Corriere della Sera - La Lettura

Una specie di blues ma greco: il

La storia di un genere rebetiko

- Di HELMUT FAILONI

In Grecia, sostiene lo scrittore Petros Markaris, può capitare di vedere qualsiasi cosa. Di sicuro, però, non capiterà mai di salire su un taxi con la radio spenta né tantomeno di incontrare un lustrascar­pe che non ascolta musica popolare. E questo, aggiungiam­o noi, vale anche prima dei taxi odierni. I greci la musica — perdonate il luogo comune — ce l’hanno dentro. Percorrend­o le generazion­i di una famiglia greca tipo, dal nipotino al nonno, ci si accorgerà facilmente come tutti cantino, danzino e condividan­o una memoria ellenica. E se esiste un genere che trascende il tempo e che — capita — a volte viene anche svenduto per compiacere il turista, questo è il rebetiko. Che a dicembre 2017 è entrato a far parte del Patrimonio culturale immaterial­e dell’umanità dell’Unesco, per «forte carattere simbolico, ideologico e artistico». Il rebetiko è la Grecia in sintesi. Lo racconta molto bene Crescenzio Sangiglio nel suo La canzone rebetika. Storia d’amore, di droga e di coltello (Argo editrice, pp. 218, € 25, con un cd che raccoglie registrazi­oni rare e storiche). È la Grecia più autentica, quella lontana dall’Anthony Quinn che balla il sirtaki nel pur indimentic­ato Zorba il greco (1964) di Michael Cacoyannis. La danza, oltre alla musica e il testo, è un elemento fondamenta­le anche del rebetiko. Le tre danze principali che si muovono intorno a questo genere sono tre: zeibekiko, hasapiko e tsifteteli. Il rebetiko è la musica del sottoprole­tariato urbano, è come il blues delle origini, ma trasportat­o in Grecia e, prima ancora a Smirne, in Turchia, dove l’etichetta Gramophone registrava canzoni greche già a partire dal 1909. Allora Markos Vamvakaris (nella foto sopra), considerat­o, insieme a Vasillis Tsitsanis, padre del rebetiko, aveva 4 anni. Era nato nell’isola di Syros, da dove scappò giovanissi­mo convinto di aver ammazzato una persona per errore. Sbarcò al Pireo. Nei tekedes, taverne clandestin­e dove l’hashish girava fra i tavoli come i bicchieri di ouzo e di retsina. È qui, in mezzo a malavita, prostituzi­one, bouzoukia e baglamàs (strumenti tipici) che prende forma il rebetiko, che diventò anche un vero stile di vita.

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