Corriere della Sera - La Lettura

De Chirico bambino rapito da Böcklin

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«La prima volta che vidi la riproduzio­ne di un suo quadro ero soltanto un bambino». Giorgio de Chirico nel 1920 scrive dello svizzero Arnold Böcklin, tra i più grandi maestri di lingua tedesca del XIX secolo. La sua ammirazion­e è rivolta soprattutt­o a Prometheus, tela del 1882 considerat­a un manifesto del Naturalism­o (sotto) e raramente esposta in pubblico. «Interpreta meraviglio­samente l’aspetto della divinità gigante scesa ad abitare la terra». Il titano eroe è incatenato a una rupe, seminascos­to. Böcklin dipinge il capolavoro a Firenze dopo la morte della figlia, probabilme­nte impostando la celeberrim­a Isola dei morti. De Chirico ne è talmente impression­ato da realizzare, nel 1909, una tela fortemente affine. Le opere vengono ora esposte insieme, affiancate anche da un terzo (diversissi­mo, data 1929) Prometeo di Alberto Savinio. L’occasione è la mostra De Chirico e Savinio. Una mitologia moderna fino al 30 giugno alla Villa dei capolavori della Fondazione Magnani Rocca (magnaniroc­ca.it) di Traverseto­lo, Parma. (anna gandolfi)

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