Corriere della Sera - La Lettura
Macchine teatrali, amore e fantasia anche nel rifugio antiaereo croato
Era il 1997 e un amico lo portò a Firenze per uno spettacolo di Leo De Berardinis, il King Lear nr.1. Da allora Giovanni Brunetto non è più uscito dal teatro. All’epoca si muoveva nel circuito culturale underground ma quello che si agitava su un palco era per lui un mondo del tutto sconosciuto. Brunetto è poi rimasto sempre nel teatro di ricerca, come scenografo e come macchinista, a cominciare dal Teatrino Clandestino di
Pietro Babina e Fiorenza Menni. «Negli ultimi dieci anni — racconta — ho lavorato ad Atelier Sì, dopo che il Comune di Bologna ha dato in gestione parte del vecchio teatro di Leo De Berardinis, il San Leonardo. Un teatro in disuso, una vera coincidenza, perché non avrei mai pensato di poterci lavorare». Ogni tanto Brunetto, appassionato di attrezzature vintage, si stanca di restare sempre nascosto nell’ombra, dietro le quinte, e si dedica anche alla produzione di video con alcuni musicisti. «In teatro il mio è un lavoro spesso duro, poco compreso dal pubblico, in cui il confronto con le compagnie è continuo e richiede ingegno e fantasia per risolvere problemi spesso imprevedibili. La situazione più impegnativa fu a Zagabria per uno spettacolo in un tunnel, un rifugio antiaereo in una collina, buio e freddo». D’estate Brunetto se ne ritorna nella natìa Verona, dove da qualche anno con il fratello gemello segue come capomacchinista la stagione del Teatro romano. «I teatri sono strutture viventi. Quando eravamo piccoli mio padre ci portava sempre a vedere i drammi greci. Un’altra coincidenza, perché certi luoghi nella vita prima o poi ritornano».