Corriere della Sera - La Lettura
HOCKNEY E MARIA LAI PATRONI NECESSARI
In certe fasi storiche di passaggio come quella che viviamo, segnate dalla compresenza conflittuale di poetiche e di stili e soprattutto caratterizzati dalla mancanza di indirizzi privilegiati, il mercato dell’arte contemporanea avverte il bisogno di affidarsi ai «venerabili maestri». Ovvero, a personalità già consacrate e musealizzate che, tuttavia, conservano una bruciante attualità. Si tratta, in molti casi, di grandi isolati, che tendono a sottrarsi alla logica dei gruppi; provano a saldare le conoscenze delle tecniche tradizionali con il gusto per la reinvenzio
ne dei linguaggi e la volontà di sperimentare contaminazioni tra pratiche. Tra gli eccentrici negli stand del MiArt, David Hockney e Maria Lai. All’apparenza lontani. Hockney: oggi tra i più quotati, erede della straordinaria tradizione delle avanguardie, ha sempre pensato il suo lavoro come ininterrotta ricerca sui media e come ostinata riaffermazione della centralità della pittura, utilizzando colori a olio, fotografia, video, iPad. Lai: elegante artigiana sarda, riscoperta dopo la morte (2013), creatrice, tra i Quaranta e la metà degli Ottanta, di disegni a penna e matita, di tempere ed esercizi tessili (i libri cuciti), concepiti come pagine di un segreto diario infinito su cui si depositano umori, inquietudini, visioni, in un calibrato intreccio tra adesione al reale e urgenza di trasfigurare ciò che esiste. Voci di un secolo tramontato. Che preludono a una stagione in cui prevarranno orientamenti più marcati.