico e poetico, a cui si dovrebbe aggiungerne un terzo più propriamente metafisico, che riguarda l’apparenza o il fondamento della stessa realtà. «Comincia il viaggio/ che dovrebbe portarci finalmente/ dietro le cose». Tutto, in ogni caso, viene posto in questione alla radice.
L’occasione narrativa che dà il via a questa discesa verso le origini — della personalità, del senso di sé, delle proprie scelte, della scrittura poetica — è l’incontro con un ambiguo e piuttosto viscido personaggio, una specie di spia o di perenne infiltrato, il Conoscente, appunto, che condivide col protagonista e voce narrante (tanti sono però i dialoghi e le voci diverse) un «passato di militanza politica nella sinistra extraparlamentare», come viene chiarito nella nota posta in calce al volume. Da qui si ricava anche che il racconto in versi è ambientato negli anni Ottanta del Novecento — di conseguenza la città a cui si fa riferimento è probabilmente la cosiddetta Milano da bere — e che è stato abbozzato nel decennio successivo e concluso nel 2013. In ogni caso, attraverso un linguaggio sempre almeno un poco osceno, perché privo di pudore, imbarazzi, cortesia, quell’autentico deuteragonista che è il Conoscente finisce presto per mettere alle strette l’autore, o il personaggio omonimo che lo rappresenta, entrandogli dentro come una malattia e costringendolo a giustificarsi: il bilancio generazionale della stagione dell’impegno, le successive decisioni professionali, i rapporti con gli altri, la visione del mondo, la scelta della poesia, esaminata questa anche negli aspetti più concreti e particolari: le opzioni linguistiche ed espressive, la poetica, i temi, gli intendimenti.
Ne Il Conoscente Fiori racconta così l’origine della propria poesia. Anche per questo il vero enigma, forse addirittura il primo nemico, è proprio lui, il poeta. «E poi/ il problema non era il Conoscente:/ ero io, era il Conosciuto». Così anche Fiori, che comunque tutto fa tranne risparmiarsi o chiamarsene fuori, si concede qui le sue tirate esplicative o difensive, didattiche, finendo del tutto consapevolmente non solo per fare il canto (e la macchietta) di sé stesso, ma anche per scrivere tra quelli dei meno convinti anzitutto il suo nome.
L’impressione — e qui sta forse la reazione fondamentale che anima e, alla lettera, regge questo lungo racconto in versi — è che il Conoscente non sia semplicemente diverso dall’autore, ma che, come uno specchio rovesciato, rappresenti qualcosa di sostanziale di lui, una parte di sé la cui esistenza rende forse ragione del poeta che conosciamo. Da un certa altezza, questa storia diventa misteriosa, sfuggente. Chissà, forse Fiori ha soltanto sognato il Conoscente; o forse invece è vero il contrario: è stato il Conoscente a sognare, e lui, il poeta, è soltanto quel sogno. Così, a questo punto non resta che chiedersi chi sarà dei due a scrivere per Umberto Fiori negli anni che verranno.