Corriere della Sera - La Lettura
Il mio Vivaldi innamorato
Era una partitura di destini, l’Ospedale della Pietà. Ragazze che l’avveduto welfare delle Repubblica di Venezia metteva al sicuro: erano orfane, diventavano musiciste che principi e signori d’Europa non mancavano di ascoltare col giusto rapimento quando scendevano in visita alla Serenissima. Antonio Vivaldi, sacerdote e violinista, musicista tra i più grandi del Barocco, fu il loro maestro per quasi quarant’anni: a lui invece toccò lasciare Venezia per morire povero a Vienna, estinta la celebrità di un tempo. Una partitura intorno al «prete rosso» — narrativa, non musicale — adesso l’ha imbastita Peter Schneider, romanziere tedesco capace di molti registri: il suo nuovo romanzo, appunto dedicato al compositore e al suo rapporto con le «orfanelle della Pietà», uscirà in autunno in Germania per Kiepenheuer & Witsch. Lui tuttavia ne anticiperà i temi in aprile a Monte Verità, per la rassegna ticinese quest’anno diretta da Paolo Di Stefano.
A Vivaldi è arrivato per via indiretta, Schneider: «Come accade spesso per le cose importanti — dice — s’è trattato d’un caso. Un caro amico, il più grande direttore della fotografia tedesco, Michael Ballhaus (tre volte candidato all’Oscar, ndr), mi disse che avrebbe voluto fare un film su Vivaldi prima di perdere la vista. Una dozzina di anni fa misi giù una sceneggiatura. Interessava a qualcuno, ma i soldi erano pochi, e invece servivano 15 o 20 milioni di euro. Per due o tre volte siamo andati vicini alla realizzazione del film ma poi ho perso la pazienza e mi sono detto: non posso permettere che que- sta mia storia vada perduta. Tanto più che Ballhaus è morto nel 2017».
Della musica lei ha avuto un’esperienza diretta?
«Suonavo il violino, mio padre era direttore d’orchestra. E il padre di Ballhaus era direttore di un teatro».
Nel suo libro, oltre che di Vivaldi, si parla delle orfanelle della Pietà.
«Volevo portare quest’aspetto della sua vita in Germania, dov’è ignorato. Tutti conoscono Quattro stagioni ma nessuno sa la storia fantastica dei Vivaldi e delle sue “figlie”».
Vivaldi materia da romanzo. Vengono in mente Tiziano Scarpa che con «Stabat Mater» (Einaudi) vinse lo Strega nel 2009 e «L’affare Vivaldi» di Federico Maria Sardelli (Sellerio, 2015).
«Conosco Stabat Mater, non il libro di Sardelli. Ma per me dal libro di Scarpa la figura di Vivaldi non si capisce davvero».
Le ragazze della Pietà permettono di ricostruire, per contrasto, il personaggio Vivaldi?
«Sì, e va detto non erano povere vittime ma delle privilegiate a finire lì».
Meglio che in un bordello, come purtroppo poteva capitare alle orfane.
«Sicuramente. La Pietà era una sorte più che desiderabile».
Della vita di Vivaldi non si conoscono molti dettagli. Questo l’ha ispirata?
«È di per sé una storia il suo essere stato dimenticato per due secoli. Ed è incredibile la sua resurrezione grazie al lavoro di studiosi come Alberto Gentili e di mecenati come Roberto Foà e Filippo Giordano, a Torino tra le due guerre».
Come ha lavorato?
questo «Anche libro le sono ricerche state per un’avventura. venire a capo Ho di mescolato quanto testimoniato scene fittizie dalle con fonti. il racconto Quello di che si sa di Vivaldi cambia di continuo: la cantante Anna Girò, a lui vicina, aveva 32 anni di meno o era più giovane “soltanto” di 20? In altre parole: era stato il seduttore di una bambina? Inoltre il romanzo racconta la mia ricerca intorno a Vivaldi». Un metaromanzo?
«La cornice è la mia amicizia con Ballhaus, le nostre discussioni se Vivaldi con Anna Girò facesse davvero l’amore. Racconto il mio incontro con chi lavora all’archivio della Pietà. In pratica: non è un romanzo classico». Ha l’idea che il prete Vivaldi abbia conosciuto l’amore?
«Fu senz’altro innamorato di Anna Girò. Creò per lei ruoli importanti né ci fu mai tra loro una rottura. Ma come siano andate le cose rimane un nodo aperto. I problemi li ebbe piuttosto perché non diceva messa. Che non la celebrasse per motivi di salute (era malato d’asma, ndr) non è una circostanza inventata».
E che cosa trova lei nella musica di Vivaldi, peraltro calunniato dalla famigerata frase attribuita a Stravinskij secondo la quale aveva riscritto lo stesso concerto centinaia di volte?
«Quel concetto girava già all’epoca di Vivaldi, accusato di non conoscere il contrappunto e criticato come compositore d’opera da Benedetto Marcello (nel suo libello Il teatro alla moda, 1720, ndr). E invece tutto va visto nel contesto dell’epoca. Vivaldi apportò enormi cambiamenti. Per esempio gli scarti di ritmo, di dinamica, dal lento al prestissimo, addirittura a un “Allegro più ch’è possibile”. Bach non l’avrebbe mai fatto». Vivaldi sembra portare al culmine l’espressione degli «affetti».
«Il suo è un temperamento unico, nessuno come lui esprime emozioni estreme. Si muove nel suo tempo e lo trascende. Nell’Estate, per dire, sembra quasi che lasci incompiuta la melodia, abbandonata al calore di un sole bruciante: un passaggio molto moderno. Gli manca la severità di Bach, in compenso ha una serenità che apre il cuore. Ha anche una passione per le tempeste in musica, quasi che la bufera sia una soluzione per tutto. Dopo, però, ogni cosa ricomincia».
Modernissima anche la sua sensibilità per i colori strumentali, spesso con la scelta di organici inconsueti...
«Alla Pietà venivano insegnati anche strumenti rari o nuovi, e lui doveva farli comprare. Certo non era un esperto di tiorba o di tromba, ma li impiegava nelle sue composizioni».
Nella sua produzione sacra si è portati a intravedere un’autentica dimensione spirituale. O no?
«Vivaldi non ebbe un rapporto cinico con la musica sacra. Io vi scorgo aspetti che non trovo altrove. Mi colpisce la sua capacità di farti sentire parte del creato, perso nell’infinito, piccolo al cospetto di qualcosa di più grande». E poi il melodramma, ancora poco o troppo poco eseguito.
«Ci sono arie bellissime che un’interprete come il mezzosoprano Cecilia Bartoli ha fatto bene a recuperare. Il problema è che i testi delle opere di Vivaldi oggi sono ridicoli. Penso al Motezuma, che diventa involontariamente un’opera buffa, con quegli indiani che cantano splendidamente e tutta la vicenda che si riduce a una questione di famiglia, con le nozze fra la figlia di Motezuma e il fratello del personaggio ispirato a Cortés».
Visto da un tedesco qual è lei, il rapporto tra Vivaldi e il suo estimatore Bach assume un significato particolare?
«Vivaldi non conosceva Bach ma Bach conosceva Vivaldi. Ci sono una ventina di trascrizioni e Bach, da tedesco onesto, annotava: “Da Vivaldi”. È così che nella seconda metà dell’Ottocento i tedeschi hanno riscoperto Vivaldi, confrontando le trascrizioni con gli originali, ma tutto è rimasto nei circoli accademici, con la chiosa che il genio avesse migliorato la musica di questo “mediocre italiano”. Vedo tutta l’arroganza tedesca in questo, come nel dividersi tra Vivaldi e Bach, neanche fossero Beatles e Rolling Stones».
Uno dei massimi narratori tedeschi di oggi nutre un’intensa passione per il compositore barocco. Peter Schneider
anticipa a «la Lettura» il suo nuovo romanzo, che uscirà in autunno e del quale parlerà anche in aprile al festival di Monte Verità, in Svizzera. I temi: le orfanelle della Pietà, la relazione del pretemusicista con la cantante Anna Girò, persino una certa «arroganza della Germania»