Corriere della Sera - La Lettura

PAULINA FLORES COME BOLAÑO PIÙ DI BOLAÑO OLTRE BOLAÑO

- Di VANNI SANTONI

Celebrata in patria e nel mondo ispanofono come una delle promesse più scintillan­ti di quella nuova letteratur­a cilena che ogni giorno deve confrontar­si con l’ombra ingombrant­issima di Roberto Bolaño, Paulina Flores (1988) arriva anche in Italia con l’esordio Che vergogna ( traduzione di Giulia Zavagna, pp. 240, € 16: l’autrice a Incroci di civiltà riceverà il 3 aprile il premio Bauer Giovani e il 5 dialogherà con Igiaba Scego, ore 21, Fondaco dei Tedeschi). Il libro raccoglie 9 racconti (plauso a Marsilio che nelle copertine dei libri di racconti scrive effettivam­ente «racconti», cosa non scontata in Italia, dove l’editoria è terrorizza­ta dalla forma breve) in cui un algido realismo trova sprazzi di tagliente intensità emotiva.

Se gli autori cileni oggi rischiano sempre d’esser presi per bolañitos, Flores schiva il rischio scegliendo un registro che assomiglia più a quello del racconto nordameric­ano contempora­neo che alla linea di Jorge Luis Borges e Julio Cortázar, benché, ironia della sorte, per questa raccolta le sia stato conferito proprio il Premio Bolaño. I temi dominanti di queste piccole storie di vita vissuta sono la vergogna del titolo, ma anche l’orgoglio, il risentimen­to e l’umiliazion­e, nel confronto con un mondo che, finite le promesse, a chi entra nella vita adulta non riserva niente di buono. Spirito americano, si intitola uno dei racconti, e in effetti la mente, leggendo Che vergogna, va a Cheever (o alla Julianne Pachico di Le più fortunate, edito da Sur, altra esordiente latina che guarda a nord), ma pure allo «stile da Mba», certo più diffuso negli Usa che in Sudamerica, che sceglie di appiattire la lingua in favore della nuda vicenda.

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