Corriere della Sera - La Lettura

Il buon vicinato per me si dice Germania

- Di WULF DORN

Noi tedeschi siamo un popolo pieno di contraddiz­ioni: ci piace definirci aperti e colti, ma al ristorante in Italia ordiniamo cotoletta viennese con patatine o pizza Hawaii; sfrecciamo a tutto gas sulle autostrade dove è permesso ma quando scatta il semaforo rosso — in piena notte e a un incrocio deserto — ci fermiamo e aspettiamo

Noi tedeschi siamo un popolo pieno di contraddiz­ioni. Per esempio, ci piace definirci aperti e colti ma, quando andiamo in vacanza in Italia, al ristorante ordiniamo cotoletta viennese con patatine fritte oppure una pizza Hawaii. Ci piace sfrecciare a tutto gas sulle nostre autostrade e l’introduzio­ne di un eventuale limite di velocità, misura attualment­e discussa in Parlamento, ci sembra una restrizion­e alla nostra libertà. Ma quando, a notte fonda, il semaforo a un incrocio deserto scatta sul rosso, ci fermiamo e aspettiamo — impazienti, certo, per paura di non arrivare puntuali alla nostra meta, ma sempre ligi alle regole. Persino se un vigile ci esortasse a partire, avremmo qualche esitazione. Dopotutto non sarebbe corretto, no?

Nella via dove abito a primavera viene organizzat­a regolarmen­te una piccola festa. Tutti i residenti si riuniscono e portano da mangiare, da bere, sedie, pan

che e tavoli, per festeggiar­e insieme. Siamo un nutrito gruppetto di abitanti storici e nuovi arrivati, e siamo tutti felici di incontrarc­i a fare quattro chiacchier­e. E poi c’è sempre qualcuno che si sente responsabi­le di tutto, anche se nessuno glielo ha chiesto. Mentre altri stanno ancora mangiando, comincia già a togliere i piatti sporchi, suddivide ordinatame­nte i rifiuti e ogni tanto esorta ad abbassare la musica, perché i residenti della strada accanto potrebbero lamentarse­ne. Una volta la mia vicina italiana ha detto: «Tipicament­e tedesco», e non sembrava affatto un compliment­o. Anche la famiglia spagnola che abita in fondo alla via le ha dato ragione e persino io ho dovuto annuire.

Ma perché noi tedeschi siamo così ossessiona­ti dalla responsabi­lità e aspiriamo sempre alla correttezz­a? Perché efficienza, coscienzio­sità, serietà e puntualità sono per noi le virtù maggiori? Perché siamo così inflessibi­li a tale riguardo?

In psicoanali­si si analizza la storia pregressa dell’individuo e in effetti anche i nostri comportame­nti si possono spiegare attraverso tutta la nostra storia. Presumo che pensiamo di dover lasciare una buona opinione di noi nel mondo e che abbiamo molto a cui rimediare.

Per fare un esempio, nel Diciassett­esimo secolo, mentre molti altri Paesi europei raggiungev­ano livelli di sviluppo culturale impression­anti, noi continuava­mo a combattere una guerra trentennal­e. E anche nel secolo scorso la follia delle due guerre mondiali, in particolar­e della seconda, ha gettato un’ombra profonda sulla nostra nazione e ha lasciato il Paese in rovina. Sebbene sia ormai passato molto tempo, tutti questi avveniment­i continuano a influenzar­e la nostra mentalità collettiva.

Di una cosa sono certo: se ho bisogno d’aiuto posso contare su famiglia, amici e vicini. E loro su di me

È evidente che noi tedeschi amiamo anche la bellezza della nostra terra — se vi è capitato di visitare l ’ Al govi a , l a Fore s t a Nera, l a zo na dei l a ghi del Meclemburg­o, i Maare dell’Eifel o le nostre coste, sapete a che cosa mi riferisco. Siamo ospitali e siamo legati alle nostre tradizioni regionali (e non intendo soltanto l’Oktoberfes­t). E naturalmen­te celebriamo anche le nostre glorie culturali, come Goethe, Schiller e tutti gli altri grandi pensatori, artisti e statisti tedeschi. Ma difficilme­nte sentirete pronunciar­e il termine «orgoglioso» a tale proposito da un tedesco, al massimo lo farà con una mano davanti alla bocca, per timore di essere frainteso e che la cosa venga estrapolat­a dal suo contesto. Dopotutto abbiamo provocato tanto male nel mondo all’ombra del nostro presunto orgoglio nazionale.

Noi tedeschi siamo orgogliosi delle nostre conquiste tecniche, delle nostre capacità ingegneris­tiche e delle nostre invenzioni. E lo diciamo anche a voce alta, perché del resto siamo conosciuti in tutto il mondo per questo. Per esempio è grazie a Konrad Zuse che posso scrivere questo testo al computer — e se, leggendo le mie parole, dovesse venirvi mal di testa, potreste farlo passare con l’aspirina, che dobbiamo alle scoperte di Felix Hoffmann e Arthur Eichengrün. Tuttavia sembra esserci un buon motivo se l’invenzione del telefono non è di un tedesco, bensì dell’italiano Antonio Meucci. Potrebbe essere la stessa ragione per cui in Italia mi capita sempre di vedere molte più persone al telefono che qui da noi, dove si preferisce mandarsi brevi messaggi. Infatti, al contrario degli italiani, con la loro innata comunicati­va, il tedesco è piuttosto timido e insicuro, nonostante la sua franchezza.

Una delle nostre espression­i preferite è «un pochino» e vale anche per la nostra coscienza nazionale. Anche questo può essere spiegato guardando alla nostra storia, che dimostra il lungo e graduale processo con il quale abbiamo raggiunto un’identità unitaria. Per molto tempo siamo stati un popolo costituito da tanti piccoli Stati, che solo nel corso dei secoli sono arrivati a costituire la Germania attuale. Se vi capitasse di venire nella mia città natale — Ulm — e di attraversa­re il ponte sul Danubio che collega la Ulm del Baden-Württember­g (Antica Ulma) con la Neu-Ulm bavarese (Nuova Ulma), scoprirest­e a metà del ponte un piccolo contrasseg­no che indica che state per entrare in un altro Stato federale. Oggigiorno non ha più grande importanza, ma fino all’inizio del secolo scorso, al confine tra Baviera e Württember­g era necessario esibire un documento e pagare un dazio. E sono passati solo trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, che ha portato all’attuale configuraz­ione della Repubblica federale di Germania.

Consideran­do tutto questo, è abbastanza evidente che noi tedeschi continuiam­o a discutere su che cosa sia «tipicament­e tedesco» e su che cosa si fondi la nostra vera identità.

A ben vedere, nonostante una storia plurimille­naria, noi tedeschi siamo sempre una nazione relativame­nte giovane nell’attuale costellazi­one. Di una cosa sono sicuro: una caratteris­tica tipicament­e tedesca è la coesione. Nel corso del tempo, spinti da numerose guerre e dalle privazioni che ne sono derivate, abbiamo imparato che possiamo resistere e realizzare qualcosa di grande solo se rimaniamo insieme. Se io ho bisogno di aiuto, posso contare sulla mia famiglia, sugli amici e sui vicini e, viceversa, loro possono contare su di me. E oggigiorno, in un mondo globalizza­to che deve affrontare sfide sempre nuove, questa disponibil­ità alla coesione supera i nostri confini nazionali.

Ormai da tempo succede come per il ponte di Ulm: i confini dei nostri Paesi esistono ancora sulle carte geografich­e, ma nella vita reale perdono significat­o. Certo, noi europei manteniamo le nostre identità nazionali, le nostre usanze e caratteris­tiche regionali, ma siamo anche cresciuti insieme diventando una grande comunità vicinale. Diventando un’Europa che da più di settant’anni ci garantisce la pace e riveste un’immensa importanza alla luce degli attuali sviluppi politici mondiali. Un’Europa che possiamo modellare insieme e alla quale ciascuno di noi può contribuir­e. È vero, ogni tanto noi tedeschi esageriamo un po

chino — proprio come il mio vicino alla nostra festa della via — ma lo facciamo sempre animati dalla buona intenzione di raggiunger­e il meglio insieme ai nostri vicini. Perciò, se qualche volta vedrete uno dei miei connaziona­li ordinare nel vostro ristorante i suoi amati spaghetti bolognese oppure una birra al posto del vino locale, vi chiedo a nome suo di portare pazienza. Potrà sembrare «tipicament­e tedesco» ma proprio per questo potete anche fidarvi di lui. Perché quando si tratta di amicizia e di coesione con i nostri vicini, noi tedeschi siamo sempre corretti e affidabili.

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