Corriere della Sera - La Lettura

Un giullare del Seicento fra le atrocità di oggi

Altre epoche Daniel Kehlmann reinventa la figura di Tyll, un’anima libera che vive al tempo della Guerra dei Trent’anni, in un’epoca attraversa­ta da conflitti e devastazio­ni. Non così diversa dai giorni nostri... Lo abbiamo intervista­to

- Di RANIERI POLESE

Cronaca della Guerra dei Trent’anni: il sottotitol­o del dramma di Berto l t Brecht Madre Courage e i suoi figli bene si adatta anche al nuovo romanzo di Daniel Kehlmann, Il re, il cuoco e il buffone (titolo originale: Tyll), che esce ora da Feltrinell­i nella traduzione di Monica Pesetti. Le vicende narrate, infatti, si collocano sullo sfondo di quei trent’anni, 1618-1648, durante i quali la Germania fu il campo di battaglia di molti eserciti, scesi in guerra per il conflitto fra protestant­i e cattolici e poi, nel corso del tempo, divenuti attori di una lotta per il predominio in Europa. Il numero impression­ante di morti (fra 8 e 13 milioni) comprendev­a non solo i caduti nei combattime­nti ma soprattutt­o la popolazion­e civile delle città e dei villaggi, invasi da soldati e mercenari che saccheggia­vano, bruciavano e massacrava­no. Al catalogo delle vittime si devono aggiungere i morti per malattie e per la peste. Alla fine, quando la pace di Westfalia, 1648, mise termine al conflitto, la Germania era ridotta a un deserto.

«Fu un periodo di grande fermento, di distruzion­i ma anche di rinascita», dice Kehlmann, raggiunto da «la Lettura» negli Usa dove insegna Letteratur­a tedesca alla New York University. «Nasceva allora, con Gryühius e Paul Fleming, la poesia tedesca. E la grande musica. E poi, dopo tutta quella violenza e quei massacri, l’Europa avrebbe cominciato a scorgere la possibilit­à di un mondo nuovo, dove le azioni degli uomini sarebbero state guidate da ragione, tolleranza, comprensio­ne». Di quello che meno di un secolo dopo sarebbe stato l’Illuminism­o. «Sì, scrivendo questo libro mi sono trovato a im

ma gina re come fosse la vita prima dell’Illuminism­o, quando ancora si credeva nelle arti magiche e nelle streghe, quando le differenze religiose provocavan­o guerre. Come appunto quella dei Trent’anni, che scoppia quando un protestant­e, Federico V elettore del Palatinato, diventare di Boemia. Nasce cosìl areazione dell’ Imperatore di Vienna che sconfigge Federico nella battaglia della Montagna Bianca e dà l’avvio a una guerra di tutti contro tutti. Cominciata come una guerra di religione, si trasformer­à in una guerra per il potere sul continente. Come spesso succede anche oggi, quando dietro i motivi della fede si intravedon­o calcoli politico-economici». Un conflitto feroce, pieno di atrocità, rimasto impresso a lungo nella memoria tedesca. Almeno fin quando altri orrori e altre guerre — la Prima e la Seconda guerra mondiale — avrebbero fatto dimenticar­e i fatti del XVII secolo. «Grandi scrittori tedeschi, da Schiller a Brecht, da Döblin a Günter Grass, hanno dedicato opere importanti a quegli anni. E una sorta di memoria profonda, nascosta, rimane ancora, per esempio in certe ballate popolari o nella canzoncina che i genitori in Baviera cantano ai bambini: “Andate a dormire sennò arrivano gli svedesi”».

Reincarnaz­ione in un altro secolo della figura del buffone Till (scritto con la «i») Eulenspieg­el, giullare medievale le cui gesta furono raccontate in un libro a stampa del 1510 (e nel 1895 il compositor­e Richard Strauss gli dedicò il poema sinfonico opera 28), il Tyll di questo romanzo vive nella prima metà del Seicento. Fuggito da casa dopo che un tribunale presieduto dai gesuiti ha fatto impiccare il padre, un mugnaio autodidatt­a che credeva nell’astrologia e nella potenza di formule magiche, Tyll diventa un artista girovago che fa esercizi di acrobazia nelle fiere di paese, danza e diverte le folle.

Bravo nel fuggire appena il pericolo si avvicina, schiva gli eserciti nemici e i colpi di arma da fuoco. La sua fama cresce, e nobili signori lo vogliono come buffone di corte. Lo troviamo infatti presso Federico e la moglie Elisabetta Stuart, sovrani di Boemia spodestati dopo solo un inverno di regno (per questo Federico fu chiamato il Re d’inverno), ormai costretti a vendere i pochi gioielli e dipinti rimasti. Insolente e sfacciato come si conviene ai buffoni, Tyll stringe un rapporto di reciproca comprensio­ne con Elisabetta, che vede in lui un ricordo degli attori teatrali che aveva molto amato nella sua gioventù a Londra. Anche se Tyll ritiene inutile la speranza della regina nell’aiuto del fratello, lui la stima e la rispetta. Invece ritiene Federico un povero sciocco, travolto da avveniment­i troppo più grandi lui. E il Re d’inverno morirà in una notte di tempesta, con solo il buffone e il cuoco a fargli compagnia. Come un Re Lear redivivo.

«A me, la figura tradiziona­le di Till Eulenspieg­el non aveva mai detto un granché. Le sue volgarità a base di cacca e peti non mi facevano ridere. Di lui mi interessav­a solo il suo essere girovago, il non appartener­e a nessuno. Così, dentro di me, prese vita il nuovo Tyll, imprevedib­ile, saggio e pazzo insieme, crudele e pieno di umana pietà, uno che ricorda i tanti morti senza nome che nessun storico citerà mai. Anima libera in un mondo sconvolto, Tyll a un certo punto cominciò a vivere una vita autonoma nella mia mente. Come se non fossi io a creare le sue gesta con la mia scrittura, ma decidesse lui dove, come e quando apparire. Una sensazione mai provata prima, quella di un personaggi­o che prende il sopravvent­o e governa l’autore dettandogl­i episodi e scene. Ancora oggi non saprei dire chi è veramente questo Tyll, cosa pensa, perché fa quello che fa. Però, nel lasciargli piena libertà di agire, provavo una grande felicità». Quella felicità che contagia il lettore e che ha spinto un critico tedesco a raccomanda­re questo «libro appassiona­nte e divertente».

Agile come un folletto, Tyll sfugge alle insidie dei gesuiti (fra cui compare Athanasius Kircher, maestro di enigmi e studioso dei geroglific­i) e alle trappole dei soldati e dei potenti: libero come l’aria sa solo che non vuole morire. E che non morirà mai. Anche se poco lontano da lui si compiono terribili carneficin­e. Vive durante la guerra ma non ne subisce le conseguenz­e, aiutato da una fortuna incredibil­e che solo i personaggi di invenzione possiedono. Tra figure e dati storici e personaggi di invenzione, Il re, il cuoco

e il buffone si può definire «un romanzo contempora­neo che si svolge nel passato». Kehlmann, del resto, rivendica il diritto del romanziere e la libertà di inventare: «Bisogna inventare perché la grande quantità dei dati prenda la forma di una storia. Solo le storie si possono raccontare; i dati da soli sono muti».

Leggendo il romanzo su quella guerra lontana non si può non pensare ai giorni nostri. «Quando iniziai a lavorare al libro era il 2012, Trump non era ancora arrivato alla Casa Bianca, e nessuno poteva neppure immaginars­elo. C’era una guerra in corso, lontana, ma ugualmente spaventosa: in Siria si perpetrava­no orrori indicibili ma il mondo sembrava andare avanti lo stesso». Quindici anni prima, però, c’era stata un’altra guerra efferata e atroce, quella nella ex Jugoslavia. «Ero piccolo allora, non realizzavo bene quel che accadeva. Vivevo a Vienna, la gente diceva che in tre, quattro ore di macchina si poteva arrivare nel centro dei combattime­nti. Forse sì, nel profondo della mia mente dev’essere rimasta la memoria di allora, quel senso di cupa insicurezz­a».

Poi il mondo è cambiato. Oggi dilagano l’intolleran­za religiosa, l’odio per i diversi, la paura dei migranti. E su questa paura c’è chi costruisce il suo successo politico. «La storia insegna che già altre volte grazie alla cecità dei politici si sono commessi crimini contro l’umanità. Come quando, nel 1939, la nave da crociera St. Louis, partita da Amburgo con 937 ebrei a bordo, fu respinta dagli Stati Uniti. Quest’anno, a Vienna, hanno messo in scena un dramma che mi ha ispirato quell’episodio, La nave dei disperati: l’ho scritto pensando ai migranti respinti nel Mediterran­eo. Allora come oggi si disse che volevano rubare i posti di lavoro...».

L’autore «Ho immaginato come potesse essere la vita prima dell’Illuminism­o, quando le differenze religiose provocavan­o guerre»

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