Corriere della Sera - La Lettura
Un sacco di juta avvolge Milano
«Picasso ne sarebbe andato pazzo». David Hockney indica la superficie luminosa del tablet: «È come un foglio di carta infinito. Lo adoro». La dichiarazione d’amore finisce dritta fra le pagine di Bigger Message, libro a cui il critico d’arte (e amico) Martin Gayford sta lavorando. Il testo-conversazione esce in Gran Bretagna nel 2011 e l’anno dopo in Italia per Einaudi. Oggi quella passione tecnologica si conferma più che mai viva, vegeta e strutturata: il grande vecchio dell’arte inglese, a 81 anni, dipinge sistematicamente su iPad. Hockney è il creativo vivente più pagato al mondo — Portrait of an Artist (pool with two figures), tela datata 1972, nel novembre scorso è stata battuta all’asta per 90,3 milioni di dollari e ha quasi doppiato i 58 milioni del Balloon Dog (orange) di Jeff Koons — ma il suo strumento di lavoro prediletto è una app che costa più o meno quattro euro. Questione pratica: «Con il tablet — ha spiegato — non hai bisogno di nient’altro, hai tutti i colori sempre con te. Certo, il risultato è diverso rispetto a quello della pittura “vera”. Ma una cosa non esclude l’altra». Perché è anche una questione teorica: «L’arte deve capire la tecnologia, farla propria. La tecnologia ha sempre cambiato il senso delle immagini e le immagini sono il potere. Se l’arte fa a meno delle immagini, perde ogni possibilità, ogni potere». Lo sostiene Hockney, il divino dell’acrilico e della pittura a olio da un decennio votato al touch, e lo dimostra oggi il lavoro di molti autori delle nuove generazioni. Alessandro Rabottini, dal suo osservatorio, ne cita uno ma potrebbe citarne cento: «Ed Atkins. Classe 1982, anch’egli britannico. Usa strumenti hi-tech ma è anche un abile disegnatore: ora torna al foglio e plasma, tra coloriture quasi classiche, figure dal sapore fantascientifico».
La separazione fra mezzo analogico e mezzo tecnologico non esiste più, il confine si è polverizzato. Nel caleidoscopio colorato che sta per travolgere Milano e che prende il nome di MiArt — di cui Rabottini è direttore — si vedrà benissimo.
Distanze azzerate
ALa ventiquattresima edizione della fiera internazionale d’arte contemporanea di Milano è in programma dal 5 al 7 aprile. Al Padiglione 3 di Fieramilanocity stanno per ap
prodare 185 gallerie, di cui 75 internazionali e 45 al debutto milanese. Provengono da 19 Paesi e 4 continenti, divise in 7 sezioni presentano maestri moderni e contemporanei, autori di grido ed emergenti, designer.
Le prove digitali di Hockney arrivano in città su schermo e su carta con la personale allestita dalla galleria Lelong di Parigi. Un nuovo (attesissimo) approdo italiano dell’autore dopo il record di mercato — sui pezzi in fiera c’è riserbo, ma alcuni disegni schizzati con iPad e iPhone in vendita a Frieze-New York partivano da 26 mila dollari — che conferma il ruolo di rilievo assunto recentemente da MiArt a livello globale. E «ruolo di rilievo» significa anche capacità di intercettare tendenze, «ma individuarne una netta — prosegue Rabottini, da tre anni al timone — sarebbe riduttivo: il panorama è variegato. Di certo tra i giovani si vede un ritorno prepotente all’arte figurativa, impiegata per raccontare la trasformazione tecnologica». La creatività non si ferma più a un singolo canale espressivo. Le distanze si accorciano. «I mezzi digitali si affiancano alla tradizione: pittura figurativa, ma non solo. Anche ceramica, bronzo, arte tessile». Argilla e pixel, collage massivi di foto (colpo d’occhio Instagram) rifatti a matita. Pennellate virtuali mimano la tempera. «Di fatto, un racconto della nostra vita oggi: da una parte usiamo molti mezzi tecnologici, dall’altra sentiamo il bisogno di tornare alla dimensione più tattile, in un certo senso più intima».
Riuso filosofico
Il filo conduttore della manifestazione («una suggestione più che un tema, questa è una fiera e non una mostra») si ispira ai versi di Gareth Evans, curatore della Whitechapel Gallery di Londra: hold everything dear, scrive. Abbi cara ogni cosa. «Nei momenti frenetici dell’organizzazione e del lavoro per MiArt ho avuto spesso con me questo testo — prosegue il direttore —, ho letto parole che mi hanno fatto pensare. Abbi cara ogni cosa: l’arte rivolge alla realtà uno sguardo che è attenzione, ma anche invito all’attenzione». E il tema della coscienza ambientale e sociale è tra i filoni più battuti dalle opere che giungono a Milano. Riuso di oggetti idealmente strappati alle discariche, «figure trovate», come l’americano Jon Kessler definisce le statuette con cui compone Exodus:
Dal 1° al 7 aprile la città ospita la Art Week, dal 5 al 7 si svolge la nuova edizione di MiArt. Con il curatore, Alessandro Rabottini, abbiamo cercato di individuare percorsi e tendenze del contemporaneo. Intanto il figurativo, che ritorna con prepotenza. Poi il figurativo amalgamato con il digitale (protagonista assoluto sarà David Hockney, da tempo votato all’«acrilico su iPad»). E poi ancora una rinnovata vocazione ambientale e sociale, con il riuso di oggetti strappati alle discariche: qui si inserisce l’operazione del ghanese Ibrahim Mahama, che «insacca» i caselli daziari di Porta Venezia