Corriere della Sera - La Lettura
Sorriso garantito È il brevetto Vitali
Sono le prime ore del mattino del 4 luglio 1928 quando un autocarro Fiat 505 guidato da Gustavo Morcamazza, un bergamasco proprietario dell’azienda «A l’inseupà. Tori da monta», arriva nei dintorni di Bellano. A bordo c’è un toro portentoso di nome Benito in tournée sessuale da quelle parti (lo attendono un centinaio di vacche) su pressante richiesta degli allevatori locali che hanno necessità impellente di far riprodurre le loro bestie. Come può ben immaginare chi ha letto anche solo una volta un libro di Andrea Vitali, uno spunto di partenza del genere rappresenterebbe dinamite pura nelle mani dello scrittore. Lui, però, con abile mossa di narratore si esibisce in una specie di gigantesco, vista la quantità di prestazioni in ballo, coitus interruptus: il possente toro Benito scappa dalla stalla alla vigilia del giorno fissato per gli accoppiamenti. E da quel momento in poi sembra di essere capitati in una versione in riva al lago della festa di Pamplona. Se c’è una cosa che in Italia rischia l’estinzione è l’arte di sorridere (e di far sorridere). Uno dei pochi a possederne ancora il brevetto è Andrea Vitali. In questo suo nuovo romanzo, Certe fortune, ci sono frangenti che fanno sghignazzare (soprattutto la disavventura che corre il povero Gustavo Morcamazza, sofferente di artrite gottosa, finito nelle grinfie di un guaritore specialista di erbe e sanguisughe) ma, in generale, è con il sorriso che si seguono le peripezie della folla di personaggi del libro: suore e primari ospedalieri, segretari della sezione bellanese del Partito fascista e relative consorti, carabinieri (comandati da Ernesto Maccadò, «il maresciallo più amato della letteratura italiana» come si montalbaneggia in fascetta di copertina) e giornalisti pubblicisti a caccia di scoop. Ma bisogna fare attenzione, il sorriso finale di Vitali non è di facile interpretazione e non è meno misterioso del sorriso del gatto del Cheshire o di quello della Gioconda.